Newsletter Studio e-IUS – Tax&Legal – “Le ultime novità fiscali”

Spett.le Società/Associazione,

con la presente siamo lieti di sottoporre alla Vostra attenzione le ultime novità in materia fiscale, disponibili anche sul sito dello Studio www.e-ius.it.

Indice

Attività legislativa  3

Novità in materia di Terzo Settore  4

Novità in materia di contenzioso  6

Novità per le imprese  8

Novità in materia di welfare aziendale e lavoro dipendente  18

Novità in materia di IVA   33

Attività legislativa


Legge 24 febbraio 2023, n.14

In G.U. Serie Generale n. 49 del 27.02.2023, è stata pubblicata la Legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi. Proroga di termini per l’esercizio di deleghe legislative.

Decreto Legislativo 2 marzo 2023, n.19

In G.U. Serie Generale n. 56 del 07.03.2023 è stato pubblicato il Decreto Legislativo di Attuazione della direttiva (UE) 2019/2121 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 per quanto riguarda le trasformazioni, le fusioni e le scissioni transfrontaliere.

Novità in materia di Terzo Settore


 


Pubblicato l’elenco permanente delle ONLUS accreditate al 5xmille

Pubblicato sul sito dell’Agenzia delle entrate l’elenco permanente delle ONLUS accreditate per l’anno 2023 alla ripartizione del 5xmille. Quest’anno il numero di enti ammessi è pari a 12.316, in diminuzione rispetto alle 12.458 dell’anno precedente.

Quanto agli adempimenti da rispettare, a seguito della pubblicazione dell’elenco sul sito dell’Agenzia, spetterà al rappresentante legale comunicare alla Direzione Regionale competente – mediante apposita dichiarazione sostitutiva – le eventuali variazioni nei trenta giorni successivi all’evento modificativo. Analogo termine dovrà essere rispettato anche per sottoscrivere e trasmettere la richiesta di cancellazione dell’ente dall’elenco permanente in caso di sopravvenuta perdita dei requisiti.

I nuovi stanziamenti in tema di attività assistenziali

Pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro l’Avviso 1/2023, relativo al Fondo per l’assistenza dei bambini affetti da malattia oncologica. Si tratta di uno strumento finanziario introdotto ad hoc con la legge di Bilancio 2018 (L. n. 205/2017) e che, per l’anno 2023, ammonta ad euro 5.248.718.

Nello specifico, l’avviso fissa i termini e le modalità di presentazione delle domande per accedere al contributo volto al finanziamento di attività di assistenza psicologica, psicosociologica o sanitaria in favore di bambini affetti da patologie oncologiche e delle loro famiglie. Soggetti beneficiari potranno essere le sole associazioni che, in conformità alle proprie finalità istituzionali, prestino assistenza nei confronti di tali soggetti.

Quanto agli adempimenti da rispettare, le realtà non profit intenzionate ad accedere al finanziamento dovranno presentare apposita domanda via pec al Ministero del Lavoro, allegando la modulistica prevista dallo stesso avviso entro e non oltre le ore 12.00 del 14 aprile 2023.

La documentazione completa dovrà essere trasmessa in un unico file zip in formato pdf/word o excel indicando l’apposita dicitura richiamata nel bando. Quanto alla compilazione della domanda, l’avviso 1/2023 richiede che questa sia redatta secondo il Modello A, sottoscritta dal rappresentante legale dell’associazione e accompagnata da un documento di quest’ultimo in corso di validità

Accanto a tali adempimenti, l’associazione dovrà presentare una specifica proposta progettuale (Mod. D) relativa alle attività di assistenza psicologica, psicosociologica o sanitaria a favore dei bambini affetti da malattia oncologica, corredata da un piano finanziario redatto secondo la modulistica allegata all’avviso. Il mancato utilizzo dei modelli allegati comporta l’esclusione dal finanziamento.

Quanto alle risorse finanziari, per il 2023 sono stati stanziati oltre 5 milioni di euro. Il finanziamento complessivo richiesto per ciascun progetto non potrà, però, essere inferiore a 262mila euro, né superiore a 1milione e 50mila euro.

Pubblicato l’elenco degli enti ammessi al fondo ristori

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha pubblicato lo scorso 6 febbraio il Decreto Direttoriale n. 485 del 30 dicembre 2022 relativo agli Enti ammessi a beneficiare del contributo del cd. Fondo ristori (articolo 13-quaterdecies del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176) oltre che all’autorizzazione al finanziamento per complessivi 19.956.641 euro in favore delle Regioni e Province autonome, ai fini della successiva liquidazione agli Enti destinatari.

Pubblicati gli elenchi di ODV e APS trasmigrate nel RUNTS per decorrenza dei termini.

Il Ministero del Lavoro in data 6 febbraio 2023 ha pubblicato il quarto ed il quinto elenco di ODV e APS per le quali non risulta avviato il procedimento di verifica e che, dunque, a decorrere dal 7 novembre 2022 risultano iscritte al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore per silenzio-assenso.

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Novità in materia di contenzioso

 

Cass. civ, Sez. V, Ordinanza, 27/02/2023, n. 5826

In tema di accertamenti bancari, il contribuente ha pacificamente l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 con riferimento ai versamenti, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, e il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione.

Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 28/02/2023, n. 6082

In materia di imposta di registro, l’agevolazione di cui all’art. 3, comma 4 ter, D.Lgs. n. 346 del 1990 va applicata a tutti i trasferimenti di partecipazioni in società di capitali che consentono all’avente causa di acquisire o integrare il controllo di una società che svolge effettivamente un’attività d’impresa, poiché solo a questa condizione il trasferimento del controllo di una società può ritenersi equivalente al trasferimento di un’azienda, e l’agevolazione apprezzabile in una prospettiva di salvaguardia dei livelli occupazionali. Ne consegue che risulta esente da censure, in diritto, la sentenza con cui sia stata confermata la legittimità dell’applicazione dell’imposta di registro sul presupposto della mancata prova di un’attività economica della società oggetto del trasferimento di quote, non ricorrendo dunque il presupposto dell’attività d’impresa per l’applicazione dell’agevolazione.

Cass. civ., Sez. V, Sentenza, 01/03/2023, n. 6098

Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria si era determinata ad una verifica con accesso presso la sede del contribuente, la circostanza che ciò si sia reso impraticabile, a prescindere dalle cause, con conseguente redazione di un verbale d’accesso negativo, esclude che l’atto impositivo sia stato formato a seguito di una attività accertativa condotta presso i luoghi di appartenenza del contribuente, destinati all’esercizio della sua attività. In tale evenienza, poiché alcuna intromissione nella sfera privata del contribuente si è verificata, con l’effetto che l’accertamento si è tradotto in concreto in una modalità “a tavolino”, è illegittima la sentenza che valorizzi il constatato mancato rispetto del termine dilatorio prescritto dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, posto a presidio delle garanzie del contraddittorio, ma ciò faccia limitandosi alla considerazione del mancato rispetto di un termine che in realtà, considerando l’assenza di ogni effettivo acceso o verifica o ispezione presso il contribuente, non doveva applicarsi, e d’altronde, non esaminando se, rispetto alle imposte armonizzate, fosse stata superata la cd. prova di resistenza.

Cass. civ., Sez. V, 02/03/2023, n. 6275

In tema di accertamento fiscale, l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché, in materia di Iva, dall’omologa disposizione di cui all’art. 51, quinto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. A tal fine, peraltro, è necessario che l’Amministrazione, con l’invio del questionario, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste, avvertendo delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza alle stesse, senza che, in caso di mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale (la prova della cui compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione), sia invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, trattandosi di obblighi di informativa espressione del medesimo principio di lealtà, il quale deve connotare – come si evince dagli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente – l’azione dell’ufficio.

Cass. civ., Sez. V, 03/03/2023, n. 6492

Nella determinazione della base imponibile Irap, opera il principio di diretta derivazione dal bilancio di esercizio, redatto applicando correttamente i principi contabili, e, pertanto, il canone di un leasing immobiliare, fatta eccezione per la quota relativa agli interessi passivi, è integralmente deducibile, anche se in parte riferibile al terreno sottostante il fabbricato.

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Novità per le imprese

INCENTIVI ALLE IMPRESE

Chiarimenti sulla Nuova Sabatini – Finanziamento e contributi per l’acquisto di impianti, macchinari e investimenti “tecnologici” (FAQ MIMIT 28.2.2023)

Il Ministero delle Imprese e del made in Italy ha aggiornato le FAQ sulla disciplina della Nuova Sabatini di cui al DM 22 aprile 2022 e alla circolare 6 dicembre 2022 n. 410823.

La misura Beni strumentali (“Nuova Sabatini”) è l’agevolazione messa a disposizione dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito delle imprese e accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese

L’agevolazione sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali.

Possono beneficiare dell’agevolazione le micro, piccole e medie imprese (PMI) che alla data di presentazione della domanda:

Sono ammessi tutti i settori produttivi, inclusi agricoltura e pesca, ad eccezione del settore inerente alle attività finanziarie e assicurative.

L’agevolazione ha ad oggetto il finanziamento dei beni devono essere nuovi e riferiti alle immobilizzazioni materiali per “impianti e macchinari”, “attrezzature industriali e commerciali” e “altri beni”, ossia a spese classificabili nell’attivo dello stato patrimoniale alle voci B.II.2, B.II.3 e B.II.4 dell’articolo 2424 del codice civile, come declamati nel principio contabile n.16 dell’OIC (Organismo italiano di contabilità); a software e tecnologie digitali. Non sono in ogni caso ammissibili le spese relative a terreni e fabbricati, relative a beni usati o rigenerati, nonché riferibili a “immobilizzazioni in corso e acconti”.

Gli investimenti devono soddisfare i seguenti requisiti:

Le agevolazioni consistono nella concessione da parte di banche e intermediari finanziari, aderenti all’Addendum alla convenzione tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, l’Associazione Bancaria Italiana e Cassa depositi e prestiti S.p.A., di finanziamenti alle micro, piccole e medie imprese per sostenere gli investimenti previsti dalla misura, nonché di un contributo da parte del Ministero rapportato agli interessi sui predetti finanziamenti. L’investimento può essere interamente coperto dal finanziamento bancario (o leasing).

Il finanziamento, che può essere assistito dalla garanzia del “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” (istituito dall’art. 2, comma 100, lettera a, della legge n. 662/96) fino all’80% dell’ammontare del finanziamento stesso, deve essere:

Il contributo del Ministero è un contributo in conto impianti il cui ammontare è determinato in misura pari al valore degli interessi calcolati, in via convenzionale, su un finanziamento della durata di cinque anni e di importo uguale all’investimento, ad un tasso d’interesse annuo pari al:

Scadenza del 16 marzo 2023 per la comunicazione dei crediti d’imposta energia e gas 2022 (provv. Agenzia delle entrate n. 56785/2023)

Con provvedimento n. 56785 del 1° marzo 2023, l’Agenzia delle entrate ha approvato il modello per la comunicazione dei crediti d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale maturati nel III e IV trimestre 2022 e per l’acquisto di carburanti, da parte dei soggetti che esercitano attività agricola e della pesca, maturati nel III e IV trimestre 2022.

L’articolo 1, comma 6, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, l’articolo 2, comma 5, del decreto-legge 23 settembre 2022, n. 144 e l’articolo 7, comma 1-quater, del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, prevedono che i beneficiari dei crediti d’imposta di seguito elencati debbano inviare entro il 16 marzo 2023 all’Agenzia delle entrate, a pena di decadenza dal diritto alla fruizione del credito residuo, un’apposita comunicazione dell’importo del credito maturato nell’esercizio 2022:

La comunicazione deve essere inviata telematicamente all’Agenzia delle Entrate entro il 16 marzo 2023, a pena di decadenza dal diritto alla fruizione del credito residuo.

La comunicazione può essere compilata con il software disponibile nella scheda “Software per la comunicazione dei crediti d’imposta maturati nel 2022” e poi inviata tramite i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, oppure può essere compilata e inviata tramite il servizio web disponibile nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle Entrate, seguendo il percorso: “Servizi – Agevolazioni – Crediti d’imposta maturati in relazione alle spese sostenute per l’acquisto dei prodotti energetici”.

Credito d’imposta energia e gas – Agevolabile la spesa sostenuta per l’acquisto del gas naturale utilizzabile a scopo termoelettrico (risposta ad interpello n. 231/2023)

Con la risposta a interpello n. 231 del 1° marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di crediti d’imposta energia elettrica e acquisto di gas naturale impiegato per la produzione di energia elettrica destinata all’autoconsumo.

L’art. 15, comma 1, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Decreto Sostegni-ter) esclude espressamente la spesa sostenuta per l’acquisto del gas naturale utilizzato a scopo termoelettrico – senza eccezioni – dall’ambito di applicazione del credito d’imposta relativo all’acquisto del gas naturale.

Esclusa la spesa in questione dall’ambito di applicazione dell’agevolazione relativa al gas naturale, occorre stabilire se il legislatore abbia comunque voluto agevolare la spesa destinata alla produzione di energia elettrica (i.e. scopo termoelettrico) nell’ipotesi in cui questa sia destinata all’autoconsumo.

La spesa per la produzione di energia elettrica destinata all’autoconsumo è agevolabile se rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 17 del 2022.

Tale disposizione, riconoscendo l’agevolazione in favore delle c.d. ”energivore” nell’ipotesi dell’energia elettrica prodotta e destinata all’autoconsumo, costituisce il presupposto normativo per la concessione dell’agevolazione nel caso della spesa relativa al gas naturale e destinata alla produzione termoelettrica (in autoconsumo), altrimenti esclusa, come visto, dall’ambito di applicazione dell’agevolazione in favore delle c.d. ”gasivore”.

Ne deriva che è possibile fruire del credito d’imposta per la spesa relativa all’acquisto del gas naturale per la produzione di energia elettrica destinata all’autoconsumo, secondo i criteri quantitativi ivi indicati e sempreché sussistano i presupposti previsti dal citato articolo 4, comma 2, decreto legge 17 del 2022, avuto riguardo, quindi, sia ai presupposti per la qualifica come ”impresa a forte consumo di energia elettrica”, ai sensi del decreto del Ministro dello sviluppo economico 21 dicembre 2017, sia all’incremento dei costi medi per kWh di energia elettrica prodotta e autoconsumata nel trimestre di riferimento.

In linea generale, in ordine agli obblighi certificativi da assolvere per la verifica della sussistenza dei requisiti, nonché del calcolo del credito d’imposta spettante, la circolare n. 25/E dell’11 luglio 2022, paragrafo 3.4., ha precisato che nell’ipotesi di autoproduzione e autoconsumo dell’energia elettrica, la ”documentazione certificativa” è rappresentata dalle fatture di acquisto del combustibile utilizzato a tal fine nonché delle misurazioni registrate dai relativi contatori o delle risultanze della contabilità industriale.

La determinazione del prezzo unitario dei combustibili acquistati ed utilizzati dall’impresa per la produzione della medesima energia elettrica deve avvenire facendo riferimento al prezzo del combustibile effettivamente sostenuto in relazione al consumo del trimestre considerato per la produzione di energia elettrica autoconsumata e quindi al prezzo del gas naturale acquistato per essere immesso nel processo produttivo termoelettrico.

Crediti d’imposta energia e gas I trimestre 2023 – Contenuto e termini della comunicazione del venditore (delibera ARERA 28.2.2023 n. 76)

Con la delibera ARERA 28 febbraio 2023 n. 76, è stato definito il contenuto della comunicazione del venditore prevista per i crediti d’imposta relativi alle imprese non energivore e non gasivore per il I trimestre 2023.

A seguito di richiesta dell’impresa con i requisiti di cui all’art. 1 co. 3 e 5 della L. 197/2022 (Legge di bilancio 2023), il venditore che riforniva l’impresa sia nel IV trimestre dell’anno 2019 sia nel IV trimestre dell’anno 2022 e nel I trimestre dell’anno 2023, è tenuto a inviare entro il 30 maggio 2023 una comunicazione riportante il calcolo dell’incremento di costo della componente energetica nonché l’ammontare del credito d’imposta spettante per il I trimestre 2023.

Credito d’imposta energia e gas – Individuazione del costo medio per kWh della componente energetica in ipotesi di fusione (risposta ad interpello n. 241 del 6.3.2023)

Con la risposta a interpello n. 241 del 6 marzo 2023, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in tema di credito d’imposta per imprese non energivore in ipotesi di fusione societaria.

L’articolo 3 del decreto Ucraina ha previsto un credito d’imposta in misura pari al 12 per cento delle spese sostenute per la componente energetica, acquistata ed effettivamente utilizzata nel secondo trimestre 2022, in favore delle imprese ”dotate di contatori di energia elettrica di potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW diverse dalle imprese a forte consumo di energia elettrica” (cosiddette imprese ”non energivore”), comprovato mediante le relative fatture d’acquisto, qualora il prezzo della stessa, calcolato sulla base della media riferita al primo trimestre 2022, al netto delle imposte e degli eventuali sussidi, abbia subito un incremento del costo per kWh superiore al 30 per cento del corrispondente prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019.

La misura del contributo (12 per cento) è stata poi rideterminata nella misura del 15 per cento dall’articolo 2, comma 3, del decreto­legge 17 maggio 2022, n. 50 (c.d. decreto Aiuti), convertito in legge 15 luglio 2022, n. 91.

Successivamente il credito d’imposta in oggetto è stato prorogato:

Il legislatore ha essenzialmente collegato la spettanza del beneficio alla titolarità di POD da parte dell’impresa ad eccezione dei casi in cui manchino i parametri di riferimento (in particolare per le società neo-costituite); per tali situazioni, per esigenze di semplificazione, è stato individuato dalla legge stessa un parametro forfetario.

In caso di fusione, ai fini dell’individuazione del costo medio per kWh della componente energetica verificatosi nel primo trimestre 2019, la società non può utilizzare i dati di consumo relative a POD intestati alle società incorporate, in quanto soggetti giuridici intestatari in via autonoma di diverse utenze nel periodo antecedente all’operazione di riorganizzazione, né, trattandosi di società già costituita ed operativa alla data del 1° gennaio 2019, può far riferimento al parametro forfetario

Conclusivamente, pertanto, ai fini del calcolo del contributo spettante, la stessa dovrà far riferimento al ”corrispondente prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019” calcolato sui consumi riferibili alle utenze di cui risultava intestataria nel suddetto periodo.

OPERAZIONI STRAORDINARIE

 

Fusione – Trattamento dei costi di transazione imputati a incremento del valore fiscale della partecipazione (risposta ad interpello n. 235 del 2.3.2023)

Con la risposta ad interpello n. 235 del 2 marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di costi di transazione imputati ad incremento del valore fiscale della partecipazione.

L’art. 172 del TUIR prevede che la fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento e che i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti.

In merito al trattamento dei costi di transazione, laddove si assiste ad un incremento del valore fiscale della partecipazione cui sono capitalizzati, quest’ultimo valore, nel rispetto del principio di neutralità della fusione di cui all’articolo 172 del TUIR, deve essere ereditato dall’incorporante a prescindere dalla riclassificazione operata da quest’ultima in funzione dei principi contabili adottati.

REDDITI DI IMPRESA

Chiarimenti in materia di ACE (risposte ad interpello nn. 228 e 229 del 1.3.2023)

Con le risposte ad interpello nn. 228 e 229 del 1° marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito precisazioni in materia di ACE e Super ACE.

L’articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante ”Aiuto alla crescita economica (ACE)”, ha introdotto un incentivo alla capitalizzazione delle imprese al fine di riequilibrare il trattamento fiscale tra quelle che si finanziano con debito e quelle che si finanziano con capitale proprio.

L’incentivo consiste nella facoltà di dedurre dal reddito complessivo netto un importo pari al rendimento del nuovo capitale proprio immesso nella società sotto forma di conferimento in denaro ovvero di accontamento di utili a riserve disponibili.

La norma citata sottrae al beneficio dell’ACE quegli investimenti non consistenti in un reale incremento del nuovo capitale dell’impresa poiché si sostanziano in operazioni di natura finanziaria poste in essere da soggetti che non svolgono attività finanziaria.

A fianco della disciplina dell’ACE cd. ”ordinaria”, il decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, (c.d. ”Decreto Sostegni Bis”), al fine di incentivare la patrimonializzazione delle imprese deterioratasi a seguito delle difficoltà economiche causate dalla crisi pandemica, ha introdotto, nell’articolo 19, commi da 2 a 7, alcuni elementi rafforzativi dell’agevolazione in commento di carattere transitorio, in quanto circoscritti all’anno d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020 (”Super ACE”).

La ”Super ACE” non può essere considerata come un’agevolazione distinta ed indipendente rispetto all’ACE ordinaria, bensì come un rafforzamento dell’agevolazione già esistente introdotto al fine di tenere conto delle difficoltà economiche causate dalla predetta crisi pandemica. Pertanto, per quanto non diversamente previsto, alla cd. Super ACE, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l’ACE ”ordinaria”.

Da ciò consegue che, anche nella determinazione della Super ACE spettante sugli aumenti di capitale proprio realizzati nel 2021 (rispetto al capitale proprio esistente al 31 dicembre 2020), si deve tenere conto della eventuale riduzione di base ACE disposta dall’articolo 1, comma 6¬-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, relativa all’incremento dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni avvenuto nel medesimo periodo (2020-2021).

Con riferimento ai soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della penalizzazione, la locuzione ”banche ed assicurazioni” deve essere valutata, includendo in tale novero di soggetti tutti coloro che svolgono attività finanziarie ed assicurative di cui alla sezione K dell’ATECOFIN 2007. Non possono essere assimilati ai soggetti che svolgono attività di cui alla sezione K dell’ATECOFIN 2007 e devono quindi sottostare ai limiti imposti dalla norma in termini di sterilizzazione della variazione in aumento del capitale proprio le holding diverse da quelle finanziarie (ovvero quelle holding il cui attivo patrimoniale è costituito prevalentemente da partecipazioni in imprese ”diverse” da quelle finanziarie).

In questa ultima categoria rientrano, altresì, tutti quei soggetti che svolgono attività che non configurano operatività nei confronti del pubblico, se inclusi in un gruppo di soggetti che svolgono prevalentemente attività diverse da quelle finanziarie.

Nell’ipotesi in cui l’ACE ordinaria relativa agli esercizi precedenti al 2021 sia negativa, è corretto considerare ai fini del calcolo della Super ACE gli incrementi del 2021 (al netto dei decrementi del 2021) senza penalizzare la Super ACE in relazione alla eventuale base ACE ”negativa” relativa agli esercizi precedenti.

Quindi è corretto agevolare ai sensi dell’articolo 19 del d. l. n. 73 del 2021, cioè quale ”Super ACE”, la ”base netta” del solo periodo d’imposta 2021 senza considerare l’intero periodo dove emergerebbe un base ACE ”negativa”.

Chiarimenti sul contributo di solidarietà temporaneo 2023 (circolare n. 4 del 23.2.2023)

Con la circolare n. 4 del 23 febbraio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sul contributo di solidarietà temporaneo per il 2023 e modifiche al contributo straordinario contro il caro bollette del decreto Ucraina.

La legge di bilancio 2023 ha istituito un contributo di solidarietà straordinario, sotto forma di prelievo temporaneo per l’anno 2023, per i soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva rivendita, attività di produzione di energia elettrica o gas metano, di estrazione di gas naturale, di rivendita di energia elettrica, gas metano e gas naturale, di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi, nonché di importazione degli anzidetti beni o di introduzione in Italia, sempre dei medesimi beni, provenienti da altri Stati dell’Unione europea per la loro successiva rivendita.

Tale contributo di solidarietà costituisce, per l’anno 2023, una misura nazionale equivalente al contributo temporaneo istituito ai sensi del regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022, relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia.

La circolare si compone di due paragrafi con cui fornisce dei primi chiarimenti. In particolare:

  • al paragrafo 1, l’introduzione del contributo di solidarietà temporaneo per il 2023 (commi da 115 a 119), con particolare riferimento all’ambito soggettivo, alla determinazione della base imponibile e dell’ammontare del contributo dovuto, al suo versamento e al rapporto con le altre imposte erariali. In particolare, si chiarisce l’esclusione dall’ambito soggettivo di applicazione del prelievo in commento degli enti non commerciali;
  • al paragrafo 2, le modifiche apportate all’ambito soggettivo e alla base imponibile del contributo straordinario di cui all’articolo 37 del d.l. n. 21 del 2022 (comma 120), nonché le previsioni di coordinamento scaturenti da tali modifiche (comma 121).

Proventi derivanti da insussistenza di passività (risposta ad interpello n. 240 del 6.3.2023)

Con la risposta a interpello n. 240 del 6 marzo 2023, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in tema di proventi derivanti da insussistenza di passività.

L’art. 88, comma 1, del TUIR qualifica come sopravvenienze attive imponibili i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

Pertanto, ai fini della disciplina in questione rilevano:

  • il carattere sopravvenuto del fatto generatore del componente positivo del reddito e
  • la sua stretta relazione con un componente economico (o con una passività patrimoniale) che abbia concorso alla formazione del reddito di impresa in un periodo d’imposta precedente l’insorgere della sopravvenienza stessa.

Nel caso specifico, l’insussistenza di passività che ha generato un componente positivo nel conto economico non risulta correlata ad alcun componente negativo di reddito oggetto di deduzione nei periodi d’imposta precedenti.

Infatti, la passività stralciata costituisce la rettifica di una posta patrimoniale, volta a bilanciare l’incremento patrimoniale determinato dall’iscrizione delle DTA, effettuata a seguito dell’imputazione della Passività, nell’ambito dell’adeguamento dei valori della scissione.

Relativamente al trattamento fiscale della sopravvenienza, dunque, appare opportuno richiamare la risposta a interpello n. 71 del 5 marzo 2019, in cui, con riferimento ad una fattispecie avente ad oggetto la tassazione di sopravvenienze attive emergenti dalla cancellazione di debiti iscritti in bilancio, a seguito del disconoscimento ai fini fiscali di costi in precedenza imputati al conto economico, è stato chiarito che tale sopravvenienza non costituiva un componente di reddito tassabile ex art. 88 del TUIR.

Tale orientamento dell’Amministrazione, secondo cui non costituisce sopravvenienza attiva tassabile ai sensi dell’art. 88 del TUIR l’insussistenza di una passività derivante da componenti che non hanno concorso a formare il reddito imponibile, si pone in continuità con la posizione espressa in risalenti documenti di prassi del Ministero delle Finanze (Risoluzione 28 giugno 1979, n. 813, e Circolare 27 maggio 1994, n. 73/E)

In particolare, il Ministero delle Finanze, coi predetti documenti di prassi, aveva chiarito che i rimborsi d’imposta configuravano una sopravvenienza attiva imponibile solo se le imposte cui si riferiscono risultavano aver partecipato alla determinazione del reddito imponibile, mentre se le imposte oggetto di restituzione fossero state fiscalmente indeducibili, il loro rimborso non avrebbe dato luogo a sopravvenienze attive imponibili.

Considerato che la Passività non ha concorso alla formazione del reddito in precedenti esercizi, si ritiene che la sopravvenuta insussistenza della stessa, conseguente alla rinuncia al credito, non concorra alla formazione del reddito di, sebbene gli effetti della rinuncia siano stati rilevati a conto economico.

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Novità in materia di welfare aziendale e lavoro dipendente


Ministero del Lavoro – Comunicazioni Obbligatorie, pubblicata in data 8 marzo 2023 la Nota relativa al IV trimestre 2022

Pubblicata in data 3 marzo 2023, sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la Nota trimestrale relativa al IV trimestre 2022, tratta dal Sistema Informativo Statistico delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La Nota descrive le attivazioni, le trasformazioni a tempo indeterminato e le cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato. Inoltre, vengono descritte le consistenze e le dinamiche tendenziali dei tirocini extracurriculari.

Nel quarto trimestre del 2022, le attivazioni dei contratti di lavoro al netto delle trasformazioni a Tempo Indeterminato sono risultate pari a 2 milioni 898 mila, in calo dello 0,7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (pari a -20 mila contratti), e hanno riguardato 2 milioni 38 mila lavoratori, con una diminuzione tendenziale del 5,4% (pari a -116 mila individui).

Considerando anche le trasformazioni a Tempo Indeterminato, pari a 255 mila, il numero complessivo di attivazioni di contratti di lavoro raggiunge 3 milioni 153 mila, sostanzialmente stabile rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. La dinamica tendenziale avviene per effetto di una crescita per la componente femminile (+2,1%) e di un analogo calo percentuale per quella maschile (-2,1). Anche nel Nord del Paese si registra un andamento divergente tra le componenti di genere: per le donne +0,5% e per gli uomini -3,7%; complessivamente risulta un calo nel Nord pari a -1,7%. Nel Mezzogiorno, invece, si assiste a una contrazione più decisa, pari a -5,3%, rilevata per entrambe le componenti di genere. Al contrario nel Centro si osserva una significativa crescita tendenziale, pari a +9,2%, registrata sia per gli uomini (+7,9%) che per le donne (+10,7%).

Considerando complessivamente i quattro trimestri del 2022, le attivazioni trimestrali comprensive delle trasformazioni a Tempo Indeterminato risultano in media pari a 3 milioni 365 mila, in crescita del 12,0% rispetto alla media trimestrale del 2021. L’incremento interessa in misura superiore le donne (+14,0%) rispetto agli uomini (+10,3%) e maggiormente il Centro (+15,6%) e il Nord del Paese (+14,3%) rispetto al Mezzogiorno (+6,4%).

Nel settore dei Servizi, che assorbe il 77,4% del totale attivazioni, si registra un aumento tendenziale pari al 2,0%, che coinvolge in misura maggiore le donne (+2,8%) rispetto agli uomini (+1,0%). Per gli altri settori economici si osserva una flessione delle attivazioni: le Costruzioni, che rappresentano il 6,1% del totale, mostrano la contrazione più marcata (-12,4%), mentre per l’Industria in senso stretto la riduzione risulta più contenuta (-3,3%); in Agricoltura il calo risulta pari a -6,0%. Le attivazioni dei contratti a Tempo Indeterminato comprensive di 255 mila trasformazioni (di cui 216 mila da Tempo Determinato e 39 mila da Apprendistato) determinano un complessivo flusso in ingresso verso il Tempo Indeterminato pari a 676 mila unità, un valore che risulta superiore rispetto alle 589 mila cessazioni a Tempo Indeterminato. Il flusso in entrata verso il Tempo Indeterminato mostra una riduzione tendenziale di 15 mila unità (-2,1%), spiegata dalla crescita delle trasformazioni (+15 mila) e dal calo delle attivazioni a Tempo Indeterminato (-30 mila).

Le attivazioni dei contratti a Tempo Determinato, pari a 1 milione 940 mila, restano pressoché stabili (risulta solo un lieve calo dello 0,1%, pari a circa 2 mila e 600 attivazioni in meno). Le attivazioni dei contratti di Apprendistato, pari a 95 mila, diminuiscono del 3,0% (-3 mila), mentre quelle relative ai contratti i Collaborazione, pari a 92 mila, mostrano un calo più moderato pari a -0,9%. Le attivazioni rientranti in altre tipologie contrattuali, pari a 350 mila e costituiti maggiormente dal lavoro intermittente, mostrano invece un aumento del 4,9% (pari a +16 mila). I contratti di Apprendistato registrano, invece, la diminuzione più intensa (-3,0%) e le Collaborazioni un calo moderato (-0,9%), mentre altre tipologie di contratto, rappresentate maggiormente dal lavoro intermittente aumentano del +4,9%.

Per quanto riguarda i lavoratori attivati (al netto delle trasformazioni), la riduzione osservata pari al 5,4% (-116 mila individui) interessa entrambe le componenti di genere, anche se riguarda in misura superiore gli uomini (-6,1%) rispetto alle donne (-4,6%). La diminuzione risulta più consistente per gli individui con età compresa tra 25 e 34 anni, per i quali si registra un calo dell’8,0% (-7,3% per gli uomini e -8,9% per le donne), e per i 35-44enni, con una flessione del 7,5% (-7,7% per la componente maschile e -7,3% per quella femminile). I lavoratori attivati con oltre 54 anni di età mostrano, invece, un incremento. Il numero di attivazioni pro-capite passa da 1,35 nel quarto trimestre del 2021 a 1,42 nel quarto trimestre del 2022.

Nel trimestre in esame si registrano 3 milioni 617 mila cessazioni di contratti di lavoro, con un incremento del 3,3%, pari a 117 mila rapporti cessati in più rispetto allo stesso trimestre del 2021. Al numero di cessazioni osservate nel trimestre si associano 2 milioni 647 mila lavoratori, con decremento di circa 14 mila individui (pari a -0,5%).

A fronte della crescita tendenziale dei rapporti cessati si osserva un lieve calo dei rapporti attivati al netto delle trasformazioni (-0,7%), mentre alla diminuzione dei lavoratori interessati da almeno una cessazione corrisponde un calo dei lavoratori attivati (-5,4%).

L’incremento delle cessazioni dei rapporti di lavoro interessa in misura superiore la componente femminile (+6,0%) rispetto a quella maschile (+1,3%) coinvolgendo principalmente il Centro (+12,3%) e in misura minore il Nord (+1,5%) per il contributo positivo delle donne a fronte di un decremento negli uomini. Di contro, nel Mezzogiorno si registra un lieve calo, riconducibile alla diminuzione dei rapporti cessati riscontrata nella componente maschile (-1,8%) a fronte di una variazione positiva in quella femminile (+2,4%)

 I rapporti di lavoro giunti al termine mostrano una crescita tendenziale esclusivamente nel settore dei Servizi (+7,4%, +166 mila unità) in cui è concentrato il 66,8% delle cessazioni e nelle Costruzioni (+4,0%, +7 mila circa) grazie al contributo di entrambe le componenti di genere. Nell’Industria, a fronte dell’aumento nelle Costruzioni si osserva un calo nell’Industria in senso stretto (-2,9%, pari a -8 mila circa) che risulta maggiore nella componente maschile (-3,8% a fronte di -0,7% di quella femminile) mentre prosegue il decremento delle cessazioni nel Settore Agricolo (-6,2%, pari a -49 mila).

Nel trimestre in esame le dinamiche tendenziali delle cessazioni registrano un incremento nella tipologia contrattuale Altro (+11,0%, pari a +39 mila cessazioni), in quella dei contratti a Tempo Determinato (+5,3%, pari a +124 mila cessazioni) che rappresentano il 68% del totale dei contratti, e in quelli di Collaborazione (+3,6%, pari a 3750 cessazioni). I rapporti cessati risultano, invece, in diminuzione nei contratti a Tempo Indeterminato (-7,2%, pari -46 mila), che rappresentano il 16,3% dei contratti cessati, così come nell’Apprendistato (-4,8%, pari a circa -3460 rapporti). Nel complesso delle tipologie contrattuali le variazioni tendenziali coinvolgono entrambe le tipologie di genere, con variazioni superiori nelle donne rispetto agli uomini.

Il confronto con il quarto trimestre 2021 mostra un incremento maggiore nel numero dei rapporti di lavoro che interessano i contratti più brevi, di durata inferiore a 30 giorni (+14,3%, pari a +146 mila), che rappresentano il 32,4% del totale dei rapporti cessati. Tra questi, i rapporti di brevissima durata, pari a un giorno, e quelli compresi tra 2 e 3 giorni, mostrano le variazioni più significative (rispettivamente +29,3% e +19,2%). Di contro, si osserva una variazione di segno negativo sia nella classe 31-90 giorni (-8,3%) che in quella di durata superiore ai 365 giorni (pari a -9,7%).

Le cause di cessazione del rapporto di lavoro registrano variazioni tendenziali di segno negativo con l’esclusione delle Cessazioni al termine (pari a +7,5%) che corrispondono al 71,6% delle cause di cessazione. In termini percentuali quelle maggiormente significative sono la Cessazione di attività (-24,1%) e i Pensionamenti (-22,9%). Le Dimissioni, dopo un trend di crescita tendenziale, mostrano un decremento (-6,1%, pari a 34 mila rapporti cessati in meno rispetto al quarto trimestre del 2021), così come i Licenziamenti (-2,3%, pari a -4470).

Relativamente ai contratti di lavoro in somministrazione, nel quarto trimestre del 2022 si registrano 359 mila attivazioni e 396 mila cessazioni, in calo rispettivamente del 3,4% e del 2,5% rispetto allo stesso trimestre del 2021. Considerando la media dei quattro trimestri del 2022, il numero di attivazioni in somministrazione si attesta su 372 mila, +11,1% rispetto alla media del 2021 (pari a 335 mila), e si registrano 374 mila cessazioni, +15,2% rispetto alla media del 2021 (pari a 324 mila).

Nel quarto trimestre del 2022, le attivazioni dei tirocini extracurriculari sono risultate pari a 79 mila, in calo rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (-13,9%, pari a -13 mila tirocini), in misura superiore per la componente maschile (-17,3% contro -10,7% per la componente femminile). Nelle regioni del Nord si osserva il più elevato numero di tirocini attivati, pari a 41 mila, corrispondente al 52,2% del totale nazionale, quota sostanzialmente stabile rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Le attivazioni in quest’area geografica risultano in calo tendenziale (-13,8%, pari a -7 mila tirocini); anche il Centro, che con 15 mila tirocini attivati costituisce il 18,7% del totale attivazioni (+0,3 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente), presenta una riduzione, pari a -12,3%. Nel Mezzogiorno, infine, dove si osservano 23 mila attivazioni, pari al 29,1% del totale registrato nel Paese (-0,5 punti), si assiste a una contrazione pari a -15,2%. Il 77,7% dei tirocini attivati risulta concentrato nel settore dei Servizi, dove si osserva un calo tendenziale pari a -12,5%. L’Industria con 17 mila attivazioni rappresenta il 21,2% e registra una contrazione del 18,9%. L’Agricoltura, che assorbe l’1,1% del totale, riporta la riduzione percentuale meno intensa, pari a -8,5%.

I principali promotori di tirocini extracurriculari sono rappresentati dai Soggetti autorizzati alla intermediazione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (30,1%) e dai Servizi per l’impiego (26,5%), mentre la maggior parte dei tirocini è stata avviata a favore di soggetti disoccupati o inoccupati (78,4%). I tirocini promossi a favore di persone fragili costituiscono il 14,5% del totale, con una prevalenza per quelli svolti da persone prese in carico dai servizi sociali e/o sanitari (7,6%) e soggetti svantaggiati (4,8%) rispetto ai tirocini promossi a favore di disabili (2,2%).

Il numero di tirocini cessati nel quarto trimestre 2022 risulta pari a 79 mila, la maggior parte dei quali, corrispondenti al 77,0% del totale, ha avuto una durata compresa tra 91 e 365 giorni.

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: Il lavoro femminile tra soddisfazione, criticità e voglia di cambiamento.

Con il comunicato stampa del 7 marzo 2023, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro illustra il fenomeno del dinamismo del lavoro femminile nel 2022 secondo l’indagine “Il lavoro femminile tra soddisfazione, criticità e voglia di cambiamento”.

L’indagine è stata realizzata su un campione di 1000 occupati sulla base dei dati forniti dall’Inps.

Il lavoro femminile è stato protagonista, nel corso dell’anno appena passato, di un inedito dinamismo che, lungi dal cancellare le criticità che da sempre caratterizzano l’occupazione delle donne nel nostro Paese, dà il segnale di qualche piccolo cambiamento.

La crescita nel numero delle assunzioni (+21,4% nei primi 9 mesi) è risultata molto più accentuata di quella maschile (+13,9%), raggiungendo la cifra record di 2 milioni 616 mila.

Al tempo stesso, la creazione di nuove opportunità occupazionali ha determinato anche una maggiore mobilità interna al mercato. Sono state più di 642 mila le donne che nel corso dei primi nove mesi del 2022 hanno lasciato volontariamente il proprio lavoro, per lo più a tempo indeterminato (54,8%). Un dato impressionante, se si considera che nel solo ultimo anno il fenomeno è aumentato del 29,1%, risultando molto più marcato rispetto agli uomini, tra i quali le dimissioni sono cresciute del 18,6%.

Il dinamismo dell’occupazione femminile riscontrato nel 2022 sembrerebbe destinato ad accentuarsi se, come emerge dall’indagine svolta da Fondazione Studi in collaborazione con SWG nel corso dell’anno su un campione di 1000 occupati, il 55,7% delle donne dichiara di voler cambiare lavoro: il 38,7%, pur volendolo, non ha ancora intrapreso azioni in tal senso; il 12,6% è attivamente alla ricerca di un nuovo lavoro; il 4,5% lo ha cambiato negli ultimi due anni.

È difficile individuare i tanti fattori alla base di un fenomeno nuovo (non solo per il nostro mercato del lavoro) e che vede per la prima volta le donne protagoniste più degli uomini. Queste partono da un livello di soddisfazione per la propria condizione occupazionale inferiore rispetto agli uomini. Pesano fattori oggettivi – la maggiore precarietà, i divari retributivi, il doppio ruolo – ma anche soggettivi, relativi alle attese che ognuna ripone rispetto al proprio lavoro e alla propria realizzazione professionale.

Da questo punto di vista, le donne non solo risultano mediamente meno soddisfatte rispetto agli uomini (dichiara un livello basso e molto basso di soddisfazione il 25% delle prime contro il 18,8% dei secondi), ma sembrano individuare fattori del tutto specifici, che hanno più a che fare con le prospettive di crescita (il 43,4% le reputa basse o molto basse con riferimento all’attuale lavoro) che con la retribuzione (elemento di insoddisfazione meno rilevante). Pesa poi il tema del contesto aziendale e dell’attenzione riposta verso le risorse: il welfare aziendale – da intendersi come l’insieme di prassi, benefit e strumenti in grado di valorizzare dipendenti e collaboratori – rappresenta un elemento “scarso”, rispetto al quale le donne, più degli uomini, lamentano forte insoddisfazione (49,4%).

Ma la voglia di cambiamento trova altre ragioni che vanno al di là della scarsa soddisfazione per il lavoro attuale. C’è una spinta al cambiamento che nasce dalla voglia di rimettersi in gioco, di trovare nuove strade che siano di stimolo al rinnovamento, personale prima ancora che professionale: a fronte di un 36,4% di donne che ha cambiato lavoro o lo sta cercando perché non trovava più soddisfacente la propria situazione, vi è un 34,6% che cerca un cambiamento a prescindere. Un fattore che, presumibilmente, ha trovato ulteriore spinta nella dinamicità del mercato nell’ultimo anno: il 20,6% afferma, infatti, che a spingere verso un nuovo lavoro è stata (o è) principalmente la creazione di nuove opportunità.

Nel mix di motivazioni che concorre alla scelta individuale di tante donne, è però importante segnalare come si è di fronte a una decisione che non nasce dall’esigenza o dalla paura (“solo” il 10,3% afferma di voler cambiare lavoro o averlo fatto per necessità e il 12,3% per paura di perdere il posto di lavoro) ma dal desiderio di migliorare la propria vita.

È indicativo che tra i fattori irrinunciabili del nuovo impiego, accanto al miglioramento retributivo, il 50,6% delle donne indichi il raggiungimento di un migliore equilibrio psicofisico, valore guida del cambiamento. A confronto, la sicurezza data da un lavoro stabile è considerata una condizione molto più rinunciabile (solo il 27,2% non accetterebbe un contratto diverso dal tempo indeterminato), messa sullo stesso piano della soddisfazione per i contenuti (24,1%) e delle prospettive di crescita professionale (24,1%).

Protagoniste del cambiamento, le donne sembrano interpretare forse più degli uomini le trasformazioni in atto nel lavoro, portando una visione più dinamica. In questa mobilità, due fattori acquisiscono peso crescente per le donne:

ANPAL, Comunicato stampa del 27 febbraio 2023: Fondo nuove competenze, decreto di rifinanziamento e riapertura termini

In concomitanza con l’approvazione parlamentare della legge di conversione del Milleproroghe, che ha esteso al 2023 la possibilità da parte del Fondo Nuove Competenze (FNC) di finanziare accordi di rimodulazione dell’orario di lavoro finalizzati alla realizzazione di percorsi formativi, l’ANPAL ha emanato il decreto di rifinanziamento del Fondo, per un ammontare pari a 180 milioni di euro.

In tal modo si apre una prima finestra per il finanziamento di tali intese nell’ambito dell’avviso pubblico ancora aperto. La somma proviene dai residui della precedente edizione del Fondo dovute a rinunce, minori rendicontazioni ovvero tagli in sede istruttoria. Sono stati pertanto riaperti i termini di presentazione delle domande da parte dei datori di lavoro, portando la data finale al 27 marzo 2023. Il nuovo termine è stato fissato considerando le tempistiche legate all’ammissibilità delle spese (a valere sulla programmazione 2014-20 del Fondo sociale europeo) e ai tempi di realizzazione dei progetti.

L’ANPAL comunica inoltre che l’intera somma iniziale di un miliardo di euro, a disposizione di questa edizione del FNC, è stata appena esaurita in sede di prenotazione con le domande finora presentate, ferme comunque restando le risultanze della fase istruttoria ancora in corso.

INPS, Circolare n. 25 del 6 marzo 2023: pensione anticipata cd. opzione donna 2023 – chiarimenti

Con la circolare n. 25/2023 l’INPS fornisce precisazioni in tema di pensione anticipata c.d. opzione donna di cui all’articolo 1, comma 292, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, relativamente ai destinatari della norma, ai requisiti e alle condizioni richiesti, alla decorrenza del trattamento pensionistico e alle modalità di presentazione della domanda.

Destinatari: requisiti e condizioni

La norma in esame si applica alle lavoratrici che, entro il 31 dicembre 2022, abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica di almeno 60 anni, e che si trovino in una delle condizioni indicate nella stessa norma.

Il requisito anagrafico di 60 anni è ridotto di un anno per figlio nel limite massimo di due anni. La riduzione massima di due anni si applica in favore della categoria di lavoratrici di cui alla lettera c) del comma 1-bis dell’articolo 16 del decreto-legge n. 4/2019, introdotto dalla norma in esame, anche in assenza di figli. Pertanto, le lavoratrici di cui alla lettera c) in argomento possono accedere alla pensione c.d. opzione donna, con 58 anni di età e 35 anni di contribuzione, maturati entro il 31 dicembre 2022.

Al predetto requisito anagrafico, richiesto per l’accesso al pensionamento in esame, non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita di cui all’articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Caregivers

Con riferimento alle lavoratrici che prestano assistenza a una persona con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, si forniscono le seguenti precisazioni.

Il requisito dell’assistenza si considera soddisfatto in presenza di convivenza. Al riguardo, si richiama la circolare del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 18 febbraio 2010 dove vengono forniti chiarimenti sul concetto di convivenza ai fini del riconoscimento del diritto al congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (cfr. il messaggio n. 6512/2010). In coerenza con l’orientamento espresso con la menzionata circolare, ai fini dell’accertamento del requisito della convivenza, si ritiene condizione sufficiente la residenza nel medesimo stabile, allo stesso numero civico, anche se non necessariamente nello stesso interno (appartamento).

I sei mesi di assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità devono intendersi continuativi.

Con riferimento allo status di persona con disabilità grave si precisa che lo stesso si acquisisce alla data dell’accertamento riportata nel verbale rilasciato ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 104/1992, o in caso di sentenza o riconoscimento a seguito di omologa conseguente ad accertamento tecnico preventivo di cui all’articolo 445-bis c.p.c., dalla data della sentenza o dalla data del decreto di omologa, salvo che nel provvedimento non si faccia decorrere lo status di disabilità grave da una data anteriore.

Nel caso di assistenza di un parente o un affine entro il secondo grado è prevista l’ulteriore condizione che i genitori, il coniuge o l’unito civilmente della persona con handicap in situazione di gravità non possano prestare l’assistenza in quanto abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Per quanto concerne l’individuazione delle patologie invalidanti, in assenza di un’esplicita definizione di legge, si fa riferimento alle patologie a carattere permanente indicate dall’articolo 2, comma 1, lettera d), n. 1, n. 2 e n. 3, del decreto 21 luglio 2000, n. 278, emanato dal Ministro per la Solidarietà Sociale, di concerto con i Ministri della Sanità, del lavoro e della previdenza sociale e per le Pari opportunità, recante “Regolamento recante disposizioni di attuazione dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari”, che ha individuato le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per i gravi motivi di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53.

Infine, l’espressione “mancanti” deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato/nubilato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione a essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’Autorità giudiziaria o da altra pubblica Autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono di minori, dichiarazione di assenza o di morte presunta dello scomparso (cfr. la circolare n. 155/2010).

Le lavoratrici, in possesso dei prescritti requisiti anagrafico e contributivo, possono accedere alla pensione anticipata c.d. opzione donna ove si trovino in almeno una delle seguenti condizioni:

Le condizioni sopra specificate devono sussistere alla data di presentazione della domanda di pensione e non devono essere oggetto di ulteriore verifica alla decorrenza del trattamento pensionistico.

Lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale

La norma in esame si applica alle lavoratrici dipendenti o licenziate da imprese per le quali risulti attivo alla data del 1° gennaio 2023, ovvero risulti attivato in data successiva, un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa di cui all’articolo 1, comma 852, della legge n. 296/2006.

In merito, si specifica che:

In relazione alle singole istanze pervenute, l’Istituto provvederà a richiedere alla struttura per la crisi d’impresa, istituita presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, i dati relativi alle imprese di riferimento, con particolare riguardo alle date di apertura e chiusura dei relativi tavoli di confronto, ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione per l’erogazione del trattamento pensionistico.

Decorrenza del trattamento pensionistico

Alla pensione anticipata c.d. opzione donna si applicano le disposizioni in materia di decorrenza previste dall’articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010 (c.d. finestra mobile).

Pertanto, le lavoratrici dipendenti e autonome, al perfezionamento dei requisiti anagrafico e contributivo richiesti dalla norma, conseguono la pensione decorsi:

La decorrenza del trattamento pensionistico non può essere comunque anteriore al 1° febbraio 2023, per le lavoratrici dipendenti e autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima, e al 2 gennaio 2023, per le lavoratrici dipendenti la cui pensione è liquidata a carico delle forme esclusive della predetta assicurazione generale obbligatoria.

Presentazione della domanda di pensione

 Le lavoratrici, al ricorrere dei prescritti requisiti e condizioni, devono presentare la domanda di pensionamento e allegare, ove richiesto, la relativa documentazione.

In caso di caregiving è necessario compilare un’autodichiarazione in cui afferma di assistere e di convivere da almeno sei mesi con un soggetto affetto da handicap grave, tra quelli indicati dalla legge e riportare i dati anagrafici della persona assistita, gli estremi del verbale rilasciato ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 104/1992 dalla Commissione medica che ha riconosciuto l’handicap grave, nonché allegarne il relativo documento, ove non in possesso dell’Istituto.

La lavoratrice che assiste un parente o un affine di secondo grado convivente deve dichiarare che, al momento della presentazione della domanda per accedere alla pensione in esame, i genitori, il coniuge o l’unito civilmente della persona con disabilità alla quale è riconosciuto un handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992, non possano prestare assistenza in quanto si trovino in una delle descritte situazioni (compimento dei settant’anni d’età, patologie invalidanti, decesso, assenza).

INPS, Circolare n. 27 del 10 marzo 2023: cd. pensione anticipata flessibile

Con la circolare n. 27/2023 l’INPS fornisce le istruzioni per l’applicazione dell’articolo 1, commi 283 e 284, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, che riconosce, in via sperimentale per il 2023, il diritto alla pensione anticipata flessibile al raggiungimento, entro il 31 dicembre 2023, di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 41 anni.

Requisiti per l’accesso alla pensione anticipata flessibile

Gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (AGO) e alle forme esclusive e sostitutive della medesima gestite dall’INPS, nonché alla Gestione separata, che perfezionano entro il 31 dicembre 2023 un’età anagrafica non inferiore a 62 anni e un’anzianità contributiva minima di 41 anni, possono conseguire il diritto alla “pensione anticipata flessibile”.

Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione al netto dei periodi di malattia, disoccupazione e/o prestazioni equivalenti, ove richiesto dalla gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico.

Importo della pensione anticipata flessibile da porre in pagamento

Il trattamento di pensione anticipata flessibile è riconosciuto per un valore lordo mensile massimo non superiore a cinque volte il trattamento minimo previsto a legislazione vigente, per le mensilità di anticipo del pensionamento rispetto al momento in cui tale diritto maturerebbe a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico ai sensi dell’articolo 24, comma 6, del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011.

Al raggiungimento del requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia di cui all’articolo 24, comma 6, del decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011, è posto in pagamento l’intero importo della pensione perequato nel tempo. Ciò si applica anche nelle ipotesi in cui la gestione previdenziale a carico della quale è stata liquidata la pensione anticipata flessibile prevede età pensionabili diverse rispetto a quella indicata all’articolo 24, comma 6, del citato decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011.

Cumulo dei periodi assicurativi

Il requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata flessibile in argomento può essere perfezionato, su domanda dell’interessato, anche cumulando, ai sensi del comma 2 dell’articolo 14.1 del decreto-legge n. 4/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26/2019, tutti e per intero i periodi assicurativi presso due o più forme di assicurazione obbligatoria, gestite dall’INPS

I periodi assicurativi coincidenti devono essere considerati una sola volta ai fini del diritto e valorizzati tutti ai fini della misura del trattamento pensionistico. In caso di coincidenza dei periodi assicurativi, ai fini del diritto, vanno neutralizzati quelli presso la gestione nella quale risultino versati o accreditati il maggior numero di contributi.

La titolarità di una pensione diretta a carico di una delle forme di assicurazione obbligatoria, gestite dall’INPS, preclude l’esercizio della facoltà per accedere alla prestazione in argomento.

Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pensionistico pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento.

Per la determinazione del sistema di calcolo, l’accertamento dell’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1995 deve essere effettuato considerando l’anzianità contributiva complessivamente maturata nelle diverse gestioni interessate dal cumulo in argomento. Nel determinare l’anzianità contributiva posseduta dall’assicurato, ciascuna gestione tiene conto delle regole del proprio ordinamento vigenti alla data di presentazione della domanda di pensione.

Nel caso in cui tra le gestioni interessate al cumulo ve ne sia almeno una che preveda il requisito contributivo dei 35 anni al netto dei periodi di malattia, disoccupazione e/o prestazioni equivalenti, il predetto requisito deve essere verificato tenendo conto dell’anzianità contributiva complessivamente maturata nelle gestioni interessate al cumulo.

Lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi dalle p.a. e lavoratori autonomi

I lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi dalle pubbliche Amministrazioni e i lavoratori autonomi:

Con riferimento ai lavoratori di cui al presente paragrafo, ove il trattamento pensionistico sia liquidato a carico di una gestione diversa da quella esclusiva dell’AGO, la prima decorrenza utile del predetto trattamento è fissata al primo giorno del mese successivo all’apertura della c.d. finestra.

Assegno straordinario e fondi di solidarietà.

È possibile riconoscere l’assegno straordinario anche al perfezionamento, entro il 31 dicembre 2023, dei requisiti di accesso a pensione determinati in 62 anni di età anagrafica e 41 anni di anzianità contributiva.

La concessione degli assegni straordinari riferiti alla pensione anticipata in esame è subordinata alla presenza di accordi collettivi di livello aziendale o territoriale, sottoscritti con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, nei quali deve essere stabilito, ai fini del ricambio generazionale, il numero di lavoratori da assumere in sostituzione di coloro che accedono alla prestazione.

Agenzia delle entrate, Principio di diritto n. 6 del 2023 – Regime speciale per lavoratori impatriati di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 – Rientro in Italia dopo la sospensione del rapporto associativo

Con il principio di diritto n. 6, pubblicato in data 24 febbraio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la fruizione del regime speciale per i lavoratori impatriati è preclusa al professionista che, sulla base di un accordo, dopo aver trascorso due anni all’estero, al rientro in Italia presti la propria attività nello stesso studio in cui lavorava prima del trasferimento all’estero. In tal caso, come specificato dall’Agenzia, viene meno la “vis attrattiva” richiesta dalla norma, in quanto l’attività rappresenta una prosecuzione del rapporto associativo rimasto sospeso.

Come noto, l’articolo 16 del D.lgs. n. 147/2015 ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati”. La citata disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’art. 5 del D.l. n. 34/2019 (c.d. decreto Crescita), convertito dalla L. n. 58/2019, in vigore dal 1° maggio 2019, che trovano applicazione «a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147».

Per fruire del regime speciale in commento, dunque, è necessario che il lavoratore:

Inoltre, sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:

L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi (cfr. articolo 16, comma 3, D.lgs. n. 147 del 2015).

Orbene, il regime agevolativo in commento è volto ad attrarre nel nostro Paese soggetti che vengano a svolgere un’attività lavorativa nel territorio italiano in virtù della minore tassazione del reddito ivi prodotto dal periodo d’imposta di trasferimento della residenza fiscale in Italia e per alcuni dei periodi d’imposta successivi.

Tuttavia, l’Agenzia ricorda che un lavoro assunto dal professionista al rientro in Italia che si ponga in “continuità” con quello precedente al trasferimento all’estero non è in linea con la “vis attrattiva” prevista dalla norma (come chiarito con le Circolari n. 17/E del 23 maggio 2017 e n. 33/E del 28 dicembre 2020).

Tale principio si applica anche nelle ipotesi in cui il “rientro” in Italia da parte di un professionista avvenga in esecuzione di rapporti contrattuali instaurati con una associazione professionale, in base ai quali il professionista, decorso il periodo di trasferimento, riprende a svolgere l’attività professionale presso la medesima struttura associativa.

In tale ipotesi, infatti, l’attività professionale svolta dal professionista al rientro in Italia si pone quale prosecuzione dell’attività professionale svolta prima del trasferimento all’estero. Pertanto, non si riscontra la vis attrattiva richiesta ai fini dell’applicazione del regime speciale di cui al citato articolo 16 del D.lgs. n. 147/2015.

Corte di Giustizia UE – causa C-477/21, sentenza 2 marzo 2023: organizzazione dell’orario di lavoro, riposo giornaliero e riposo settimanale – art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE – Direttiva 2003/88/CE, artt. 3 e 5

Con la sentenza del 2 marzo 2023, relativa alla causa C-477/21, la Corte di Giustizia UE ha affermato che riposo settimanale e giornaliero, se contigui, vanno sommati, senza possibilità di assorbire l’uno nell’altro nel caso in cui il periodo di riposo settimanale sia immediatamente preceduto da quello giornaliero.

Nel dettaglio, la Corte di Giustizia si è pronunciata su una questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di Miskolc (Ungheria) e relativa all’interpretazione degli artt. 3 e 5 della Direttiva 2003/88/CE sull’organizzazione dell’orario di lavoro. Quanto al caso concreto, un impiegato della società ferroviaria nazionale ungherese aveva impugnato la decisione del suo datore di lavoro di non concedere un periodo di riposo giornaliero di almeno undici ore consecutive (di cui, in forza della citata Direttiva, il lavoratore deve beneficiare nel corso di ogni periodo di 24 ore) quando tale periodo sia contiguo ad un periodo di riposo settimanale o ad un periodo di ferie.

Dal canto suo, la Società affermava che il dipendente non fosse affatto danneggiato da tale decisione, poiché il contratto collettivo applicato nel caso di specie garantiva un periodo di riposo settimanale minimo nettamente superiore (almeno 42 ore) rispetto a quello richiesto dalla direttiva (35 ore).

Nel rinviare alla CGUE, la Corte ungherese chiedeva se, in forza della Direttiva citata, un periodo di riposo giornaliero (art. 3) concesso in modo da risultare contiguo a un periodo di riposo settimanale (art. 5) possa essere considerato come parte integrante di quest’ultimo.

Nell’esaminare la questione, la Corte di Giustizia rileva anzitutto che i periodi di riposo giornaliero e settimanale costituiscono due diritti autonomi, che perseguono obiettivi diversi (punto 38 della sentenza). Nello specifico:

Di conseguenza, occorre garantire ai lavoratori il godimento effettivo di ciascuno di tali diritti.

Dunque, un’interpretazione del giudice nazionale secondo cui il riposo giornaliero sia parte del riposo settimanale equivarrebbe a svuotare del suo contenuto il diritto al riposo giornaliero di cui all’articolo 3 della Direttiva, privando il lavoratore dell’effettivo godimento del periodo di riposo giornaliero previsto da tale disposizione, quando egli beneficia del suo diritto al riposo settimanale.

A tal riguardo, la Corte chiarisce che l’articolo 5 della Direttiva 2003/88/CE non si limita a fissare globalmente un periodo minimo a titolo del diritto al riposo settimanale, bensì precisa che a tale periodo si aggiunge quello che deve essere riconosciuto a titolo del diritto al riposo giornaliero, sottolineando così il carattere autonomo di questi due diritti.

Ciò conferma che il diritto al riposo settimanale non è destinato a ricomprendere, se del caso, il periodo corrispondente al diritto al riposo giornaliero, ma deve essere riconosciuto in aggiunta a quest’ultimo diritto.

Infine, e in conseguenza di quanto affermato, la CGUE rileva che le disposizioni più favorevoli previste dalla normativa ungherese per la durata minima del riposo settimanale (42 ore anziché 35) non possono privare il lavoratore di altri diritti che gli sono conferiti da tale direttiva, e in particolare del diritto al riposo giornaliero (punto 50).

Quindi, al fine di garantire ai lavoratori il godimento effettivo del diritto al riposo giornaliero previsto dall’art. 3 della Direttiva (nonché dall’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE), quest’ultimo deve essere concesso indipendentemente dalla durata del riposo settimanale previsto dalla normativa nazionale applicabile.

Novità in materia di IVA


Risposta ad interpello del 1° marzo 2023, n. 232: Rilevanza della mancata restituzione del deposito cauzionale previsto dal contratto di affitto in attuazione di accordo transattivo – artt. 3 e 15 del D.P.R. n. 633 del 1972

Nell’ambito di un contratto di affitto, la rinuncia alla restituzione di un deposito cauzionale, effettuata da una parte contrattuale, a fronte dell’impegno della controparte a rinunciare a ogni ulteriore pretesa, integra il presupposto oggettivo dell’IVA, ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 633/72. Secondo l’Agenzia delle entrate, tra l’obbligo di non fare posto a carico della parte che si astiene dall’esecuzione del contratto e dall’agire in sede esecutiva, e la rinuncia dell’altra parte a chiedere la somma versata a titolo di deposito cauzionale, è ravvisabile un nesso di sinallagmaticità. Ne consegue che l’ammontare trattenuto sulla base dell’accordo transattivo in parola è da assoggettare a IVA. Nel caso, poi, in cui il prestatore del servizio (i.e. il soggetto che trattiene il deposito cauzionale) non abbia documentato l’operazione, attraverso l’emissione di una fattura, spetta al cessionario procedere alla regolarizzazione dell’adempimento, in virtù dell’art. 6, comma 8, del D. Lgs. n. 471/1997.

Cessioni intracomunitarie – Comunicazione numero identificativo IVA iscritto nell’archivio VIES – Art. 41, primo comma, lett. b) Decreto-legge n. 331 del 1993 (risposta ad interpello n. 230 del 1° marzo 2023)

Le vendite effettuate nei confronti di clienti con partita IVA non iscritta al registro VIES residenti in altri Paesi UE usufruiscono del regime di non imponibilità IVA soltanto se riconducibili nell’ambito delle cessioni a distanza previste dall’articolo 38-bis del DL n. 331/1993 agevolabili. In caso contrario, è necessaria l’iscrizione alla banca dati VIES per poter beneficiare della non imponibilità IVA.

Cessione ramo d’azienda a società inattiva – Inutilizzo dei requisiti della cessionaria per l’esonero dalla prestazione della garanzia dei crediti IVA chiesti a rimborso – Art. 38–bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (risposta ad interpello n. 227 del 1° marzo 2023)

Ai fini della richiesta di rimborso del credito IVA, i requisiti per l’esonero della garanzia (essere in attività, non aver ricevuto avvisi di accertamento o rettifica, etc.) si riferiscono al profilo soggettivo del richiedente il rimborso, e non anche alla specifica attività cui si riferisce l’eccedenza di credito IVA.

I medesimi requisiti non si trasferiscono con l’attività acquisita, quando ciò avvenga a termine di un’operazione straordinaria: nella specie, la cessione di un’azienda comporta per legge la cessione dei rapporti e dei crediti relativi al suo esercizio, ivi compresi i crediti d’imposta vantati dal cedente nei confronti dell’erario, ma non anche dei requisiti soggettivi del cedente. Con la conseguenza che, il credito IVA richiesto a rimborso dalla società conferitaria va pertanto garantito in difetto dei requisiti soggettivi per richiederne l’esonero.

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 28 febbraio 2023, causa C-695/20: Potere di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea – Articolo 291, paragrafo 2, TFUE – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articoli 28 e 397 – Soggetto passivo che agisce in nome proprio ma per conto terzi – Fornitore di servizi tramite mezzi elettronici – Regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 – Articolo 9 bis – Presunzione – Validità.

In virtù dell’articolo 9 bis, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 282/2011, deve ritenersi che, nel caso di servizi prestati tramite mezzi elettronici attraverso una rete di telecomunicazione, un’interfaccia o un portale quale un mercato delle applicazioni, un soggetto passivo che interviene in detta prestazione agisce sempre in nome proprio, ma per conto del prestatore di tali servizi, il quale opera in qualità di gestore della rete di telecomunicazione, come una piattaforma on-line. La presunzione contenuta all’art. 9 bis, opera a meno che chi effettui i servizi tramite la rete di telecomunicazione non venga designato quale autonomo prestatore del servizio e tale circostanza emerga dalla documentazione contrattuale. Diversamente, il gestore della piattaforma è ritenuto essere esso stesso il prestatore di tutti i servizi effettuati tramite il mezzo elettronico. Ciò, in particolare, avviene quando il gestore della piattaforma ha la facoltà di definire, in modo unilaterale, elementi essenziali relativi alla prestazione, vale a dire la sua realizzazione e il momento in cui essa avrà luogo, o le condizioni in base alle quali il corrispettivo sarà esigibile, o, ancora, le norme che formano il quadro generale di tale prestazione.

In tali circostanze, e tenuto conto della realtà economica e commerciale, il gestore della piattaforma deve essere considerato il prestatore di servizi, ai sensi dell’articolo 28 della Direttiva IVA, secondo cui, qualora un soggetto passivo che agisca in nome proprio ma per conto terzi partecipi ad una prestazione di servizi, si ritiene che quest’ultimo soggetto abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo personale.

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 9 marzo 2023, causa C-42/22: Esenzione dall’IVA – Articolo 135, paragrafo 1, lettera a) – Esenzione delle operazioni di assicurazione e di riassicurazione – Articolo 136, lettera a) – Esenzione delle cessioni di beni destinati esclusivamente ad un’attività esente – Nozione di “operazioni di assicurazione” – Rivendita di relitti di autoveicoli incidentati acquistati presso gli assicurati – Principio di neutralità fiscale.

Le operazioni consistenti nella vendita a terzi, ad opera di un’impresa di assicurazione, di relitti di autoveicoli, incidentati in occasione di sinistri coperti da tale impresa, da essa acquistati presso i proprio associati, costituiscono un’autonoma cessione di beni, come tale soggetta ad IVA. L’operazione non può qualificarsi, invece, alla stregua di un’operazione di assicurazione, come tale esente da IVA agli effetti dell’art. 135 e dell’art. 136, lett. a) della Direttiva 112/2006/CE (c.d. “Direttiva IVA”). In particolare, l’art. 135 della Direttiva IVA, che esenta le «operazioni di assicurazione e di riassicurazione, comprese le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione», intende evitare le difficoltà di determinare la corretta base imponibile dell’IVA per i premi assicurativi connessi alla copertura del rischio. Un simile rischio non è ravvisabile nell’operazione in discussione, in quanto il prezzo su cui calcolare l’IVA corrisponde al valore del bene di cui trattasi al momento della vendita stessa. Infatti, nel caso di specie, il valore del relitto costituisce il valore residuo, a seguito del sinistro, del veicolo assicurato e, quindi, per definizione, non fa parte del danno subito dall’assicurato.

L’operazione di vendita non può, neppure, considerarsi esente da IVA in quanto inscindibilmente connessa al contratto di assicurazione relativo al veicolo di cui trattasi, e, pertanto, tale da dover essere assoggettata allo stesso trattamento fiscale del contratto in parola. Sebbene, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, in taluni casi, più prestazioni formalmente distinte possano dar luogo ad un’unica operazione, da apprezzarsi unitariamente sotto il profilo fiscale, deve considerarsi che, nel caso in esame, le vendite di relitti di autoveicoli incidentati, derivano da convenzioni che sono distinte dai contratti di assicurazione che coprono tali veicoli e che sono stipulate dall’impresa di assicurazione con soggetti diversi dagli assicurati. Inoltre, gli originari proprietari dei beni non sono tenuti a cederli a detta impresa, di modo che la decisione di tali assicurati è indipendente dai contratti di assicurazione in parola ed è adottata successivamente alla conclusione degli stessi, e persino successivamente all’avverarsi del rischio coperto. Sulla base di tali elementi, non si può ritenere che le operazioni in discussione siano così strettamente connesse da costituire oggettivamente, sul piano economico, un’unica operazione, da apprezzarsi unitariamente sotto il profilo fiscale.

La vendita dei relitti non può, secondariamente, considerarsi esente da IVA in forza dell’art. 136, lettera a), Direttiva IVA che prevede l’esenzione delle cessioni di beni già destinati esclusivamente ad un’attività esente. ll termine «destinati», nella terminologia adoperata dalla Direttiva IVA, si riferisce al fatto che un bene sia adibito ad un uso determinato: e, cioè, nel caso di specie, ad essere utilizzato ai fini di un’attività consistente nella realizzazione di operazioni di assicurazione. Orbene, ciò non avviene nel caso dei beni che un’impresa di assicurazione acquista in occasione di sinistri da essa coperti e che essa destina non già ad essere usati nell’ambito della sua attività assicurativa, bensì ad essere rivenduti, nello stato in cui sono e senza essere stati utilizzati, a terzi. Quest’ultima circostanza è sufficiente a dimostrare che siffatti beni non presentano alcun interesse nell’ambito della citata attività assicurativa.

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Nel restare a Vs. disposizione per eventuali approfondimenti e/o chiarimenti, porgiamo

Cordiali saluti,

e-IUS Tax & Legal