Oggetto: Newsletter Studio e-IUS – Tax&Legal – “Le ultime novità fiscali”
Spett.le Società/Associazione,
con la presente siamo lieti di sottoporre alla Vostra attenzione le ultime novità in materia fiscale, disponibili anche sul sito dello Studio www.e-ius.it.
Indice
Novità in materia di Terzo Settore 4
Novità in materia di contenzioso 7
Novità in materia di welfare aziendale 18
Attività legislativa
D.P.C.M. Del 21 dicembre 2022
In G.U. Serie Generale n. 16 del 20.01.2023, è stato pubblicato il D.P.C.M. del 21 dicembre 2022 relativo all’approvazione del bilancio di previsione della Presidenza Consiglio dei ministri per l’anno 2023 e per il triennio 2023-2025.
Mancata conversione D.L. n. 179/2022
In G.U. Serie Generale n. 18 del 23.01.2023, è stata pubblicata la mancata conversione del decreto-legge 23 novembre 2022, n. 179, recante: «Misure urgenti in materia di accise sui carburanti e di sostegno agli enti territoriali e ai territori delle Marche colpiti da eccezionali eventi meteorologici».
Novità in materia di Terzo Settore
I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sul regime della Participation exemption per gli enti non commerciali
Con la risposta ad interpello n. 158/2023 l’agenzia delle entrate ha chiarito il regime da applicare per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazione da parte di enti non commerciali.
Più nel dettaglio, l’Agenzia delle Entrate rileva che, per la cessione di partecipazioni, gli enti non commerciali possono applicare l’esenzione di cui all’art. 87 del Tuir (regime di participation exemption o PEX) nella misura del 41,86% e non in quella del 95%.
L’art. 87 del Tuir prevede, infatti, un’esenzione con percentuali differenziate a seconda della tipologia di soggetto che detiene la partecipazione in regime d’impresa. Qualora, infatti, il soggetto detentore della partecipazione sia un soggetto passivo IRES è prevista un’esenzione del 95% della plusvalenza realizzata.
Il regime Pex può poi trovare applicazione anche nell’ambito del reddito di impresa soggetto a Irpef, disciplinato al titolo I del Tuir, con un’esenzione del 41,86%.
L’amministrazione finanziaria, dunque, stabilisce che gli enti non commerciali nella determinazione dei redditi delle singole categorie sono soggetti alle disposizioni del titolo I del Tuir (articolo 144, comma 1) e applicheranno, di conseguenza, l’esenzione nella misura prevista dall’articolo 58, comma 2, del Tuir (41,86%).
I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in materia di rimborso per ”mancato guadagno giornaliero” erogato ai Volontari di protezione civile
Con la risposta ad interpello n. 191/2023, l’agenzia è intervenuta per chiarire il regime fiscale da applicare al rimborso di cui all’articolo 39, comma 5, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (c.d. ”Codice di protezione civile”).
Nel dettaglio, con tale misura il legislatore ha inteso assicurare la concreta partecipazione alla attività di volontariato anche ai ”volontari lavoratori autonomi”, appartenenti alle organizzazioni di volontariato iscritte nell’apposito Elenco nazionale del volontariato di protezione civile prevedendo l’erogazione, ”a richiesta”, di un ”rimborso per mancato guadagno giornaliero” calcolato sulla base della dichiarazione dei redditi presentata l’anno precedente a quello in cui è stata prestata l’opera di volontariato e, comunque, nel limite di 103,30 euro giornalieri lordi.
In merito agli aspetti fiscali di tale rimborso, l’agenzia delle entrate chiarisce che, ai sensi dell’articolo 6 del Tuir, le somme corrisposte in sostituzione di mancati guadagni (lucro cessante) sono da considerare imponibili in quanto costituiscono redditi della stessa natura di quelli sostituiti.
Poiché il rimborso per mancato guadagno giornaliero è considerabile “lucro cessante” per espressa previsione del legislatore, l’amministrazione conclude per l’imponibilità di tali somme.
Tenuto conto, però, che il ”volontario lavoratore autonomo” di protezione civile mette a disposizione le proprie capacità gratuitamente e senza fini di lucro esclusivamente per fini di solidarietà, detta attività non costituisce esercizio di attività professionale e, di conseguenza, non sorge l’obbligo di fatturazione in capo al percipiente.
I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate in merito alla deducibilità delle donazioni effettuate ai sensi dell’art. 27 L. n. 133/1999
Con la risposta n. 137/2023 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la deducibilità delle donazioni effettuate a favore di alcune scuole nel periodo emergenziale. Nel dettaglio, la risposta in esame riguarda una Società che, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività didattiche a distanza (DAD) durante il periodo Covid, aveva fornito apparecchiature informatiche alle scuole provvedendo, nello specifico, all’acquisto di apposite SIM per assicurare il relativo servizio di connessione internet. L’istante si interroga dunque sulla possibilità di dedurre dal proprio reddito le spese sostenute per le donazioni del servizio di connettività.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate rileva che, ai sensi dell’art. 27 della L. 133/1999, è consentita la deduzione dal reddito d’impresa le erogazioni liberali in danaro per le popolazioni colpite da calamità, per il tramite di fondazioni, di associazioni, di comitati e di enti (comma 1) e, con riguardo alle cessioni gratuite di beni in natura, stabilisce la disapplicazione degli effetti fiscali legati alla destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (comma 2).
A parere dell’Agenzia delle Entrate, le schede SIM rappresentano non il bene oggetto della stessa donazione, ma soltanto un servizio che ha consentito la fruizione della liberalità. In altri termini, le schede non costituiscono l’oggetto della cessione ma solo il supporto fisico per mezzo del quale veicolare il servizio agli studenti. Ciò posto, l’Agenzia condivide la soluzione del contribuente in merito alla deducibilità dei relativi costi, sul presupposto della “cessione” gratuita del servizio e dell’applicazione delle previsioni di cui all’art. 27, comma 2 della L. 133/1999.
Pubblicato l’elenco aggiornato dei soggetti ammessi ed esclusi al beneficio del 5xmille
La Direzione Generale del Terzo Settore e della responsabilità sociale delle imprese ha pubblicato lo scorso 2 febbraio l’elenco aggiornato dei soggetti ammessi ed esclusi al beneficio del 5xmille per l’anno 2022.
Il decreto per il riparto del Fondo per il Dopo di Noi
Lo scorso 25 gennaio 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto interministeriale del 21 dicembre 2022, di riparto del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, cosiddetto “Dopo di noi”.
Il Fondo, istituito ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 112 del 22 giugno 2016, finanzia i percorsi di accompagnamento per le persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, o perché mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale.
A tal fine, per l’annualità 2022 il decreto assegna alle Regioni 76.100.000 euro.
Novità in materia di contenzioso
Cass.civ, Sez. V, 16/01/2023, n. 1014
In riferimento alla “utilizzabilità” della superficie, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della “prima casa”, di cui all’art. 1, terzo comma, Parte prima, Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, occorre fare riferimento alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’art. 6 del D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, in forza del quale è irrilevante il requisito dell’abitabilità dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere lussuoso di una abitazione. Dunque, il requisito dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere lussuoso di una abitazione assumendo rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – la marcata potenzialità abitativa dello stesso. Per beneficiare dell’agevolazione, pertanto, a fronte dell’irrilevanza del mero dato catastale, grava sul contribuente l’onere di provare, tramite idonea documentazione tecnica, che i vani non siano utilizzabili a scopo abitativo.
Cass.civ., Sez. V, Sent., 16/01/2023, n. 1166
Il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto. Infatti, la scelta del legislatore di depenalizzare le operazioni integranti abuso del diritto non è stata accompagnata dalla previsione della assoluta mancanza di sanzionabilità delle predette operazioni, essendo rimasta salva l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.
Cass.civ., Sez V, Sent., 17/01/2023, n. 1358
In tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’IVA, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali si determina, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta. Inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA. A tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto. Quanto al profilo sanzionatorio, nell’ipotesi di interposizione non ha rilievo il rapporto fiscale proprio della società ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività.
Cass.civ, Sez. V, 19/01/2023, n. 1544
In materia di individuazione del criterio di collegamento territoriale ai fini dell’imposizione, la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. In tale contesto generale, il luogo di svolgimento dell’oggetto principale della società non si contrappone a quello del place of effective management, ma contribuisce ad identificare quest’ultimo, come sede di direzione effettiva.
Cass.civ., Sez V, Ord., 19/01/2023, n. 1609
In tema di IVA, il versamento di un acconto sul prezzo in relazione ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare costituisce operazione imponibile ex art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972, sicché il promittente venditore è tenuto ad emettere la relativa fattura e ad esporvi l’imposta dovuta. Tuttavia, nel caso in cui la suddetta operazione venga meno, successivamente alla registrazione della fattura, in conseguenza della risoluzione del contratto che ne costituiva il presupposto, il promissario acquirente è tenuto alla necessaria rettifica, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, e ad emettere la conseguente fattura relativa alla restituzione in suo favore della somma già versata, trattandosi di operazione imponibile di segno contrario rispetto alla prima. Ove però l’originario versamento dell’acconto sul prezzo erroneamente non sia stato assoggettato ad imposta, né l’Ufficio abbia avviato le necessarie iniziative al riguardo, la restituzione della somma da parte del promittente venditore assume natura meramente finanziaria, ai fini IVA, e non può essere assoggettata ad imposta, in quanto non costituente cessione imponibile ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633 del 1972, in caso contrario determinandosi l’indebita alterazione del principio di neutralità su cui si fonda il meccanismo di funzionamento dell’imposta stessa.
Cass.civ., Sez. V, 24/01/2023, n. 2044
In caso di notifica di cartella esattoriale avente ad oggetto crediti per sanzioni non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale va fatta valere l’obbligazione tributaria per sanzioni è quello quinquennale, così come previsto dall’art. 20, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997. Quanto agli interessi, la disciplina della prescrizione, che attiene alla fase in cui essi, in quanto sorti già separati dal capitale, vengono a maturazione, deve necessariamente essere risolta in base al principio dell’autonomia, con la conseguenza che il termine prescrizionale è quello quinquennale stabilito dall’art. 2948, n. 4, cod. civ. il quale prescinde sia dalla tipologia degli interessi, sia dalla natura dell’obbligazione principale.
Cass.civ., Sez. V, Ord., 24/01/2023, n. 2097
In tema di Iva, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 bis, notifichi all’acquirente la cartella di pagamento a titolo di responsabilità solidale, la stessa non deve essere preceduta da alcuna attività accertativa nei suoi confronti, non essendo il suddetto acquirente il soggettivo passivo d’imposta. Quanto all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento notificata all’acquirente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 bis, ai fini della tutela del diritto di difesa, l’amministrazione assolve al suddetto onere quando, pur non essendo obbligata, ha fatto precedere la notifica da una comunicazione che contenga gli elementi idonei a rendere consapevole il cessionario della circostanza dell’omesso versamento di quanto dovuto dal cedente e delle ragioni per cui il prezzo di acquisto è inferiore a quello normale.
Cass. Civ., Sez. V., 23/01/2023 n. 2613: Il pagamento dei dipendenti non esclude il reato di omesso versamento IVA.
La responsabilità penale per l’omesso versamento dell’IVA non viene meno laddove si sia scelto di pagare gli stipendi dei lavoratori dipendenti. Ciò che determina la configurabilità del reato è quanto emergente dalla dichiarazione annuale ed il conseguente inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria. Il delitto è dunque punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di IVA nel periodo considerato.
Cass. Civ., Sez V., 30/01/2023 n. 2746: Il rimborso IVA spetta in caso di tardiva identificazione diretta.
La procedura di identificazione IVA ha natura meramente formale e non rientra nelle condizioni sostanziali su cui si fonda il diritto alla detrazione; conseguentemente, la tardività della procedura non può precludere la richiesta di rimborso di un soggetto extra-UE, privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, quando l’Autorità Fiscale sia messa nelle condizioni di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali per il diritto alla detrazione e la domanda non persegua finalità fraudolente o abusive.
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Novità per le imprese
INCENTIVI ALLE IMPRESE
Riversamento del credito d’imposta ricerca e sviluppo anche parziale per i verbali dopo il 22 ottobre 2021 (risposte Agenzia delle entrate videoconferenza 26.1.2023)
Ai sensi dell’art. 5 comma 12 del D.L. n. 146/2021, la procedura di riversamento non può riguardare i crediti d’imposta utilizzati in compensazione contestati «con un atto di recupero crediti, ovvero con altri provvedimenti impositivi, divenuti definitivi» al 22 ottobre 2021, data di entrata della disposizione. Sono, invece, ammessi alla procedura di riversamento i crediti per ricerca e sviluppo indebitamente compensati che siano stati constatati con atto istruttorio (i.e. processo verbale di constatazione, secondo il provv. Agenzia delle Entrate n. 188987/2022), ovvero accertati con un atto di recupero crediti o con un provvedimento impositivo non ancora divenuti definitivi al 22 ottobre 2021.
Per i processi verbali di constatazione consegnati fino al 22 ottobre 2021, il comma 12 dell’art. 5 del D.L. n. 146/2021 sancisce che: «il riversamento deve obbligatoriamente riguardare l’intero importo del credito oggetto di recupero, accertamento o constatazione, senza applicazione di sanzioni e interessi e senza possibilità di applicare la rateazione di cui al comma 10».
Con riferimento, invece, ai verbali consegnati dopo il 22 ottobre 2021, l’Agenzia delle entrate, in occasione della videoconferenza del 26.01.2023, ha precisato che si ritiene ammessa la possibilità di effettuare anche una sanatoria parziale dei rilievi indicati nei verbali medesimi, sulla base di autonome valutazioni del contribuente, che saranno successivamente oggetto di controllo da parte degli Uffici competenti, e di fruire della relativa rateazione.
Crediti d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno e nelle ZES (risposte ad interpello nn. 132, 133 e 145 del 2023)
L’Agenzia delle Entrate, con le risposte ad interpello 23 gennaio 2023, nn. 132, 133 e 145, ha fornito ulteriori indicazioni sul credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno e sul credito d’imposta ZES.
In particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate:
Nuovo Patent box – Rilevanza dei “costi pass through” (risposta ad interpello n. 159/2023)
L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello 24 gennaio 2022 n. 159, ha fornito precisazioni in merito alla disciplina del Nuovo Patent box, in relazione alla possibilità di applicare la maggiorazione del 110% a specifici costi ricerca e sviluppo ex art. 6 del DL 146/2021, nonché alla rilevanza i costi sostenuti presso soggetti terzi, riaddebitati all’investitore da una società correlata (c.d. costi “pass through“).
Ai sensi ai sensi dell’articolo 6, comma 4, del D.L. n. 146/2021, ”le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione di cui al comma 1 svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla creazione e allo sviluppo dei beni di cui al comma 3”.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto estensibile anche alla nuova disciplina quanto già previsto ai fini del precedente regime Patent box, che riconosceva, in coerenza con quanto riportato all’interno dell’Action 5, la possibilità di riaddebitare, nell’ambito di accordi infragruppo, i costi sostenuti da soggetti del gruppo. Ciò a condizione che i costi sostenuti attraverso una parte correlata nei confronti di un soggetto terzo si sostanzino in un mero riaddebito, come indicato nel citato Action 5 dove si afferma che ”quando un pagamento è effettuato per mezzo di una parte collegata a una parte non collegata senza alcun margine, il pagamento sarà incluso nelle spese qualificate” (cfr. lettera F, paragrafo 50 dell’Action 5).
Crediti d’imposta energia e gas III e IV trimestre 2022 – Comunicazione della cessione dei crediti (provv. Agenzia entrate n. 24252/2023)
L’Agenzia delle entrate, con il provv. 26 gennaio 2023 n. 24252, ha esteso ai crediti d’imposta energia e gas relativi al mese di dicembre 2022 (art. 1 del DL 176/2022) le modalità di attuazione delle disposizioni relative alla cessione e alla tracciabilità dei crediti d’imposta riconosciuti alle imprese in relazione agli oneri sostenuti per l’acquisto di prodotti energetici già previste dal provv. Agenzia delle Entrate 30 giugno 2022 n. 253445, aggiornando il relativo modello e le istruzioni.
La cessione di tali crediti d’imposta deve essere comunicata all’Agenzia delle Entrate dal 26 gennaio 2023 al 20 settembre 2023, dovendo essere ceduti entro il 30 settembre 2023.
Lo stesso termine per la comunicazione è stato previsto, in attuazione del DL Aiuti-quater, per i crediti energia e gas relativi al III trimestre 2022 (art. 6 del DL 115/2022) e ai mesi di ottobre e novembre 2022 (art. 1 del DL 144/2022).
Le medesime disposizioni attuative si applicano anche ai crediti d’imposta a favore delle imprese esercenti attività agricola e della pesca per il III e IV trimestre 2022. In tal caso, tuttavia, la comunicazione di cessione deve avvenire, rispettivamente, entro il 22 marzo 2023 e il 21 giugno 2023.
Crediti d’imposta energia e gas dicembre 2022 – Istituzione dei codici tributo (risoluzione Agenzia entrate n. 2/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 30 gennaio 2023, n. 2, ha istituito i codici tributo per consentire ai cessionari di utilizzare, in compensazione mediante il modello F24, i crediti d’imposta per l’acquisto di energia e gas relativi al mese di dicembre 2022 (art. 1 del DL 176/2022).
Nello specifico, sono stati istituiti i seguenti codici tributo:
REDDITI DI IMPRESA
Trasformazione delle DTA in crediti d’imposta – Applicazione alle cessioni di crediti deteriorati effettuate fino al 31 dicembre 2021 (risposta ad interpello n. 139/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 23 gennaio 2023, n. 139 ha fornito precisazioni in merito alla possibilità di trasformare in crediti d’imposta le ”attività per imposte anticipate” (DTA) relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE a seguito della cessione di crediti pecuniari verso ”debitori inadempienti” (art. 44-bis del DL 34/2019, come sostituito dal DL 18/2020 e successive modifiche).
La normativa prevede che, qualora una società ceda a titolo oneroso crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori considerati inadempienti, può trasformare in credito d’imposta le DTA anche se non iscritte in bilancio riferite ai seguenti componenti:
- ;
Ai fini dell’accesso al beneficio della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta, risulta valida la cessione dei crediti deteriorati avente effetto dal 19 marzo 2021, risultando irrilevante la circostanza per cui la proroga dell’agevolazione per il 2021 (estendendo il termine al 31 dicembre 2021) sia intervenuta con un provvedimento entrato in vigore successivamente a tale data.
Pertanto, sono ricomprese nell’ambito temporale dell’agevolazione tutte le cessioni di crediti deteriorati realizzatesi a partire dalla data di entrata in vigore della norma originaria fino al nuovo termine, vale a dire il 31 dicembre 2021.
Esterovestizione – Detenzione di partecipazioni di controllo (risposta ad interpello n. 164/2023)
L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello 26 gennaio 2023, n. 164 ha fornito precisazioni sull’applicabilità della presunzione relativa della residenza fiscale in Italia di società ed enti, c.d. esterovestizione.
L’art. 73, comma 5bis, TUIR stabilisce che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c., nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:
- ;
La norma, volta a contrastare il fenomeno delle esterovestizioni, ha ad oggetto le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia, ossia partecipazioni nei soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73 TUIR.
OPERAZIONI STRAORDINARIE
Fusioni – Super ACE e periodo minimo di permanenza degli incrementi patrimoniali (risposta ad interpello n. 135/2023)
Con la risposta n. 135 del 23 gennaio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito precisazioni in tema di Super ACE.
Nell’ambito della normativa ACE, in assenza di disposizioni ad hoc volte a regolare l’agevolazione in questione in presenza di operazioni straordinarie, trovano applicazione le regole fiscali previste in via generale (in caso di fusione, l’art. 172 TUIR, che reca il principio del ”subentro” della società risultante dall’operazione nelle posizioni soggettive facenti capo alle società partecipanti alla stessa).
Con riferimento alle variazioni di capitale proprio, riferibili alle società partecipanti alla fusione e intervenute ante operazione, l’incorporante deve calcolare la propria variazione di capitale ai fini della determinazione della base ACE sommando algebricamente le variazioni, tanto in aumento che in diminuzione, facenti capo a tutte le società coinvolte nell’operazione.
L’agevolazione ”rafforzata” c.d. Super ACE prevede il meccanismo di recapture del beneficio fiscale fruito, qualora nei due anni successivi a quello in corso al 31 dicembre 2021 il patrimonio netto si riduca per cause diverse dall’emersione di perdite di bilancio. Il suddetto meccanismo di recapture, per espressa previsione normativa, come già osservato, si applica esclusivamente alla Super ACE e non all’ACE cd. ordinaria.
La ratio dell’agevolazione rafforzata, con riferimento all’esercizio 2021, infatti, è quella di incentivare le imprese, indebitate a causa della crisi pandemica, che si patrimonializzano e mantengono tale ”rafforzamento patrimoniale” con riferimento ad un arco temporale almeno triennale.
Indipendentemente dalle modalità di fruizione del beneficio (inclusa quindi la sua trasformazione in credito d’imposta), se nel 202223 la variazione in aumento del capitale proprio risulta inferiore rispetto a quella del 2021, l’incentivo (anche nella forma di credito d’imposta) deve essere restituito in proporzione a tale minore importo.
Quindi, mentre la fruizione dell’ACE ordinaria derivante da un conferimento/ rinuncia a credito a favore della conferitaria (poi incorporata) da parte della conferente (poi incorporante), nell’anno ”n”, viene meno a seguito della fusione nell’anno ”n+1” senza alcun meccanismo di recupero di quanto fruito nell’anno ”n”, diversamente il meccanismo di funzionamento della Super ACE prevede che il venir meno della capitalizzazione, per effetto della fusione prospettata nell’anno ”n+1”, determini il venir meno dell’agevolazione anche per l’anno ”n”.
Fusione tra società estere con stabile organizzazione in Italia – Interruzione del consolidato fiscale (risposta ad interpello n. 140/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 23 gennaio 2023 n. 140, fornisce precisazioni in tema di consolidato fiscale e applicazione dell’art. 11, comma 2, primo periodo, del decreto ministeriale 1° marzo 2018 nell’ipotesi di fusione tra società estere aventi stabile organizzazione in Italia.
Nella specie, la fusione riguardava una capogruppo francese Alfa (che ha aderito al consolidato per il tramite della sua stabile organizzazione in Italia in qualità di consolidante), la quale incorpora una propria controllata Beta (che ha aderito al consolidato fiscale per il tramite della sua stabile organizzazione in Italia in qualità di consolidata).
Ai fini del consolidato fiscale nazionale, l’art. 11, comma 2, del Decreto attuativo, al primo periodo, stabilisce che ”la fusione tra la consolidante e una o più consolidate estingue la tassazione di gruppo tra i soggetti stessi senza gli effetti di cui all’art. 124 del testo unico”.
Una fusione (per incorporazione) nazionale estera è in linea di principio equiparabile ad una fusione domestica così come definita dal codice civile se, all’esito della stessa, la società incorporata si dissolva senza entrare in liquidazione, verificandosi una successione a titolo universale in capo alla società incorporante di tutti gli asset, i diritti e le obbligazioni della società fusa o incorporata.
La fusione per incorporazione comporterà l’interruzione del regime della tassazione di gruppo tra le loro stabili organizzazione senza gli effetti dell’articolo 124 del TUIR.
Inoltre, l’art. 11, comma 2, del Decreto attuativo, al secondo periodo, stabilisce che “nel caso di fusione per incorporazione della consolidante in una consolidata permane la tassazione di gruppo nei confronti delle altre consolidate“. L’Agenzia applica tale disposizione anche al caso di specie e conclude che il consolidato fiscale facente capo alla stabile organizzazione dell’incorporante (quale consolidante) può comunque continuare con le altre società consolidate.
Fusione inversa – ACE e rilevanza della diminuzione di patrimonio netto (risposta ad interpello n. 181/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 31 gennaio 2023 n. 181 ha fornito precisazioni in tema di rilevanza della diminuzione di patrimonio netto occorsa in seguito ad operazione di fusione inversa.
La Relazione illustrativa al Vecchio Decreto Ace da considerarsi comunque attuale anche dopo l’adozione del Nuovo Decreto Ace precisa che non si è ritenuto di prevedere alcuna disposizione specifica concernente i riflessi dell’ACE in caso di operazioni straordinarie in quanto trovano applicazione, tendenzialmente, i principi generali che connotano tali ultime operazioni. In tale contesto in merito ai criteri per la determinazione della base agevolabile (i.e. incrementi e decrementi) è ulteriormente precisato che non rilevano i decrementi conseguenti a operazioni di fusione e scissione.
Tale esclusione si giustifica in considerazione del fatto che i predetti decrementi sono conseguenti a modificazioni soggettive delle imprese coinvolte e non comportano alcuna attribuzione ai soci.
In materia ACE può farsi riferimento, in quanto compatibili, alle indicazioni a suo tempo fornite dalla prassi ministeriale in vigenza della Dual income tax (D.I.T.), in considerazione delle analogie riscontrabili nelle due agevolazioni.
In particolare, con riferimento all’applicazione della D.I.T. alle ipotesi di fusione, con diversi documenti di prassi è stato chiarito che la società risultante dalla fusione (o quella incorporante, a seconda dei casi) può, a partire dalla data in cui ha effetto la fusione, determinare l’incremento del proprio capitale investito assumendo anche la variazione in aumento del capitale investito delle società fuse o incorporate
Sul punto è stato evidenziato che il comma 4 dell’art. 5 del Nuovo Decreto Ace è finalizzato ad assicurare effetti analoghi sui diversi soggetti economici a prescindere dalle regole contabili adottate, alla luce del diverso trattamento dell’acquisto di azioni proprie in base alla nuova formulazione dei principi contabili nazionali.
Novità in materia di welfare aziendale
Ministero del Lavoro, interpello n. 1 del 2023
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato l’interpello n. 1 del 1° febbraio 2023 fornisce chiarimenti riguardo alla nomina del medico competente in relazione ai lavoratori in smart working. In particolare, premessa la definizione di medico competente, nonché il campo applicativo del T.U. in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché gli obblighi del datore di lavoro in materia,
La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro ritiene che, ai sensi dell’art. 39 del D.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro possa nominare più medici competenti, individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento, per particolari esigenze organizzative:
- nei casi di aziende con più unità produttive;
- nei casi di gruppi di imprese;
- nonché qualora emerga la necessità in relazione alla valutazione dei rischi.
Resta fermo che ogni medico competente viene ad assumere tutti gli obblighi e le responsabilità in materia ai sensi della normativa vigente.
Ministero del Lavoro: Nota relativa al mercato del lavoro – dati e analisi – gennaio 2023
È stata pubblicata, in data 27 gennaio 2023, la Nota ministeriale relativa al mercato del lavoro.
La nota è stata redatta congiuntamente dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS), dalla Banca d’Italia e dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), utilizzando due fonti informative: le Comunicazioni obbligatorie e le Dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro (DID). Per quanto concerne l’evoluzione dei rapporti di lavoro dipendente, nel 2022 sono state create circa 380.000 posizioni lavorative (al netto delle cessazioni), un valore superiore a quello registrato nel 2019, prima dell’emergenza sanitaria. L’incremento della domanda di lavoro è rimasto sostenuto fino all’inizio dell’estate, riportando l’occupazione sul sentiero di crescita pre-pandemico. Nei mesi successivi la dinamica, seppure positiva, si è indebolita: nel bimestre novembre-dicembre le attivazioni nette si sono mantenute su livelli simili a quelli del 2019 (37.000 posti di lavoro in più a fronte dei circa 33.000 di tre anni prima, al netto degli effetti stagionali). Nella prima parte del 2022 la domanda di lavoro è stata trainata soprattutto dal turismo che ha ripreso vigore fin dall’inizio della primavera. I dati di dicembre suggeriscono che anche la stagione invernale si sia ben avviata. Dall’estate del 2020 e fino ai primi mesi del 2022 le costruzioni hanno fatto registrare ritmi di crescita eccezionalmente elevati; dal secondo trimestre dello scorso anno invece l’espansione si è indebolita, fornendo un contributo modesto. Nel 2022 le attivazioni nette nella manifattura sono state superiori a quelle del 2021; la creazione dei posti di lavoro è proseguita a tassi sostanzialmente costanti anche negli ultimi due mesi dell’anno, nonostante il rallentamento nei comparti a maggiore intensità energetica.
Nel 2022 all’incremento occupazionale ha contribuito quasi esclusivamente la componente a tempo indeterminato, che nell’anno precedente aveva invece rappresentato solo il 40 per cento delle attivazioni nette. Sono stati creati oltre 410.000 posti di lavoro stabili, a fronte di una sostanziale stazionarietà degli impieghi a termine e di un calo di oltre 50.000 unità dei contratti di apprendistato. Nella prima fase dopo la pandemia, in un contesto di elevata incertezza, il recupero dell’occupazione era stato sospinto soprattutto dalle posizioni a tempo determinato; dalla seconda metà del 2021, quando la ripresa si è consolidata, le imprese sono tornate ad assumere con contratti permanenti e a trasformare le posizioni temporanee attivate nei mesi precedenti. La ricomposizione della forza di lavoro si è però stabilizzata alla fine del 2022, anche in conseguenza del rallentamento complessivo del mercato del lavoro; in dicembre il numero dei contratti a termine ha ripreso a salire.
Nel 2022 l’occupazione è aumentata sia per gli uomini sia per le donne; tuttavia, in dicembre per la componente femminile le attivazioni nette sono state nulle. Nella seconda parte dello scorso anno la creazione di posti di lavoro ha rallentato nel Centro Nord e si è fermata nel Mezzogiorno, dove il saldo è risultato negativo per circa 12.000 unità, al netto di fattori stagionali. In particolare, nelle regioni meridionali la fase espansiva si è interrotta una volta esaurita la spinta del comparto edile che aveva contribuito alla crescita occupazionale del 2022 per circa il 30 per cento. Nello scorso anno la domanda di lavoro del Sud e delle Isole ha pesato nella creazione di nuove posizioni lavorative in Italia per circa un quinto, valore inferiore a quello del 2021 (quasi un terzo).
Nell’ultimo biennio è stato creato quasi un milione di nuovi posti di lavoro alle dipendenze nel settore privato non agricolo (al netto delle cessazioni). La ripresa ha riassorbito completamente la caduta causata dall’emergenza sanitaria: lo scorso marzo il numero di contratti attivati è tornato sul sentiero di crescita che si sarebbe registrato se tra il 2020 e il 2022 l’evoluzione della domanda di lavoro si fosse mantenuta sugli stessi ritmi del periodo 2018-19. Le dinamiche sono state tuttavia eterogenee tra i diversi comparti, delineando fenomeni di ricomposizione riconducibili sia agli effetti della pandemia, sia alle misure di politica economica adottate negli ultimi anni o tuttora vigenti. Il turismo, che aveva trainato l’espansione dell’occupazione nel 2019, è stato il settore che ha maggiormente risentito della crisi sanitaria. Malgrado il buon andamento della stagione estiva del 2022 i margini di recupero rimangono ampi. Al contrario le costruzioni, favorite anche dagli interventi governativi per la riqualificazione degli edifici, hanno registrato tassi di crescita estremamente elevati: negli ultimi tre anni sono stati creati quasi 280.000 posti di lavoro (oltre un quarto del totale), a fronte dei 70.000 del biennio precedente. Nonostante il più recente rallentamento, la domanda di lavoro in questo settore dovrebbe rimanere sostenuta anche in relazione ai piani di investimento previsti dal PNRR.
Durante la pandemia il ricorso a forme di lavoro da remoto e la fruizione di servizi digitali sono aumentati. Nei settori della tecnologia dell’informazione e della comunicazione (ICT) la domanda di lavoro ha accompagnato questa tendenza, intensificandosi già nel corso del 2020. Nell’ultimo anno sono state attivate quasi 30.000 nuove posizioni, un terzo in più rispetto al 2019. Ciò nonostante, il comparto appare ancora di dimensione modesta: ha contribuito per meno di un decimo alla crescita complessiva della domanda di lavoro nel 2022.
Il rallentamento del mercato del lavoro nella seconda metà dello scorso anno si è riflesso anche sulla dinamica della disoccupazione amministrativa. Alla flessione del numero di disoccupati nel primo semestre è seguita una risalita a partire dalla fine dell’estate, accentuatasi in autunno, quando molti contratti a tempo determinato sono giunti a scadenza. Nei primi undici mesi dell’anno il numero di disoccupati è comunque diminuito di circa 120.000 unità, una riduzione significativa anche se meno pronunciata rispetto a quella del 2021. Il rapporto fra reingressi nello stato di disoccupato dopo un impiego non superiore a sei mesi e le uscite verso l’occupazione nel semestre precedente è aumentato in autunno, segnalando un marcato accorciamento della durata media dei contratti di lavoro, già in atto dall’estate.
Ispettorato del Lavoro, Nota n. 162 del 24 gennaio 2023
Con Nota n. 162 del 24 gennaio 2023 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità di procedere alla sospensione nei confronti di un’impresa che occupi un solo dipendente in nero, con conseguente violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del documento di valutazione dei Rischi (DVR) e della nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP).
Sebbene il T.U. per la sicurezza sul lavoro (D.lgs. n. 81/2008) escluda il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare se il lavoratore “in nero” risulti l’unico occupato dall’impresa, l’Ispettorato osserva che tale eccezione è riferita alle sole ipotesi di occupazione di lavoratori irregolari.
Pertanto, tale esclusione non trova applicazione qualora vengano contestualmente rilevate anche gravi violazioni in materia di prevenzione indicate nell’allegato 1 al D.lgs. n. 81/2008, tra le quali sono comprese la mancanza del Documento di valutazione dei rischi (DVR) e/o la mancata nomina del RSPP, da sole sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare.
In ogni caso, aggiunge l’Ispettorato, qualora non sia adottato il provvedimento di sospensione per via della citata eccezione, il personale ispettivo dovrà comunque imporre ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza e per la salute dei lavoratori durante il lavoro, disponendo l’allontanamento del lavoratore sino alla completa regolarizzazione anche sotto il profilo prevenzionistico.
Circolare INPS n. 7 del 24 gennaio 2023: indicazioni operative ai datori di lavoro per la gestione dell’esonero contributivo dei dipendenti
Con la circolare n. 7 del 2023, l’INPS ha fornito le indicazioni operative per l’applicazione dell’esonero contributivo spettante ai lavoratori dipendenti, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 281, della legge di bilancio 2023. In particolare, l’esonero è riconosciuto nella misura:
- del 3%, se l’imponibile ai fini previdenziali non supera i 1.923 euro;
- del 2%, se l’imponibile ai fini previdenziali non supera i 2.692 euro.
La verifica del rispetto della soglia reddituale deve essere effettuata nel singolo mese di paga. Ne consegue che la riduzione della quota dei contributi previdenziali dovuta dal lavoratore:
- potrà assumere misura diversa in ragione della retribuzione effettivamente percepita;
- potrà non applicarsi, in caso di superamento del massimale di 2.692 euro.
Non è possibile operare compensazioni di importi retributivi tra un mese ed il successivo.
L’esonero contributivo è cumulabile, per i periodi di paga dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, con l’esonero previsto dalla legge di bilancio 2022 per le lavoratrici madri dipendenti del settore privato.
Qualora i contratti collettivi di lavoro prevedano l’erogazione della quattordicesima mensilità, nel mese di erogazione la riduzione contributiva spetta solo nell’ipotesi in cui l’ammontare della mensilità aggiuntiva (o dei suoi ratei), sommati alla retribuzione imponibile, non ecceda il massimale di retribuzione mensile previsto per la legittima applicazione delle due riduzioni.
Altre precisazioni riguardano il cumulo e le variazioni dei rapporti di lavoro. In sintesi:
- in caso di variazione del rapporto di lavoro comportanti la presentazione di più denunce individuali per il medesimo lavoratore (ad esempio, variazione da part-time a full-time, trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato), il massimale contributivo mensile deve riferirsi all’intero rapporto di lavoro: dunque, il massimale del singolo mese dii competenza deve essere verificato sulla complessiva retribuzione imponibile;
- nel caso di operazioni societarie e di cessione di contratto che comportano il passaggio dei lavoratori, nel corso del mese e senza soluzione di continuità, da un soggetto ad un altro, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario, verificandosi la sola modificazione soggettiva del rapporto già in atto. La verifica del massimale deve tenere conto della complessiva retribuzione imponibile;
- qualora il lavoratore, nel corso del mese, svolga la propria prestazione presso più datori di lavoro, il calcolo del massimale deve essere effettuato distintamente per ciascun rapporto di lavoro.
Nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia cessato il proprio rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2022, e nel corso dell’anno 2023 siano state erogate le ultime competenze (ad esempio residui di ferie e permessi, ratei di mensilità aggiuntive), su queste ultime non potrà trovare applicazione l’esonero contributivo in parola.
Infine, è possibile che nel singolo mese la riduzione applicata sulla retribuzione mensile abbia una entità diversa rispetto alla riduzione applicata sul rateo di tredicesima: infatti, la verifica del rispetto delle soglie retributive deve essere effettuata in maniera distinta sulla retribuzione mensile e i relativi ratei di tredicesima.
Circolare INPS n. 11 del 1° febbraio 2023: determinazione, per l’anno 2023, del limite minimo di retribuzione giornaliera e aggiornamento dei valori per il calcolo delle contribuzioni dovute in materia di previdenza e assistenza sociale per la generalità dei lavoratori dipendenti
Con la Circolare n. 11 del 2023 l’INPS ha provveduto ad aggiornare i minimali e massimali di contribuzione per tutte le categorie di lavoratori subordinati. Nel dettaglio, il minimale giornaliero retributivo aumenta per l’anno 2023, attestandosi nella misura di euro 53,95 euro. Quanto al datore di lavoro, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale o accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo (art. 1, comma 1, D.L. 338/1989, convertito in L. n. 389/1989).
Anche i datori di lavoro non aderenti alla disciplina prevista dalla contrattazione collettiva sono obbligati al rispetto dei trattamenti retributivi ivi previsti.
Per determinare l’imponibile contributivo, il datore di lavoro deve raffrontare la retribuzione effettiva con quella individuata dai minimali di legge e contrattuali:
- se superiore ai minimali di legge, la contribuzione deve essere calcolata sulla retribuzione effettiva;
- se inferiore ai minimali, ai fini del versamento dei contributi, l’imponibile contributivo deve essere parametrato a questi ultimi.
Per i lavoratori a tempo parziale, il minimale è orario e si ottiene:
- rapportando il minimale giornaliero alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale;
- dividendo l’imposto ottenuto con il numero delle ore settimanali previste contrattualmente per il lavoro a tempo pieno.
È prevista, a carico del lavoratore, un’aliquota aggiuntiva dell’1% sulle quote eccedenti il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile. Il contributo aggiuntivo è dovuto nei casi in cui il regime pensionistico di iscrizione preveda aliquote contributive a carico del lavoratore inferiori al 10%.
Posto che la prima fascia di retribuzione pensionabile è determinata, per l’anno 2023, in euro 52.190,00, l’aliquota aggiuntiva in parola deve essere applicata sulla quota di retribuzione eccedente tale tetto retributivo che, rapportato ai 12 mesi, è pari ad euro 4.349,00 euro.
Quanto al massimale contributivo annuo per i dipendenti del settore privato, questo è pari, per l’anno 2023, ad euro 113.520,00.
I datori di lavoro che non abbiano potuto tenere conto dei valori contributivi aggiornati possono regolarizzare la loro posizione, senza oneri aggiuntivi, entro il 16 maggio 2023.
Circolare INPS n. 14 del 3 febbraio 2023: aggiornamento delle misure dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno ordinario e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo dii solidarietà del credito cooperativo, dell’indennità di disoccupazione NASpI, dell’indennità di disoccupazione DIS-COLL, dell’indennità di disoccupazione agricola nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili
Con la Circolare n. 14 del 2023, l’INPS aggiorna le misure dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno ordinario e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo dii solidarietà del credito cooperativo, dell’indennità di disoccupazione NASpI, dell’indennità di disoccupazione DIS-COLL, dell’indennità di disoccupazione agricola nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili in vigore per l’anno 2023. In sintesi:
- gli importi massimi mensili dei trattamenti di integrazione salariale sono pari a 1.352,19 lordi (1.244,36 netti) o, per i trattamenti di integrazione salariale concessi in favore delle imprese del settore edile e lapideo per intemperie stagionali, 1.585,84 lordi (1.470,99 netti);
- l’importo di riferimento per il calcolo delle indennità di disoccupazione NASpI è pari ad euro 1.352,19 per il 2023. L’importo massimo mensile dell’indennità non può in ogni caso superare, per il 2022, euro 1.470,99;
- la retribuzione di riferimento per il calcolo della indennità di disoccupazione DIS-COLL è pari ad euro 1.352,19, per il 2023; l’importo massimo mensile è pari a euro 1.470,99;
- l’indennità di disoccupazione ordinaria agricola con requisiti normali, da liquidare nell’anno 2023 con riferimento ai periodi di attività svolti nel corso dell’anno 2022, è pari ad euro 1.222,51 (massimale più alto) e ad euro 998,18 (massimale più basso);
- per il calcolo dell’indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS), la retribuzione di riferimento è pari a 1.352,19 euro.
- il reddito da prendere a riferimento per il riconoscimento della prestazione Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO) nell’anno 2023 è pari a 8.972,04 euro. L’importo mensile dell’ISCRO per l’anno 2022 non può essere inferiore a 275,38 euro e non può superare l’importo di 881,23 euro;
- l’importo mensile dell’assegno spettante ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili è pari, dal 1° gennaio 2023, ad euro 656,44.
INPS, messaggio n. 467 del 1° febbraio 2023: pensione anticipata, cd. opzione donna – presentazione delle domande telematiche
Con il messaggio n. 467 del 2023, l’INPS comunica che il sistema di gestione delle domande di pensione è stato implementato per consentire la presentazione dell’istanza di pensione anticipata cd. opzione donna. La procedura di richiesta è attiva sul portale istituzionale dell’INPS per tutte le lavoratrici in possesso dei requisiti aggiornati dalla legge di bilancio 2023.
Nel dettaglio, le domande possono essere presentate:
- sul sito internet www.inps.it, accedendo tramite SPID, CNS o CIE, seguendo il percorso “Prestazioni e servizi” > “Servizi” > “Pensione anticipata – Opzione donna” – “Domanda”;
- utilizzando i servizi telematici offerti dagli istituti di Patronato riconosciuti dalla legge;
- chiamando il Contact Center Integrato al numero verde 803164 o il numero 06164164.
La pensione è individuata dal nuovo prodotto “Pensione anticipata opzione donna legge di bilancio 2023”, e dovrà essere indicata la tipologia di riferimento tra:
- lavoratrici disoccupate;
- lavoratrici che assistono persone con handicap in situazione di gravità;
- lavoratrici con riconoscimento di invalidità civile almeno pari al 74%.
Agenzia delle entrate, Risposte ad interpello nn. 167 e 168 del 26 gennaio 2023
In data 26 gennaio 2023 l’Agenzia delle entrate ha pubblicato le risposte ad interpello nn. 167 e 168, aventi ad oggetto la perdita del requisito di PMI innovativa e il piano di stock option.
In base a quanto precisato dall’Agenzia, i redditi di lavoro dipendente derivanti dalle attribuzioni di azioni, trattandosi di compensi in natura, devono essere valorizzati secondo quanto previsto dall’art. 51, comma 3, del TUIR, che rimanda al “valore normale” di cui all’art. 9 TUIR.
Per individuare il momento rilevante ai fini impositivi in presenza di un diritto di opzione che non sia liberamente cedibile a terzi (cd. stock option), rileva il momento di esercizio di tale diritto, indipendentemente dalla data di emissione o di consegna dei titoli stessi o delle annotazioni contabili successive.
In particolare, nella risoluzione 12 dicembre 2007, n. 366/E, al fine di determinare il momento nel quale far assumere rilevanza fiscale all’esercizio del diritto d’opzione posto in essere dal lavoratore dipendente e stabilire quale sia il momento in cui le azioni possono considerarsi entrate nella disponibilità del dipendente, si precisa che momento rilevante è quello in cui il dipendente acquisisce il diritto partecipativo (e non in quello in cui riceve materialmente il titolo azionario).
In tale documento di prassi, con riferimento al significato del termine “assegnazione di azioni”, si ribadisce che il trasferimento della proprietà dei titoli azionari e dei diritti in essi incorporati si perfeziona con il semplice consenso del soggetto titolare del diritto di opzione, riconducibile alla dichiarazione di esercizio del diritto di opzione medesimo.
In tale contesto, si rileva che il regime di tassazione dei redditi da lavoro dipendente e assimilato derivanti dall’esercizio di stock option o dall’assegnazione di azioni è derogato dalle disposizioni agevolative contenute nell’art. 27, D.L. n. 179/2012 (“Remunerazione con strumenti finanziari della startup innovativa e dell’incubatore certificato”), attraverso il quale si dispone che il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle startup innovative di cui all’art. 25, comma 2, e degli incubatori certificati di cui all’art. 25, comma 5, ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari, non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi, a condizione che tali strumenti finanziari o diritti non siano riacquistati dalla startup innovativa o dall’incubatore certificato, dalla società emittente o da qualsiasi soggetto che direttamente controlla o è controllato dalla startup innovativa o dall’incubatore certificato, ovvero è controllato dallo stesso soggetto che controlla la startup innovativa o l’incubatore certificato.
Qualora gli strumenti finanziari o i diritti siano ceduti in contrasto con tale disposizione, il reddito di lavoro che non ha previamente concorso alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione.
Va altresì rilevato che il comma 9 dell’art. 4, D.L. n. 3/2015, contenente disposizioni in materia delle piccole e medie imprese innovative, rinvia espressamente all’art. 27, D.L. n. 179/2012; pertanto, tale regime di esenzione trova applicazione anche con riferimento ai redditi di lavoro derivanti dall’esercizio di stock option e dall’assegnazione di azioni relativi a piani di incentivazione implementati da PMI innovative.
Si chiarisce poi che la cessazione della possibilità di assegnare strumenti finanziari e diritti di opzione con il regime fiscale incentivato (per decorso dei termini o perdita dei requisiti per le startup innovative, per perdita dei requisiti per gli incubatori certificati), non comporta, di per sé, il venir meno della possibilità di applicare il regime fiscale di favore a quelli già assegnati.
In altri termini, gli strumenti finanziari e i diritti di opzione già assegnati alla data di cessazione dell’applicazione delle disposizioni sulle startup innovative continueranno a beneficiare del regime fiscale di favore, anche nell’ipotesi in cui siano assegnati diritti di opzione il cui periodo di “vesting” per l’esercizio del diritto sia successivo a detta data.
Sia pur con esplicito riferimento alle attività svolte alle startup e agli incubatori, si afferma in sostanza che l’assegnazione è il momento in cui deve essere valutata la sussistenza dei requisiti per essere considerate startup innovative ai fini dell’applicazione della relativa esenzione.
Deve essere rilevato, a tale proposito, che l’estensione del regime di esenzione fiscale e contributiva del reddito di lavoro dipendente derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari (o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari) alle PMI innovative è stato introdotto dal D.L. n. 3/2015, mutuando dal D.L. n. 179/2012 la medesima ratio di favorire la nascita e lo sviluppo di attività a forte contenuto di innovazione tecnologica.
Con riferimento all’applicazione del regime di esenzione fiscale e contributiva del reddito di lavoro dipendente derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di strumenti finanziari emessi dalle start up innovative e/o dagli incubatori certificate, si precisa che tale provvedimento legislativo trae origine innanzitutto dalla volontà del legislatore di favorire “la nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative”, fornendo alle “start up innovative e agli incubatori certificati il necessario strumento per favorire la fidelizzazione e l’incentivazione del management”.
Nel medesimo principio di diritto, inoltre, si afferma che la stessa filosofia ispira l’estensione disposta dal D.L. n. 3 del 2015 alle PMI innovative (di alcune) delle misure agevolative già riconosciute alle start up innovative, alle quali sono applicabili, in linea di principio, gli stessi principi.
I chiarimenti forniti con riferimento ai piani di incentivazione implementati da startup innovative possano trovare applicazione anche con riferimento a quelli implementati da PMI innovative e ai fini dell’applicabilità dell’esenzione rileva la circostanza che le opzioni e i diritti siano attribuiti ai beneficiari dalla Società al momento in cui quest’ultima si qualifica quale PMI innovativa, a prescindere dal fatto che tale qualifica sussista o meno al momento dell’esercizio dell’opzione o dell’accettazione delle azioni da parte dei beneficiari.
Agenzia delle Entrate, Risposta ad interpello n. 170 del 2023
Con la Risoluzione n. 170 del 2023, l’Amministrazione finanziaria ha fornito indicazioni in tema di assoggettamento ad imposta del reddito di lavoro dipendente in ipotesi di cambio di residenza in corso d’anno. Nello specifico, il lavoratore istante dichiarava di essere residente in Germania, di aver effettuato l’iscrizione all’AIRE ad agosto, di essere stato assunto alle dipendenze di una società tedesca a settembre dello stesso anno e di non aver percepito in tale annualità alcun reddito in Italia.
Ciò posto, l’Istante chiedeva all’Agenzia chiarimenti in merito alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia, relativamente all’anno di riferimento.
Nel caso in esame, il Trattato Italia – Germania per evitare le doppie imposizioni richiama, con riguardo alla definizione del concetto di residenza, la nozione contenuta nelle normative interne dei due Stati contraenti (art. 4, § 1). Nell’ipotesi in cui, applicando le suddette normative interne, il soggetto risulti residente di entrambi gli Stati contraenti, il successivo § 2 dell’art. 4 del Trattato internazionale stabilisce, conformemente al Modello OCSE di Convenzione, le cosiddette tie breaker rules per dirimere tali conflitti. Tali regole fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente, cui seguono, in ordine gerarchico:
- il centro degli interessi vitali;
- il soggiorno abituale;
- la nazionalità del Contribuente.
Ciò premesso, l’Amministrazione finanziarie fornisce le proprie valutazioni nel presupposto di una residenza fiscale in Germania dell’Istante, ai sensi della normativa interna di tale Stato.
Al riguardo, si osserva che il Trattato con la Germania, seguendo le raccomandazioni formulate nel § 10 del Commentario all’art. 4 del Modello OCSE, reca una disposizione che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso dell’anno.
Pertanto, nella fattispecie prospettata dall’Istante, il conflitto di residenza deve essere risolto invocando la clausola del frazionamento del periodo di imposta contenuta nel punto 3 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Italia-Germania. A tal fine, va assunta come data spartiacque quella del cambio di domicilio, con la conseguenza che, in linea di principio:
- l’Italia può esercitare la propria potestà impositiva fino alla data in cui è intervenuto il cambio del domicilio;
- la Germania può esercitare la propria pretesa impositiva dal giorno successivo.
Ne consegue che il reddito derivante dall’attività lavorativa svolta in Germania a partire da settembre è soggetto a tassazione in Germania in base a quanto previsto dall’art. 15 § 1 della Convenzione Italia-Germania. Tale norma stabilisce, infatti, che le remunerazioni ricevute in corrispettivo di un’attività di lavoro dipendente sono imponibili soltanto nello Stato di residenza, a meno che tale attività non sia svolta nell’altro Stato (circostanza non verificata nel caso di specie).
Il reddito corrisposto per l’attività lavorativa svolta in Germania non deve quindi essere assoggettato a tassazione in Italia.
Agenzia delle Entrate, risposta a interpello n. 171 del 26 gennaio 2023
Con la risposta n. 171 del 2023, l’Amministrazione finanziaria ha confermato che il residente italiano che svolge la propria attività da remoto dal proprio domicilio alle dipendenze del datore di lavoro svizzero non potrà più essere considerato frontaliere ai fini fiscali a decorrere dalla data di cessazione degli effetti degli accordi “COVID”, fissata al 1° febbraio 2023.
I chiarimenti dell’Agenzia toccano due profili di interesse. In particolare:
- il rapporto tra normativa fiscale e normativa previdenziale;
- le modalità di quantificazione della parte di reddito assoggettata alle regole ordinarie (le quali si sostanziano nella tassazione del reddito in entrambi gli Stati).
Il caso esaminato è quello di un soggetto che aveva ottenuto, in epoca COVID, l’autorizzazione a svolgere da remoto una porzione del proprio lavoro sino al 25% dei giorni lavorativi complessivi. Con riguardo al primo profilo, la richiesta avanzata dal contribuente riguardava la possibilità di applicare alla fattispecie in esame le previsioni dei Regolamenti europei n. 883 del 2004 e 987 del 2009, che accordano ai frontalieri l’adozione della sola legislazione dello Stato ove ha sede il datore di lavoro, anche se una parte dell’attività lavorativa (non superiore al 25% della retribuzione e/o dell’orario di lavoro) viene svolta da remoto nello Stato di residenza del lavoratore. L’Agenzia rispondeva negativamente sulla scorta della prassi consolidata per cui la qualifica di frontaliere è subordinata allo spostamento fisico quotidiano della persona dal proprio domicilio al luogo di lavoro nell’altro Stato. Il secondo chiarimento riguarda le modalità di ripartizione della potestà impositiva tra Italia e Svizzera. Sempre avendo a riguardo la suddivisione della prestazione lavorativa sopra indicata (75% dei giorni lavorati in presenza in Svizzera e 25% dei giorni lavorati da remoto in Italia), una delle possibili ipotesi sarebbe stata quella di considerare la persona quale frontaliere “pro quota”, limitatamente al 75% del reddito. Questa ipotesi viene esclusa dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, tutto il reddito prodotto viene escluso dai criteri impositivi enucleati dall’art. 15 paragrafo 4 della Convenzione Italia-Svizzera, il quale, con rimando all’Accordo del 1974, riconosce alla Svizzera il potere esclusivo di tassazione.
In definitiva, in base all’art. 15 par. 1 della Convenzione Italia-Svizzera:
- la porzione di reddito corrispondente al 75% dei giorni lavorati in Svizzera viene assoggettata a tassazione sia in Italia, sia in Svizzera (con credito in Italia per le imposte pagate in Svizzera);
- la porzione di reddito corrispondente al 25% dei giorni lavorati da remoto in Italia viene assoggettata a tassazione esclusiva in Italia (in questo caso, infatti, coincidono la residenza del lavoratore e il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa).
Novità in materia di IVA
Risposta ad interpello del 23 gennaio 2023, n. 136: Cessione all’esportazione diretta.
L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sul trattamento IVA applicabile alle transazioni di beni “a catena”, esaminando il caso della società UE che acquista in Italia da un fornitore estero e, successivamente, cede i beni (cosmetici) ai propri distributori extra UE.
Per quanto riguarda il rapporto fra la società UE ed il fornitore estero non stabilito in Italia, l’operazione risulta territorialmente rilevante ai fini IVA in Italia. Trattandosi di un’operazione effettuata tra due soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del DPR 633/72, l’imposta relativa alla cessione dei beni va assolta, senza applicazione del reverse charge, dal fornitore estero, il quale è tenuto a identificarsi in Italia ex art. 35-ter del DPR 633/72 ovvero a nominare un proprio rappresentante fiscale.
Il secondo rapporto attiene, invece, alla cessione effettuata nei confronti dei distributori extra-UE. In questo caso, assume rilievo la circostanza che il trasporto dei beni fuori dal territorio UE viene effettuato dal terzo gestore del magazzino per conto della società cedente. In considerazione di ciò, si ritiene che l’operazione configuri un’esportazione c.d. diretta non imponibile ex art. 8, comma 1, lett. a), del DPR 633/72. In tale contesto, l’IVA assolta dalla predetta società UE con riferimento per i beni e servizi acquistati in Italia dal fornitore extra-UE potrà essere portata in detrazione secondo le regole ordinarie di cui agli artt. 19 e ss. del dPR 633/72, sempreché ne sia riscontrata l’inerenza e l’afferenza degli acquisti rispetto alle operazioni effettuate “a valle” dalla Società.
Risposta ad interpello del 31 gennaio 2023, n. 182: Qualificazione delle operazioni di cessione del medicinale effettuate al prezzo simbolico di 1 euro per finalità promozionali.
La cessione di farmaci per finalità promozionali al corrispettivo simbolico di 1 euro non esclude che la congruità del corrispettivo possa formare oggetto di indagine in sede di accertamento e costituire un elemento idoneo ad una riqualificazione delle operazioni, tenendo conto dello specifico assetto di interessi delle parti.
Risposta ad interpello del 2 febbraio 2023, n. 188: Trattamento IVA del servizio di cassa reso da un istituto di credito ad un soggetto obbligato al regime di rilevazione SIOPE
Il presupposto per l’esenzione IVA riservato alle operazioni di natura finanziaria annoverate all’art. 10, primo comma, n. 1) dPR 633/1972 è di carattere oggettivo, in quanto si applica indipendentemente dal soggetto che pone in essere l’attività nonché dalle modalità tecniche, elettronica, automatica o manuale, con cui i servizi sono realizzati. Rientrano nel regime in parola anche le operazioni relative al conto corrente di Tesoreria e al conto corrente bancario on line multiutenza dedicato al servizio di tesoreria, di incassi e di pagamenti nonché rilascio e gestione delle carte di credito reso da un istituto di credito a un soggetto obbligato al regime di rilevazione “SIOPE+”.
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Nel restare a Vs. disposizione per eventuali approfondimenti e/o chiarimenti, porgiamo
Cordiali saluti,
e-IUS Tax & Legal
Oggetto: Newsletter Studio e-IUS – Tax&Legal – “Le ultime novità fiscali”
Spett.le Società/Associazione,
con la presente siamo lieti di sottoporre alla Vostra attenzione le ultime novità in materia fiscale, disponibili anche sul sito dello Studio www.e-ius.it.
Indice
Novità in materia di Terzo Settore 4
Novità in materia di contenzioso 7
Novità in materia di welfare aziendale 18
Attività legislativa
D.P.C.M. Del 21 dicembre 2022
In G.U. Serie Generale n. 16 del 20.01.2023, è stato pubblicato il D.P.C.M. del 21 dicembre 2022 relativo all’approvazione del bilancio di previsione della Presidenza Consiglio dei ministri per l’anno 2023 e per il triennio 2023-2025.
Mancata conversione D.L. n. 179/2022
In G.U. Serie Generale n. 18 del 23.01.2023, è stata pubblicata la mancata conversione del decreto-legge 23 novembre 2022, n. 179, recante: «Misure urgenti in materia di accise sui carburanti e di sostegno agli enti territoriali e ai territori delle Marche colpiti da eccezionali eventi meteorologici».
Novità in materia di Terzo Settore
I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sul regime della Participation exemption per gli enti non commerciali
Con la risposta ad interpello n. 158/2023 l’agenzia delle entrate ha chiarito il regime da applicare per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazione da parte di enti non commerciali.
Più nel dettaglio, l’Agenzia delle Entrate rileva che, per la cessione di partecipazioni, gli enti non commerciali possono applicare l’esenzione di cui all’art. 87 del Tuir (regime di participation exemption o PEX) nella misura del 41,86% e non in quella del 95%.
L’art. 87 del Tuir prevede, infatti, un’esenzione con percentuali differenziate a seconda della tipologia di soggetto che detiene la partecipazione in regime d’impresa. Qualora, infatti, il soggetto detentore della partecipazione sia un soggetto passivo IRES è prevista un’esenzione del 95% della plusvalenza realizzata.
Il regime Pex può poi trovare applicazione anche nell’ambito del reddito di impresa soggetto a Irpef, disciplinato al titolo I del Tuir, con un’esenzione del 41,86%.
L’amministrazione finanziaria, dunque, stabilisce che gli enti non commerciali nella determinazione dei redditi delle singole categorie sono soggetti alle disposizioni del titolo I del Tuir (articolo 144, comma 1) e applicheranno, di conseguenza, l’esenzione nella misura prevista dall’articolo 58, comma 2, del Tuir (41,86%).
I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in materia di rimborso per ”mancato guadagno giornaliero” erogato ai Volontari di protezione civile
Con la risposta ad interpello n. 191/2023, l’agenzia è intervenuta per chiarire il regime fiscale da applicare al rimborso di cui all’articolo 39, comma 5, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (c.d. ”Codice di protezione civile”).
Nel dettaglio, con tale misura il legislatore ha inteso assicurare la concreta partecipazione alla attività di volontariato anche ai ”volontari lavoratori autonomi”, appartenenti alle organizzazioni di volontariato iscritte nell’apposito Elenco nazionale del volontariato di protezione civile prevedendo l’erogazione, ”a richiesta”, di un ”rimborso per mancato guadagno giornaliero” calcolato sulla base della dichiarazione dei redditi presentata l’anno precedente a quello in cui è stata prestata l’opera di volontariato e, comunque, nel limite di 103,30 euro giornalieri lordi.
In merito agli aspetti fiscali di tale rimborso, l’agenzia delle entrate chiarisce che, ai sensi dell’articolo 6 del Tuir, le somme corrisposte in sostituzione di mancati guadagni (lucro cessante) sono da considerare imponibili in quanto costituiscono redditi della stessa natura di quelli sostituiti.
Poiché il rimborso per mancato guadagno giornaliero è considerabile “lucro cessante” per espressa previsione del legislatore, l’amministrazione conclude per l’imponibilità di tali somme.
Tenuto conto, però, che il ”volontario lavoratore autonomo” di protezione civile mette a disposizione le proprie capacità gratuitamente e senza fini di lucro esclusivamente per fini di solidarietà, detta attività non costituisce esercizio di attività professionale e, di conseguenza, non sorge l’obbligo di fatturazione in capo al percipiente.
I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate in merito alla deducibilità delle donazioni effettuate ai sensi dell’art. 27 L. n. 133/1999
Con la risposta n. 137/2023 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la deducibilità delle donazioni effettuate a favore di alcune scuole nel periodo emergenziale. Nel dettaglio, la risposta in esame riguarda una Società che, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività didattiche a distanza (DAD) durante il periodo Covid, aveva fornito apparecchiature informatiche alle scuole provvedendo, nello specifico, all’acquisto di apposite SIM per assicurare il relativo servizio di connessione internet. L’istante si interroga dunque sulla possibilità di dedurre dal proprio reddito le spese sostenute per le donazioni del servizio di connettività.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate rileva che, ai sensi dell’art. 27 della L. 133/1999, è consentita la deduzione dal reddito d’impresa le erogazioni liberali in danaro per le popolazioni colpite da calamità, per il tramite di fondazioni, di associazioni, di comitati e di enti (comma 1) e, con riguardo alle cessioni gratuite di beni in natura, stabilisce la disapplicazione degli effetti fiscali legati alla destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (comma 2).
A parere dell’Agenzia delle Entrate, le schede SIM rappresentano non il bene oggetto della stessa donazione, ma soltanto un servizio che ha consentito la fruizione della liberalità. In altri termini, le schede non costituiscono l’oggetto della cessione ma solo il supporto fisico per mezzo del quale veicolare il servizio agli studenti. Ciò posto, l’Agenzia condivide la soluzione del contribuente in merito alla deducibilità dei relativi costi, sul presupposto della “cessione” gratuita del servizio e dell’applicazione delle previsioni di cui all’art. 27, comma 2 della L. 133/1999.
Pubblicato l’elenco aggiornato dei soggetti ammessi ed esclusi al beneficio del 5xmille
La Direzione Generale del Terzo Settore e della responsabilità sociale delle imprese ha pubblicato lo scorso 2 febbraio l’elenco aggiornato dei soggetti ammessi ed esclusi al beneficio del 5xmille per l’anno 2022.
Il decreto per il riparto del Fondo per il Dopo di Noi
Lo scorso 25 gennaio 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto interministeriale del 21 dicembre 2022, di riparto del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, cosiddetto “Dopo di noi”.
Il Fondo, istituito ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 112 del 22 giugno 2016, finanzia i percorsi di accompagnamento per le persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, o perché mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale.
A tal fine, per l’annualità 2022 il decreto assegna alle Regioni 76.100.000 euro.
Novità in materia di contenzioso
Cass.civ, Sez. V, 16/01/2023, n. 1014
In riferimento alla “utilizzabilità” della superficie, per stabilire se una abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della “prima casa”, di cui all’art. 1, terzo comma, Parte prima, Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, occorre fare riferimento alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’art. 6 del D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, in forza del quale è irrilevante il requisito dell’abitabilità dell’immobile, siccome da esso non richiamato, mentre quello dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere lussuoso di una abitazione. Dunque, il requisito dell’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituisce parametro idoneo ad esprimere il carattere lussuoso di una abitazione assumendo rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – la marcata potenzialità abitativa dello stesso. Per beneficiare dell’agevolazione, pertanto, a fronte dell’irrilevanza del mero dato catastale, grava sul contribuente l’onere di provare, tramite idonea documentazione tecnica, che i vani non siano utilizzabili a scopo abitativo.
Cass.civ., Sez. V, Sent., 16/01/2023, n. 1166
Il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto. Infatti, la scelta del legislatore di depenalizzare le operazioni integranti abuso del diritto non è stata accompagnata dalla previsione della assoluta mancanza di sanzionabilità delle predette operazioni, essendo rimasta salva l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.
Cass.civ., Sez V, Sent., 17/01/2023, n. 1358
In tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’IVA, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali si determina, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta. Inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA. A tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto. Quanto al profilo sanzionatorio, nell’ipotesi di interposizione non ha rilievo il rapporto fiscale proprio della società ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività.
Cass.civ, Sez. V, 19/01/2023, n. 1544
In materia di individuazione del criterio di collegamento territoriale ai fini dell’imposizione, la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. In tale contesto generale, il luogo di svolgimento dell’oggetto principale della società non si contrappone a quello del place of effective management, ma contribuisce ad identificare quest’ultimo, come sede di direzione effettiva.
Cass.civ., Sez V, Ord., 19/01/2023, n. 1609
In tema di IVA, il versamento di un acconto sul prezzo in relazione ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare costituisce operazione imponibile ex art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972, sicché il promittente venditore è tenuto ad emettere la relativa fattura e ad esporvi l’imposta dovuta. Tuttavia, nel caso in cui la suddetta operazione venga meno, successivamente alla registrazione della fattura, in conseguenza della risoluzione del contratto che ne costituiva il presupposto, il promissario acquirente è tenuto alla necessaria rettifica, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, e ad emettere la conseguente fattura relativa alla restituzione in suo favore della somma già versata, trattandosi di operazione imponibile di segno contrario rispetto alla prima. Ove però l’originario versamento dell’acconto sul prezzo erroneamente non sia stato assoggettato ad imposta, né l’Ufficio abbia avviato le necessarie iniziative al riguardo, la restituzione della somma da parte del promittente venditore assume natura meramente finanziaria, ai fini IVA, e non può essere assoggettata ad imposta, in quanto non costituente cessione imponibile ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633 del 1972, in caso contrario determinandosi l’indebita alterazione del principio di neutralità su cui si fonda il meccanismo di funzionamento dell’imposta stessa.
Cass.civ., Sez. V, 24/01/2023, n. 2044
In caso di notifica di cartella esattoriale avente ad oggetto crediti per sanzioni non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale va fatta valere l’obbligazione tributaria per sanzioni è quello quinquennale, così come previsto dall’art. 20, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997. Quanto agli interessi, la disciplina della prescrizione, che attiene alla fase in cui essi, in quanto sorti già separati dal capitale, vengono a maturazione, deve necessariamente essere risolta in base al principio dell’autonomia, con la conseguenza che il termine prescrizionale è quello quinquennale stabilito dall’art. 2948, n. 4, cod. civ. il quale prescinde sia dalla tipologia degli interessi, sia dalla natura dell’obbligazione principale.
Cass.civ., Sez. V, Ord., 24/01/2023, n. 2097
In tema di Iva, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 bis, notifichi all’acquirente la cartella di pagamento a titolo di responsabilità solidale, la stessa non deve essere preceduta da alcuna attività accertativa nei suoi confronti, non essendo il suddetto acquirente il soggettivo passivo d’imposta. Quanto all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento notificata all’acquirente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60 bis, ai fini della tutela del diritto di difesa, l’amministrazione assolve al suddetto onere quando, pur non essendo obbligata, ha fatto precedere la notifica da una comunicazione che contenga gli elementi idonei a rendere consapevole il cessionario della circostanza dell’omesso versamento di quanto dovuto dal cedente e delle ragioni per cui il prezzo di acquisto è inferiore a quello normale.
Cass. Civ., Sez. V., 23/01/2023 n. 2613: Il pagamento dei dipendenti non esclude il reato di omesso versamento IVA.
La responsabilità penale per l’omesso versamento dell’IVA non viene meno laddove si sia scelto di pagare gli stipendi dei lavoratori dipendenti. Ciò che determina la configurabilità del reato è quanto emergente dalla dichiarazione annuale ed il conseguente inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria. Il delitto è dunque punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di IVA nel periodo considerato.
Cass. Civ., Sez V., 30/01/2023 n. 2746: Il rimborso IVA spetta in caso di tardiva identificazione diretta.
La procedura di identificazione IVA ha natura meramente formale e non rientra nelle condizioni sostanziali su cui si fonda il diritto alla detrazione; conseguentemente, la tardività della procedura non può precludere la richiesta di rimborso di un soggetto extra-UE, privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, quando l’Autorità Fiscale sia messa nelle condizioni di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali per il diritto alla detrazione e la domanda non persegua finalità fraudolente o abusive.
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Novità per le imprese
INCENTIVI ALLE IMPRESE
Riversamento del credito d’imposta ricerca e sviluppo anche parziale per i verbali dopo il 22 ottobre 2021 (risposte Agenzia delle entrate videoconferenza 26.1.2023)
Ai sensi dell’art. 5 comma 12 del D.L. n. 146/2021, la procedura di riversamento non può riguardare i crediti d’imposta utilizzati in compensazione contestati «con un atto di recupero crediti, ovvero con altri provvedimenti impositivi, divenuti definitivi» al 22 ottobre 2021, data di entrata della disposizione. Sono, invece, ammessi alla procedura di riversamento i crediti per ricerca e sviluppo indebitamente compensati che siano stati constatati con atto istruttorio (i.e. processo verbale di constatazione, secondo il provv. Agenzia delle Entrate n. 188987/2022), ovvero accertati con un atto di recupero crediti o con un provvedimento impositivo non ancora divenuti definitivi al 22 ottobre 2021.
Per i processi verbali di constatazione consegnati fino al 22 ottobre 2021, il comma 12 dell’art. 5 del D.L. n. 146/2021 sancisce che: «il riversamento deve obbligatoriamente riguardare l’intero importo del credito oggetto di recupero, accertamento o constatazione, senza applicazione di sanzioni e interessi e senza possibilità di applicare la rateazione di cui al comma 10».
Con riferimento, invece, ai verbali consegnati dopo il 22 ottobre 2021, l’Agenzia delle entrate, in occasione della videoconferenza del 26.01.2023, ha precisato che si ritiene ammessa la possibilità di effettuare anche una sanatoria parziale dei rilievi indicati nei verbali medesimi, sulla base di autonome valutazioni del contribuente, che saranno successivamente oggetto di controllo da parte degli Uffici competenti, e di fruire della relativa rateazione.
Crediti d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno e nelle ZES (risposte ad interpello nn. 132, 133 e 145 del 2023)
L’Agenzia delle Entrate, con le risposte ad interpello 23 gennaio 2023, nn. 132, 133 e 145, ha fornito ulteriori indicazioni sul credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno e sul credito d’imposta ZES.
In particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate:
Nuovo Patent box – Rilevanza dei “costi pass through” (risposta ad interpello n. 159/2023)
L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello 24 gennaio 2022 n. 159, ha fornito precisazioni in merito alla disciplina del Nuovo Patent box, in relazione alla possibilità di applicare la maggiorazione del 110% a specifici costi ricerca e sviluppo ex art. 6 del DL 146/2021, nonché alla rilevanza i costi sostenuti presso soggetti terzi, riaddebitati all’investitore da una società correlata (c.d. costi “pass through“).
Ai sensi ai sensi dell’articolo 6, comma 4, del D.L. n. 146/2021, ”le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano a condizione che i soggetti che esercitano l’opzione di cui al comma 1 svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ovvero con università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla creazione e allo sviluppo dei beni di cui al comma 3”.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto estensibile anche alla nuova disciplina quanto già previsto ai fini del precedente regime Patent box, che riconosceva, in coerenza con quanto riportato all’interno dell’Action 5, la possibilità di riaddebitare, nell’ambito di accordi infragruppo, i costi sostenuti da soggetti del gruppo. Ciò a condizione che i costi sostenuti attraverso una parte correlata nei confronti di un soggetto terzo si sostanzino in un mero riaddebito, come indicato nel citato Action 5 dove si afferma che ”quando un pagamento è effettuato per mezzo di una parte collegata a una parte non collegata senza alcun margine, il pagamento sarà incluso nelle spese qualificate” (cfr. lettera F, paragrafo 50 dell’Action 5).
Crediti d’imposta energia e gas III e IV trimestre 2022 – Comunicazione della cessione dei crediti (provv. Agenzia entrate n. 24252/2023)
L’Agenzia delle entrate, con il provv. 26 gennaio 2023 n. 24252, ha esteso ai crediti d’imposta energia e gas relativi al mese di dicembre 2022 (art. 1 del DL 176/2022) le modalità di attuazione delle disposizioni relative alla cessione e alla tracciabilità dei crediti d’imposta riconosciuti alle imprese in relazione agli oneri sostenuti per l’acquisto di prodotti energetici già previste dal provv. Agenzia delle Entrate 30 giugno 2022 n. 253445, aggiornando il relativo modello e le istruzioni.
La cessione di tali crediti d’imposta deve essere comunicata all’Agenzia delle Entrate dal 26 gennaio 2023 al 20 settembre 2023, dovendo essere ceduti entro il 30 settembre 2023.
Lo stesso termine per la comunicazione è stato previsto, in attuazione del DL Aiuti-quater, per i crediti energia e gas relativi al III trimestre 2022 (art. 6 del DL 115/2022) e ai mesi di ottobre e novembre 2022 (art. 1 del DL 144/2022).
Le medesime disposizioni attuative si applicano anche ai crediti d’imposta a favore delle imprese esercenti attività agricola e della pesca per il III e IV trimestre 2022. In tal caso, tuttavia, la comunicazione di cessione deve avvenire, rispettivamente, entro il 22 marzo 2023 e il 21 giugno 2023.
Crediti d’imposta energia e gas dicembre 2022 – Istituzione dei codici tributo (risoluzione Agenzia entrate n. 2/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 30 gennaio 2023, n. 2, ha istituito i codici tributo per consentire ai cessionari di utilizzare, in compensazione mediante il modello F24, i crediti d’imposta per l’acquisto di energia e gas relativi al mese di dicembre 2022 (art. 1 del DL 176/2022).
Nello specifico, sono stati istituiti i seguenti codici tributo:
REDDITI DI IMPRESA
Trasformazione delle DTA in crediti d’imposta – Applicazione alle cessioni di crediti deteriorati effettuate fino al 31 dicembre 2021 (risposta ad interpello n. 139/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 23 gennaio 2023, n. 139 ha fornito precisazioni in merito alla possibilità di trasformare in crediti d’imposta le ”attività per imposte anticipate” (DTA) relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE a seguito della cessione di crediti pecuniari verso ”debitori inadempienti” (art. 44-bis del DL 34/2019, come sostituito dal DL 18/2020 e successive modifiche).
La normativa prevede che, qualora una società ceda a titolo oneroso crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori considerati inadempienti, può trasformare in credito d’imposta le DTA anche se non iscritte in bilancio riferite ai seguenti componenti:
- ;
Ai fini dell’accesso al beneficio della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta, risulta valida la cessione dei crediti deteriorati avente effetto dal 19 marzo 2021, risultando irrilevante la circostanza per cui la proroga dell’agevolazione per il 2021 (estendendo il termine al 31 dicembre 2021) sia intervenuta con un provvedimento entrato in vigore successivamente a tale data.
Pertanto, sono ricomprese nell’ambito temporale dell’agevolazione tutte le cessioni di crediti deteriorati realizzatesi a partire dalla data di entrata in vigore della norma originaria fino al nuovo termine, vale a dire il 31 dicembre 2021.
Esterovestizione – Detenzione di partecipazioni di controllo (risposta ad interpello n. 164/2023)
L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello 26 gennaio 2023, n. 164 ha fornito precisazioni sull’applicabilità della presunzione relativa della residenza fiscale in Italia di società ed enti, c.d. esterovestizione.
L’art. 73, comma 5bis, TUIR stabilisce che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c., nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:
- ;
La norma, volta a contrastare il fenomeno delle esterovestizioni, ha ad oggetto le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia, ossia partecipazioni nei soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73 TUIR.
OPERAZIONI STRAORDINARIE
Fusioni – Super ACE e periodo minimo di permanenza degli incrementi patrimoniali (risposta ad interpello n. 135/2023)
Con la risposta n. 135 del 23 gennaio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito precisazioni in tema di Super ACE.
Nell’ambito della normativa ACE, in assenza di disposizioni ad hoc volte a regolare l’agevolazione in questione in presenza di operazioni straordinarie, trovano applicazione le regole fiscali previste in via generale (in caso di fusione, l’art. 172 TUIR, che reca il principio del ”subentro” della società risultante dall’operazione nelle posizioni soggettive facenti capo alle società partecipanti alla stessa).
Con riferimento alle variazioni di capitale proprio, riferibili alle società partecipanti alla fusione e intervenute ante operazione, l’incorporante deve calcolare la propria variazione di capitale ai fini della determinazione della base ACE sommando algebricamente le variazioni, tanto in aumento che in diminuzione, facenti capo a tutte le società coinvolte nell’operazione.
L’agevolazione ”rafforzata” c.d. Super ACE prevede il meccanismo di recapture del beneficio fiscale fruito, qualora nei due anni successivi a quello in corso al 31 dicembre 2021 il patrimonio netto si riduca per cause diverse dall’emersione di perdite di bilancio. Il suddetto meccanismo di recapture, per espressa previsione normativa, come già osservato, si applica esclusivamente alla Super ACE e non all’ACE cd. ordinaria.
La ratio dell’agevolazione rafforzata, con riferimento all’esercizio 2021, infatti, è quella di incentivare le imprese, indebitate a causa della crisi pandemica, che si patrimonializzano e mantengono tale ”rafforzamento patrimoniale” con riferimento ad un arco temporale almeno triennale.
Indipendentemente dalle modalità di fruizione del beneficio (inclusa quindi la sua trasformazione in credito d’imposta), se nel 202223 la variazione in aumento del capitale proprio risulta inferiore rispetto a quella del 2021, l’incentivo (anche nella forma di credito d’imposta) deve essere restituito in proporzione a tale minore importo.
Quindi, mentre la fruizione dell’ACE ordinaria derivante da un conferimento/ rinuncia a credito a favore della conferitaria (poi incorporata) da parte della conferente (poi incorporante), nell’anno ”n”, viene meno a seguito della fusione nell’anno ”n+1” senza alcun meccanismo di recupero di quanto fruito nell’anno ”n”, diversamente il meccanismo di funzionamento della Super ACE prevede che il venir meno della capitalizzazione, per effetto della fusione prospettata nell’anno ”n+1”, determini il venir meno dell’agevolazione anche per l’anno ”n”.
Fusione tra società estere con stabile organizzazione in Italia – Interruzione del consolidato fiscale (risposta ad interpello n. 140/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 23 gennaio 2023 n. 140, fornisce precisazioni in tema di consolidato fiscale e applicazione dell’art. 11, comma 2, primo periodo, del decreto ministeriale 1° marzo 2018 nell’ipotesi di fusione tra società estere aventi stabile organizzazione in Italia.
Nella specie, la fusione riguardava una capogruppo francese Alfa (che ha aderito al consolidato per il tramite della sua stabile organizzazione in Italia in qualità di consolidante), la quale incorpora una propria controllata Beta (che ha aderito al consolidato fiscale per il tramite della sua stabile organizzazione in Italia in qualità di consolidata).
Ai fini del consolidato fiscale nazionale, l’art. 11, comma 2, del Decreto attuativo, al primo periodo, stabilisce che ”la fusione tra la consolidante e una o più consolidate estingue la tassazione di gruppo tra i soggetti stessi senza gli effetti di cui all’art. 124 del testo unico”.
Una fusione (per incorporazione) nazionale estera è in linea di principio equiparabile ad una fusione domestica così come definita dal codice civile se, all’esito della stessa, la società incorporata si dissolva senza entrare in liquidazione, verificandosi una successione a titolo universale in capo alla società incorporante di tutti gli asset, i diritti e le obbligazioni della società fusa o incorporata.
La fusione per incorporazione comporterà l’interruzione del regime della tassazione di gruppo tra le loro stabili organizzazione senza gli effetti dell’articolo 124 del TUIR.
Inoltre, l’art. 11, comma 2, del Decreto attuativo, al secondo periodo, stabilisce che “nel caso di fusione per incorporazione della consolidante in una consolidata permane la tassazione di gruppo nei confronti delle altre consolidate“. L’Agenzia applica tale disposizione anche al caso di specie e conclude che il consolidato fiscale facente capo alla stabile organizzazione dell’incorporante (quale consolidante) può comunque continuare con le altre società consolidate.
Fusione inversa – ACE e rilevanza della diminuzione di patrimonio netto (risposta ad interpello n. 181/2023)
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello 31 gennaio 2023 n. 181 ha fornito precisazioni in tema di rilevanza della diminuzione di patrimonio netto occorsa in seguito ad operazione di fusione inversa.
La Relazione illustrativa al Vecchio Decreto Ace da considerarsi comunque attuale anche dopo l’adozione del Nuovo Decreto Ace precisa che non si è ritenuto di prevedere alcuna disposizione specifica concernente i riflessi dell’ACE in caso di operazioni straordinarie in quanto trovano applicazione, tendenzialmente, i principi generali che connotano tali ultime operazioni. In tale contesto in merito ai criteri per la determinazione della base agevolabile (i.e. incrementi e decrementi) è ulteriormente precisato che non rilevano i decrementi conseguenti a operazioni di fusione e scissione.
Tale esclusione si giustifica in considerazione del fatto che i predetti decrementi sono conseguenti a modificazioni soggettive delle imprese coinvolte e non comportano alcuna attribuzione ai soci.
In materia ACE può farsi riferimento, in quanto compatibili, alle indicazioni a suo tempo fornite dalla prassi ministeriale in vigenza della Dual income tax (D.I.T.), in considerazione delle analogie riscontrabili nelle due agevolazioni.
In particolare, con riferimento all’applicazione della D.I.T. alle ipotesi di fusione, con diversi documenti di prassi è stato chiarito che la società risultante dalla fusione (o quella incorporante, a seconda dei casi) può, a partire dalla data in cui ha effetto la fusione, determinare l’incremento del proprio capitale investito assumendo anche la variazione in aumento del capitale investito delle società fuse o incorporate
Sul punto è stato evidenziato che il comma 4 dell’art. 5 del Nuovo Decreto Ace è finalizzato ad assicurare effetti analoghi sui diversi soggetti economici a prescindere dalle regole contabili adottate, alla luce del diverso trattamento dell’acquisto di azioni proprie in base alla nuova formulazione dei principi contabili nazionali.
Novità in materia di welfare aziendale
Ministero del Lavoro, interpello n. 1 del 2023
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato l’interpello n. 1 del 1° febbraio 2023 fornisce chiarimenti riguardo alla nomina del medico competente in relazione ai lavoratori in smart working. In particolare, premessa la definizione di medico competente, nonché il campo applicativo del T.U. in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché gli obblighi del datore di lavoro in materia,
La Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro ritiene che, ai sensi dell’art. 39 del D.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro possa nominare più medici competenti, individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento, per particolari esigenze organizzative:
- nei casi di aziende con più unità produttive;
- nei casi di gruppi di imprese;
- nonché qualora emerga la necessità in relazione alla valutazione dei rischi.
Resta fermo che ogni medico competente viene ad assumere tutti gli obblighi e le responsabilità in materia ai sensi della normativa vigente.
Ministero del Lavoro: Nota relativa al mercato del lavoro – dati e analisi – gennaio 2023
È stata pubblicata, in data 27 gennaio 2023, la Nota ministeriale relativa al mercato del lavoro.
La nota è stata redatta congiuntamente dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (MLPS), dalla Banca d’Italia e dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), utilizzando due fonti informative: le Comunicazioni obbligatorie e le Dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro (DID). Per quanto concerne l’evoluzione dei rapporti di lavoro dipendente, nel 2022 sono state create circa 380.000 posizioni lavorative (al netto delle cessazioni), un valore superiore a quello registrato nel 2019, prima dell’emergenza sanitaria. L’incremento della domanda di lavoro è rimasto sostenuto fino all’inizio dell’estate, riportando l’occupazione sul sentiero di crescita pre-pandemico. Nei mesi successivi la dinamica, seppure positiva, si è indebolita: nel bimestre novembre-dicembre le attivazioni nette si sono mantenute su livelli simili a quelli del 2019 (37.000 posti di lavoro in più a fronte dei circa 33.000 di tre anni prima, al netto degli effetti stagionali). Nella prima parte del 2022 la domanda di lavoro è stata trainata soprattutto dal turismo che ha ripreso vigore fin dall’inizio della primavera. I dati di dicembre suggeriscono che anche la stagione invernale si sia ben avviata. Dall’estate del 2020 e fino ai primi mesi del 2022 le costruzioni hanno fatto registrare ritmi di crescita eccezionalmente elevati; dal secondo trimestre dello scorso anno invece l’espansione si è indebolita, fornendo un contributo modesto. Nel 2022 le attivazioni nette nella manifattura sono state superiori a quelle del 2021; la creazione dei posti di lavoro è proseguita a tassi sostanzialmente costanti anche negli ultimi due mesi dell’anno, nonostante il rallentamento nei comparti a maggiore intensità energetica.
Nel 2022 all’incremento occupazionale ha contribuito quasi esclusivamente la componente a tempo indeterminato, che nell’anno precedente aveva invece rappresentato solo il 40 per cento delle attivazioni nette. Sono stati creati oltre 410.000 posti di lavoro stabili, a fronte di una sostanziale stazionarietà degli impieghi a termine e di un calo di oltre 50.000 unità dei contratti di apprendistato. Nella prima fase dopo la pandemia, in un contesto di elevata incertezza, il recupero dell’occupazione era stato sospinto soprattutto dalle posizioni a tempo determinato; dalla seconda metà del 2021, quando la ripresa si è consolidata, le imprese sono tornate ad assumere con contratti permanenti e a trasformare le posizioni temporanee attivate nei mesi precedenti. La ricomposizione della forza di lavoro si è però stabilizzata alla fine del 2022, anche in conseguenza del rallentamento complessivo del mercato del lavoro; in dicembre il numero dei contratti a termine ha ripreso a salire.
Nel 2022 l’occupazione è aumentata sia per gli uomini sia per le donne; tuttavia, in dicembre per la componente femminile le attivazioni nette sono state nulle. Nella seconda parte dello scorso anno la creazione di posti di lavoro ha rallentato nel Centro Nord e si è fermata nel Mezzogiorno, dove il saldo è risultato negativo per circa 12.000 unità, al netto di fattori stagionali. In particolare, nelle regioni meridionali la fase espansiva si è interrotta una volta esaurita la spinta del comparto edile che aveva contribuito alla crescita occupazionale del 2022 per circa il 30 per cento. Nello scorso anno la domanda di lavoro del Sud e delle Isole ha pesato nella creazione di nuove posizioni lavorative in Italia per circa un quinto, valore inferiore a quello del 2021 (quasi un terzo).
Nell’ultimo biennio è stato creato quasi un milione di nuovi posti di lavoro alle dipendenze nel settore privato non agricolo (al netto delle cessazioni). La ripresa ha riassorbito completamente la caduta causata dall’emergenza sanitaria: lo scorso marzo il numero di contratti attivati è tornato sul sentiero di crescita che si sarebbe registrato se tra il 2020 e il 2022 l’evoluzione della domanda di lavoro si fosse mantenuta sugli stessi ritmi del periodo 2018-19. Le dinamiche sono state tuttavia eterogenee tra i diversi comparti, delineando fenomeni di ricomposizione riconducibili sia agli effetti della pandemia, sia alle misure di politica economica adottate negli ultimi anni o tuttora vigenti. Il turismo, che aveva trainato l’espansione dell’occupazione nel 2019, è stato il settore che ha maggiormente risentito della crisi sanitaria. Malgrado il buon andamento della stagione estiva del 2022 i margini di recupero rimangono ampi. Al contrario le costruzioni, favorite anche dagli interventi governativi per la riqualificazione degli edifici, hanno registrato tassi di crescita estremamente elevati: negli ultimi tre anni sono stati creati quasi 280.000 posti di lavoro (oltre un quarto del totale), a fronte dei 70.000 del biennio precedente. Nonostante il più recente rallentamento, la domanda di lavoro in questo settore dovrebbe rimanere sostenuta anche in relazione ai piani di investimento previsti dal PNRR.
Durante la pandemia il ricorso a forme di lavoro da remoto e la fruizione di servizi digitali sono aumentati. Nei settori della tecnologia dell’informazione e della comunicazione (ICT) la domanda di lavoro ha accompagnato questa tendenza, intensificandosi già nel corso del 2020. Nell’ultimo anno sono state attivate quasi 30.000 nuove posizioni, un terzo in più rispetto al 2019. Ciò nonostante, il comparto appare ancora di dimensione modesta: ha contribuito per meno di un decimo alla crescita complessiva della domanda di lavoro nel 2022.
Il rallentamento del mercato del lavoro nella seconda metà dello scorso anno si è riflesso anche sulla dinamica della disoccupazione amministrativa. Alla flessione del numero di disoccupati nel primo semestre è seguita una risalita a partire dalla fine dell’estate, accentuatasi in autunno, quando molti contratti a tempo determinato sono giunti a scadenza. Nei primi undici mesi dell’anno il numero di disoccupati è comunque diminuito di circa 120.000 unità, una riduzione significativa anche se meno pronunciata rispetto a quella del 2021. Il rapporto fra reingressi nello stato di disoccupato dopo un impiego non superiore a sei mesi e le uscite verso l’occupazione nel semestre precedente è aumentato in autunno, segnalando un marcato accorciamento della durata media dei contratti di lavoro, già in atto dall’estate.
Ispettorato del Lavoro, Nota n. 162 del 24 gennaio 2023
Con Nota n. 162 del 24 gennaio 2023 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità di procedere alla sospensione nei confronti di un’impresa che occupi un solo dipendente in nero, con conseguente violazione prevenzionistica relativa alla mancanza del documento di valutazione dei Rischi (DVR) e della nomina del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP).
Sebbene il T.U. per la sicurezza sul lavoro (D.lgs. n. 81/2008) escluda il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare se il lavoratore “in nero” risulti l’unico occupato dall’impresa, l’Ispettorato osserva che tale eccezione è riferita alle sole ipotesi di occupazione di lavoratori irregolari.
Pertanto, tale esclusione non trova applicazione qualora vengano contestualmente rilevate anche gravi violazioni in materia di prevenzione indicate nell’allegato 1 al D.lgs. n. 81/2008, tra le quali sono comprese la mancanza del Documento di valutazione dei rischi (DVR) e/o la mancata nomina del RSPP, da sole sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento cautelare.
In ogni caso, aggiunge l’Ispettorato, qualora non sia adottato il provvedimento di sospensione per via della citata eccezione, il personale ispettivo dovrà comunque imporre ulteriori e specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza e per la salute dei lavoratori durante il lavoro, disponendo l’allontanamento del lavoratore sino alla completa regolarizzazione anche sotto il profilo prevenzionistico.
Circolare INPS n. 7 del 24 gennaio 2023: indicazioni operative ai datori di lavoro per la gestione dell’esonero contributivo dei dipendenti
Con la circolare n. 7 del 2023, l’INPS ha fornito le indicazioni operative per l’applicazione dell’esonero contributivo spettante ai lavoratori dipendenti, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 281, della legge di bilancio 2023. In particolare, l’esonero è riconosciuto nella misura:
- del 3%, se l’imponibile ai fini previdenziali non supera i 1.923 euro;
- del 2%, se l’imponibile ai fini previdenziali non supera i 2.692 euro.
La verifica del rispetto della soglia reddituale deve essere effettuata nel singolo mese di paga. Ne consegue che la riduzione della quota dei contributi previdenziali dovuta dal lavoratore:
- potrà assumere misura diversa in ragione della retribuzione effettivamente percepita;
- potrà non applicarsi, in caso di superamento del massimale di 2.692 euro.
Non è possibile operare compensazioni di importi retributivi tra un mese ed il successivo.
L’esonero contributivo è cumulabile, per i periodi di paga dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, con l’esonero previsto dalla legge di bilancio 2022 per le lavoratrici madri dipendenti del settore privato.
Qualora i contratti collettivi di lavoro prevedano l’erogazione della quattordicesima mensilità, nel mese di erogazione la riduzione contributiva spetta solo nell’ipotesi in cui l’ammontare della mensilità aggiuntiva (o dei suoi ratei), sommati alla retribuzione imponibile, non ecceda il massimale di retribuzione mensile previsto per la legittima applicazione delle due riduzioni.
Altre precisazioni riguardano il cumulo e le variazioni dei rapporti di lavoro. In sintesi:
- in caso di variazione del rapporto di lavoro comportanti la presentazione di più denunce individuali per il medesimo lavoratore (ad esempio, variazione da part-time a full-time, trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato), il massimale contributivo mensile deve riferirsi all’intero rapporto di lavoro: dunque, il massimale del singolo mese dii competenza deve essere verificato sulla complessiva retribuzione imponibile;
- nel caso di operazioni societarie e di cessione di contratto che comportano il passaggio dei lavoratori, nel corso del mese e senza soluzione di continuità, da un soggetto ad un altro, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario, verificandosi la sola modificazione soggettiva del rapporto già in atto. La verifica del massimale deve tenere conto della complessiva retribuzione imponibile;
- qualora il lavoratore, nel corso del mese, svolga la propria prestazione presso più datori di lavoro, il calcolo del massimale deve essere effettuato distintamente per ciascun rapporto di lavoro.
Nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia cessato il proprio rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2022, e nel corso dell’anno 2023 siano state erogate le ultime competenze (ad esempio residui di ferie e permessi, ratei di mensilità aggiuntive), su queste ultime non potrà trovare applicazione l’esonero contributivo in parola.
Infine, è possibile che nel singolo mese la riduzione applicata sulla retribuzione mensile abbia una entità diversa rispetto alla riduzione applicata sul rateo di tredicesima: infatti, la verifica del rispetto delle soglie retributive deve essere effettuata in maniera distinta sulla retribuzione mensile e i relativi ratei di tredicesima.
Circolare INPS n. 11 del 1° febbraio 2023: determinazione, per l’anno 2023, del limite minimo di retribuzione giornaliera e aggiornamento dei valori per il calcolo delle contribuzioni dovute in materia di previdenza e assistenza sociale per la generalità dei lavoratori dipendenti
Con la Circolare n. 11 del 2023 l’INPS ha provveduto ad aggiornare i minimali e massimali di contribuzione per tutte le categorie di lavoratori subordinati. Nel dettaglio, il minimale giornaliero retributivo aumenta per l’anno 2023, attestandosi nella misura di euro 53,95 euro. Quanto al datore di lavoro, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale o accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo (art. 1, comma 1, D.L. 338/1989, convertito in L. n. 389/1989).
Anche i datori di lavoro non aderenti alla disciplina prevista dalla contrattazione collettiva sono obbligati al rispetto dei trattamenti retributivi ivi previsti.
Per determinare l’imponibile contributivo, il datore di lavoro deve raffrontare la retribuzione effettiva con quella individuata dai minimali di legge e contrattuali:
- se superiore ai minimali di legge, la contribuzione deve essere calcolata sulla retribuzione effettiva;
- se inferiore ai minimali, ai fini del versamento dei contributi, l’imponibile contributivo deve essere parametrato a questi ultimi.
Per i lavoratori a tempo parziale, il minimale è orario e si ottiene:
- rapportando il minimale giornaliero alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale;
- dividendo l’imposto ottenuto con il numero delle ore settimanali previste contrattualmente per il lavoro a tempo pieno.
È prevista, a carico del lavoratore, un’aliquota aggiuntiva dell’1% sulle quote eccedenti il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile. Il contributo aggiuntivo è dovuto nei casi in cui il regime pensionistico di iscrizione preveda aliquote contributive a carico del lavoratore inferiori al 10%.
Posto che la prima fascia di retribuzione pensionabile è determinata, per l’anno 2023, in euro 52.190,00, l’aliquota aggiuntiva in parola deve essere applicata sulla quota di retribuzione eccedente tale tetto retributivo che, rapportato ai 12 mesi, è pari ad euro 4.349,00 euro.
Quanto al massimale contributivo annuo per i dipendenti del settore privato, questo è pari, per l’anno 2023, ad euro 113.520,00.
I datori di lavoro che non abbiano potuto tenere conto dei valori contributivi aggiornati possono regolarizzare la loro posizione, senza oneri aggiuntivi, entro il 16 maggio 2023.
Circolare INPS n. 14 del 3 febbraio 2023: aggiornamento delle misure dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno ordinario e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo dii solidarietà del credito cooperativo, dell’indennità di disoccupazione NASpI, dell’indennità di disoccupazione DIS-COLL, dell’indennità di disoccupazione agricola nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili
Con la Circolare n. 14 del 2023, l’INPS aggiorna le misure dei trattamenti di integrazione salariale, dell’assegno ordinario e dell’assegno emergenziale per il Fondo di solidarietà del credito, dell’assegno emergenziale per il Fondo dii solidarietà del credito cooperativo, dell’indennità di disoccupazione NASpI, dell’indennità di disoccupazione DIS-COLL, dell’indennità di disoccupazione agricola nonché la misura dell’importo mensile dell’assegno per le attività socialmente utili in vigore per l’anno 2023. In sintesi:
- gli importi massimi mensili dei trattamenti di integrazione salariale sono pari a 1.352,19 lordi (1.244,36 netti) o, per i trattamenti di integrazione salariale concessi in favore delle imprese del settore edile e lapideo per intemperie stagionali, 1.585,84 lordi (1.470,99 netti);
- l’importo di riferimento per il calcolo delle indennità di disoccupazione NASpI è pari ad euro 1.352,19 per il 2023. L’importo massimo mensile dell’indennità non può in ogni caso superare, per il 2022, euro 1.470,99;
- la retribuzione di riferimento per il calcolo della indennità di disoccupazione DIS-COLL è pari ad euro 1.352,19, per il 2023; l’importo massimo mensile è pari a euro 1.470,99;
- l’indennità di disoccupazione ordinaria agricola con requisiti normali, da liquidare nell’anno 2023 con riferimento ai periodi di attività svolti nel corso dell’anno 2022, è pari ad euro 1.222,51 (massimale più alto) e ad euro 998,18 (massimale più basso);
- per il calcolo dell’indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS), la retribuzione di riferimento è pari a 1.352,19 euro.
- il reddito da prendere a riferimento per il riconoscimento della prestazione Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (ISCRO) nell’anno 2023 è pari a 8.972,04 euro. L’importo mensile dell’ISCRO per l’anno 2022 non può essere inferiore a 275,38 euro e non può superare l’importo di 881,23 euro;
- l’importo mensile dell’assegno spettante ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili è pari, dal 1° gennaio 2023, ad euro 656,44.
INPS, messaggio n. 467 del 1° febbraio 2023: pensione anticipata, cd. opzione donna – presentazione delle domande telematiche
Con il messaggio n. 467 del 2023, l’INPS comunica che il sistema di gestione delle domande di pensione è stato implementato per consentire la presentazione dell’istanza di pensione anticipata cd. opzione donna. La procedura di richiesta è attiva sul portale istituzionale dell’INPS per tutte le lavoratrici in possesso dei requisiti aggiornati dalla legge di bilancio 2023.
Nel dettaglio, le domande possono essere presentate:
- sul sito internet www.inps.it, accedendo tramite SPID, CNS o CIE, seguendo il percorso “Prestazioni e servizi” > “Servizi” > “Pensione anticipata – Opzione donna” – “Domanda”;
- utilizzando i servizi telematici offerti dagli istituti di Patronato riconosciuti dalla legge;
- chiamando il Contact Center Integrato al numero verde 803164 o il numero 06164164.
La pensione è individuata dal nuovo prodotto “Pensione anticipata opzione donna legge di bilancio 2023”, e dovrà essere indicata la tipologia di riferimento tra:
- lavoratrici disoccupate;
- lavoratrici che assistono persone con handicap in situazione di gravità;
- lavoratrici con riconoscimento di invalidità civile almeno pari al 74%.
Agenzia delle entrate, Risposte ad interpello nn. 167 e 168 del 26 gennaio 2023
In data 26 gennaio 2023 l’Agenzia delle entrate ha pubblicato le risposte ad interpello nn. 167 e 168, aventi ad oggetto la perdita del requisito di PMI innovativa e il piano di stock option.
In base a quanto precisato dall’Agenzia, i redditi di lavoro dipendente derivanti dalle attribuzioni di azioni, trattandosi di compensi in natura, devono essere valorizzati secondo quanto previsto dall’art. 51, comma 3, del TUIR, che rimanda al “valore normale” di cui all’art. 9 TUIR.
Per individuare il momento rilevante ai fini impositivi in presenza di un diritto di opzione che non sia liberamente cedibile a terzi (cd. stock option), rileva il momento di esercizio di tale diritto, indipendentemente dalla data di emissione o di consegna dei titoli stessi o delle annotazioni contabili successive.
In particolare, nella risoluzione 12 dicembre 2007, n. 366/E, al fine di determinare il momento nel quale far assumere rilevanza fiscale all’esercizio del diritto d’opzione posto in essere dal lavoratore dipendente e stabilire quale sia il momento in cui le azioni possono considerarsi entrate nella disponibilità del dipendente, si precisa che momento rilevante è quello in cui il dipendente acquisisce il diritto partecipativo (e non in quello in cui riceve materialmente il titolo azionario).
In tale documento di prassi, con riferimento al significato del termine “assegnazione di azioni”, si ribadisce che il trasferimento della proprietà dei titoli azionari e dei diritti in essi incorporati si perfeziona con il semplice consenso del soggetto titolare del diritto di opzione, riconducibile alla dichiarazione di esercizio del diritto di opzione medesimo.
In tale contesto, si rileva che il regime di tassazione dei redditi da lavoro dipendente e assimilato derivanti dall’esercizio di stock option o dall’assegnazione di azioni è derogato dalle disposizioni agevolative contenute nell’art. 27, D.L. n. 179/2012 (“Remunerazione con strumenti finanziari della startup innovativa e dell’incubatore certificato”), attraverso il quale si dispone che il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle startup innovative di cui all’art. 25, comma 2, e degli incubatori certificati di cui all’art. 25, comma 5, ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari, non concorre alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti, sia ai fini fiscali, sia ai fini contributivi, a condizione che tali strumenti finanziari o diritti non siano riacquistati dalla startup innovativa o dall’incubatore certificato, dalla società emittente o da qualsiasi soggetto che direttamente controlla o è controllato dalla startup innovativa o dall’incubatore certificato, ovvero è controllato dallo stesso soggetto che controlla la startup innovativa o l’incubatore certificato.
Qualora gli strumenti finanziari o i diritti siano ceduti in contrasto con tale disposizione, il reddito di lavoro che non ha previamente concorso alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione.
Va altresì rilevato che il comma 9 dell’art. 4, D.L. n. 3/2015, contenente disposizioni in materia delle piccole e medie imprese innovative, rinvia espressamente all’art. 27, D.L. n. 179/2012; pertanto, tale regime di esenzione trova applicazione anche con riferimento ai redditi di lavoro derivanti dall’esercizio di stock option e dall’assegnazione di azioni relativi a piani di incentivazione implementati da PMI innovative.
Si chiarisce poi che la cessazione della possibilità di assegnare strumenti finanziari e diritti di opzione con il regime fiscale incentivato (per decorso dei termini o perdita dei requisiti per le startup innovative, per perdita dei requisiti per gli incubatori certificati), non comporta, di per sé, il venir meno della possibilità di applicare il regime fiscale di favore a quelli già assegnati.
In altri termini, gli strumenti finanziari e i diritti di opzione già assegnati alla data di cessazione dell’applicazione delle disposizioni sulle startup innovative continueranno a beneficiare del regime fiscale di favore, anche nell’ipotesi in cui siano assegnati diritti di opzione il cui periodo di “vesting” per l’esercizio del diritto sia successivo a detta data.
Sia pur con esplicito riferimento alle attività svolte alle startup e agli incubatori, si afferma in sostanza che l’assegnazione è il momento in cui deve essere valutata la sussistenza dei requisiti per essere considerate startup innovative ai fini dell’applicazione della relativa esenzione.
Deve essere rilevato, a tale proposito, che l’estensione del regime di esenzione fiscale e contributiva del reddito di lavoro dipendente derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari (o di ogni altro diritto o incentivo che preveda l’attribuzione di strumenti finanziari) alle PMI innovative è stato introdotto dal D.L. n. 3/2015, mutuando dal D.L. n. 179/2012 la medesima ratio di favorire la nascita e lo sviluppo di attività a forte contenuto di innovazione tecnologica.
Con riferimento all’applicazione del regime di esenzione fiscale e contributiva del reddito di lavoro dipendente derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari, nonché dall’esercizio di diritti di opzione attribuiti per l’acquisto di strumenti finanziari emessi dalle start up innovative e/o dagli incubatori certificate, si precisa che tale provvedimento legislativo trae origine innanzitutto dalla volontà del legislatore di favorire “la nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative”, fornendo alle “start up innovative e agli incubatori certificati il necessario strumento per favorire la fidelizzazione e l’incentivazione del management”.
Nel medesimo principio di diritto, inoltre, si afferma che la stessa filosofia ispira l’estensione disposta dal D.L. n. 3 del 2015 alle PMI innovative (di alcune) delle misure agevolative già riconosciute alle start up innovative, alle quali sono applicabili, in linea di principio, gli stessi principi.
I chiarimenti forniti con riferimento ai piani di incentivazione implementati da startup innovative possano trovare applicazione anche con riferimento a quelli implementati da PMI innovative e ai fini dell’applicabilità dell’esenzione rileva la circostanza che le opzioni e i diritti siano attribuiti ai beneficiari dalla Società al momento in cui quest’ultima si qualifica quale PMI innovativa, a prescindere dal fatto che tale qualifica sussista o meno al momento dell’esercizio dell’opzione o dell’accettazione delle azioni da parte dei beneficiari.
Agenzia delle Entrate, Risposta ad interpello n. 170 del 2023
Con la Risoluzione n. 170 del 2023, l’Amministrazione finanziaria ha fornito indicazioni in tema di assoggettamento ad imposta del reddito di lavoro dipendente in ipotesi di cambio di residenza in corso d’anno. Nello specifico, il lavoratore istante dichiarava di essere residente in Germania, di aver effettuato l’iscrizione all’AIRE ad agosto, di essere stato assunto alle dipendenze di una società tedesca a settembre dello stesso anno e di non aver percepito in tale annualità alcun reddito in Italia.
Ciò posto, l’Istante chiedeva all’Agenzia chiarimenti in merito alla presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia, relativamente all’anno di riferimento.
Nel caso in esame, il Trattato Italia – Germania per evitare le doppie imposizioni richiama, con riguardo alla definizione del concetto di residenza, la nozione contenuta nelle normative interne dei due Stati contraenti (art. 4, § 1). Nell’ipotesi in cui, applicando le suddette normative interne, il soggetto risulti residente di entrambi gli Stati contraenti, il successivo § 2 dell’art. 4 del Trattato internazionale stabilisce, conformemente al Modello OCSE di Convenzione, le cosiddette tie breaker rules per dirimere tali conflitti. Tali regole fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente, cui seguono, in ordine gerarchico:
- il centro degli interessi vitali;
- il soggiorno abituale;
- la nazionalità del Contribuente.
Ciò premesso, l’Amministrazione finanziarie fornisce le proprie valutazioni nel presupposto di una residenza fiscale in Germania dell’Istante, ai sensi della normativa interna di tale Stato.
Al riguardo, si osserva che il Trattato con la Germania, seguendo le raccomandazioni formulate nel § 10 del Commentario all’art. 4 del Modello OCSE, reca una disposizione che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso dell’anno.
Pertanto, nella fattispecie prospettata dall’Istante, il conflitto di residenza deve essere risolto invocando la clausola del frazionamento del periodo di imposta contenuta nel punto 3 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Italia-Germania. A tal fine, va assunta come data spartiacque quella del cambio di domicilio, con la conseguenza che, in linea di principio:
- l’Italia può esercitare la propria potestà impositiva fino alla data in cui è intervenuto il cambio del domicilio;
- la Germania può esercitare la propria pretesa impositiva dal giorno successivo.
Ne consegue che il reddito derivante dall’attività lavorativa svolta in Germania a partire da settembre è soggetto a tassazione in Germania in base a quanto previsto dall’art. 15 § 1 della Convenzione Italia-Germania. Tale norma stabilisce, infatti, che le remunerazioni ricevute in corrispettivo di un’attività di lavoro dipendente sono imponibili soltanto nello Stato di residenza, a meno che tale attività non sia svolta nell’altro Stato (circostanza non verificata nel caso di specie).
Il reddito corrisposto per l’attività lavorativa svolta in Germania non deve quindi essere assoggettato a tassazione in Italia.
Agenzia delle Entrate, risposta a interpello n. 171 del 26 gennaio 2023
Con la risposta n. 171 del 2023, l’Amministrazione finanziaria ha confermato che il residente italiano che svolge la propria attività da remoto dal proprio domicilio alle dipendenze del datore di lavoro svizzero non potrà più essere considerato frontaliere ai fini fiscali a decorrere dalla data di cessazione degli effetti degli accordi “COVID”, fissata al 1° febbraio 2023.
I chiarimenti dell’Agenzia toccano due profili di interesse. In particolare:
- il rapporto tra normativa fiscale e normativa previdenziale;
- le modalità di quantificazione della parte di reddito assoggettata alle regole ordinarie (le quali si sostanziano nella tassazione del reddito in entrambi gli Stati).
Il caso esaminato è quello di un soggetto che aveva ottenuto, in epoca COVID, l’autorizzazione a svolgere da remoto una porzione del proprio lavoro sino al 25% dei giorni lavorativi complessivi. Con riguardo al primo profilo, la richiesta avanzata dal contribuente riguardava la possibilità di applicare alla fattispecie in esame le previsioni dei Regolamenti europei n. 883 del 2004 e 987 del 2009, che accordano ai frontalieri l’adozione della sola legislazione dello Stato ove ha sede il datore di lavoro, anche se una parte dell’attività lavorativa (non superiore al 25% della retribuzione e/o dell’orario di lavoro) viene svolta da remoto nello Stato di residenza del lavoratore. L’Agenzia rispondeva negativamente sulla scorta della prassi consolidata per cui la qualifica di frontaliere è subordinata allo spostamento fisico quotidiano della persona dal proprio domicilio al luogo di lavoro nell’altro Stato. Il secondo chiarimento riguarda le modalità di ripartizione della potestà impositiva tra Italia e Svizzera. Sempre avendo a riguardo la suddivisione della prestazione lavorativa sopra indicata (75% dei giorni lavorati in presenza in Svizzera e 25% dei giorni lavorati da remoto in Italia), una delle possibili ipotesi sarebbe stata quella di considerare la persona quale frontaliere “pro quota”, limitatamente al 75% del reddito. Questa ipotesi viene esclusa dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza, tutto il reddito prodotto viene escluso dai criteri impositivi enucleati dall’art. 15 paragrafo 4 della Convenzione Italia-Svizzera, il quale, con rimando all’Accordo del 1974, riconosce alla Svizzera il potere esclusivo di tassazione.
In definitiva, in base all’art. 15 par. 1 della Convenzione Italia-Svizzera:
- la porzione di reddito corrispondente al 75% dei giorni lavorati in Svizzera viene assoggettata a tassazione sia in Italia, sia in Svizzera (con credito in Italia per le imposte pagate in Svizzera);
- la porzione di reddito corrispondente al 25% dei giorni lavorati da remoto in Italia viene assoggettata a tassazione esclusiva in Italia (in questo caso, infatti, coincidono la residenza del lavoratore e il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa).
Novità in materia di IVA
Risposta ad interpello del 23 gennaio 2023, n. 136: Cessione all’esportazione diretta.
L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sul trattamento IVA applicabile alle transazioni di beni “a catena”, esaminando il caso della società UE che acquista in Italia da un fornitore estero e, successivamente, cede i beni (cosmetici) ai propri distributori extra UE.
Per quanto riguarda il rapporto fra la società UE ed il fornitore estero non stabilito in Italia, l’operazione risulta territorialmente rilevante ai fini IVA in Italia. Trattandosi di un’operazione effettuata tra due soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del DPR 633/72, l’imposta relativa alla cessione dei beni va assolta, senza applicazione del reverse charge, dal fornitore estero, il quale è tenuto a identificarsi in Italia ex art. 35-ter del DPR 633/72 ovvero a nominare un proprio rappresentante fiscale.
Il secondo rapporto attiene, invece, alla cessione effettuata nei confronti dei distributori extra-UE. In questo caso, assume rilievo la circostanza che il trasporto dei beni fuori dal territorio UE viene effettuato dal terzo gestore del magazzino per conto della società cedente. In considerazione di ciò, si ritiene che l’operazione configuri un’esportazione c.d. diretta non imponibile ex art. 8, comma 1, lett. a), del DPR 633/72. In tale contesto, l’IVA assolta dalla predetta società UE con riferimento per i beni e servizi acquistati in Italia dal fornitore extra-UE potrà essere portata in detrazione secondo le regole ordinarie di cui agli artt. 19 e ss. del dPR 633/72, sempreché ne sia riscontrata l’inerenza e l’afferenza degli acquisti rispetto alle operazioni effettuate “a valle” dalla Società.
Risposta ad interpello del 31 gennaio 2023, n. 182: Qualificazione delle operazioni di cessione del medicinale effettuate al prezzo simbolico di 1 euro per finalità promozionali.
La cessione di farmaci per finalità promozionali al corrispettivo simbolico di 1 euro non esclude che la congruità del corrispettivo possa formare oggetto di indagine in sede di accertamento e costituire un elemento idoneo ad una riqualificazione delle operazioni, tenendo conto dello specifico assetto di interessi delle parti.
Risposta ad interpello del 2 febbraio 2023, n. 188: Trattamento IVA del servizio di cassa reso da un istituto di credito ad un soggetto obbligato al regime di rilevazione SIOPE
Il presupposto per l’esenzione IVA riservato alle operazioni di natura finanziaria annoverate all’art. 10, primo comma, n. 1) dPR 633/1972 è di carattere oggettivo, in quanto si applica indipendentemente dal soggetto che pone in essere l’attività nonché dalle modalità tecniche, elettronica, automatica o manuale, con cui i servizi sono realizzati. Rientrano nel regime in parola anche le operazioni relative al conto corrente di Tesoreria e al conto corrente bancario on line multiutenza dedicato al servizio di tesoreria, di incassi e di pagamenti nonché rilascio e gestione delle carte di credito reso da un istituto di credito a un soggetto obbligato al regime di rilevazione “SIOPE+”.
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Nel restare a Vs. disposizione per eventuali approfondimenti e/o chiarimenti, porgiamo
Cordiali saluti,
e-IUS Tax & Legal