Newsletter Studio e-IUS – Tax&Legal “Le novità fiscali del mese” – Venerdì 14 Giugno 2022

Con la presente siamo lieti di sottoporre alla Vostra attenzione le principali novità in materia fiscale del mese disponibili anche sul sito
dello Studio www.e-ius.it

1 ATTIVITÀ LEGISLATIVA ……………………………………………………………………………………………………..2
2 NOVITÀ IN MATERIA DI TERZO SETTORE ………………………………………………………………..3
3 NOVITÀ IN MATERIA DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO ………………………………………..4
4 NOVITÀ IN TEMA DI START-UP, INDUSTRIA 4.0, MARCHI E BREVETTI …………5
5 NOVITÀ IN MATERIA DI WELFARE E LAVORO DIPENDENTE…………………………….7
6 NOVITÀ IN MATERIA IVA ………………………………………………………………………………………………..25
7 ALTRE NOVITA’ …………………………………………………………………………………………………………………..28

 

1 ATTIVITÀ LEGISLATIVA

1.1 Decreto Legge 27 gennaio 2022, n. 4: Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico.

Nella Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.21 del 27-01-2022) è stato pubblicato il Decreto Legge n. 4 del 2022 (c.d. “decreto sostegni ter”). Sulla Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2022 è pubblicata la Legge 28/3/2022 n. 25 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico.

1.2 Decreto Legge 21 marzo 2022, n. 21: Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi umanitaria

Nella Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.67 del 21-03-2022), è stato pubblicato il Decreto Legge 21 marzo 2022, n. 21 contenente “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, è stato convertito nella Legge 19 maggio 2022, n. 52 (c.d. “Decreto Ucraina”) Il Decreto-Legge è stato convertito con modificazioni dalla L. 20 maggio 2022, n. 51 (in G.U. 20/05/2022, n. 117).

1.3 Decreto Legge 17 maggio 2022, n. 50: Decreto “AIUTI” – ENERGIA, IMPRESE, INVESTIMENTI ED UCRAINA

In G.U. n. 114 del 17 maggio 2022 è pubblicato il Decreto Legge 17 maggio 2022, n. 50: Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina.

 

2 NOVITÀ IN MATERIA DI TERZO SETTORE

2.1 Al via le domande per accedere allo Sport Bonus 2022

Lo scorso 30 maggio si è aperta la prima delle due finestre (la seconda si aprirà il prossimo 15 ottobre) che il dipartimento governativo dello sport ha messo a disposizione per accreditarsi allo Sport Bonus 2022.
La misura, prevista in passato dalla legge di bilancio 2019, reintroduce la possibilità di effettuare erogazioni liberali per interventi di manutenzione e restauro di impianti sportivi pubblici e per la realizzazione di nuove strutture sportive pubbliche.
Beneficiari della misura agevolativa sono i soli soggetti titolari di reddito d’impresa per i quali è prevista la possibilità di ottenere un credito d’imposta pari al 65% dell’importo erogato da utilizzare in tre quote annuali di pari ammontare.
Più nel dettaglio, gli enti interessati ad accedervi hanno tempo fino al prossimo 30 giugno per accedere alla misura presentando richiesta tramite email indicando nell’oggetto “Sport Bonus 1a finestra 2022 + la denominazione impresa + codice fiscale”.

Entro il 15 luglio, poi, il dipartimento dello sport pubblicherà sul proprio sito l’elenco delle imprese accreditate che, a decorrere da tale data, avranno 10 giorni di tempo per effettuare le erogazioni liberali agevolabili tramite metodi di pagamento che ne consentano la tracciabilità.

Entro dieci giorni dalla ricezione e comunque non oltre il 5 agosto i soggetti destinatari sono tenuti a comunicare tramite il modulo disponibile sul sito del dipartimento dello sport l’erogazione ottenuta allegando la ricevuta bancaria del bonifico o altra documentazione idonea a dimostrarne l’importo.
Certificate le erogazioni effettuate, il dipartimento dello sport pubblicherà sul proprio sito un elenco degli enti ammessi ad utilizzare il credito d’imposta il quale sarà contestualmente comunicato anche all’Agenzia delle Entrate.

2.2 Pubblicati sul sito dell’agenzia delle entrate gli elenchi dei soggetti ammessi al 5xmille 2021

In data 9 giugno sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono stati pubblicati gli elenchi degli ammessi e degli esclusi al beneficio del 5xmille suddivisi per categoria di soggetti ed integrati con i dati relativi alle preferenze espresse dai contribuenti nella propria dichiarazione dei redditi.
Per il 2021 dei 507milioni di euro che complessivamente verranno distribuiti ai 72 mila enti ammessi al beneficio del 5xmille, oltre 331 milioni saranno destinati agli enti del volontariato che si confermano il settore con il maggior numero di preferenze ricevute.

2.3 I chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate sul regime IVA delle Federazioni Sportive Nazionali

Con la risposta ad interpello n. 320 del 1° giugno 2022 l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in materia al regime IVA applicabile dalle Federazioni sportive nazionali a seguito della cancellazione delle stesse dall’indice delle pubbliche amministrazioni (IPA).
Più nello specifico, l’Agenzia conferma che, in seguito all’uscita dall’elenco delle pubbliche amministrazioni, le Federazioni non sono più tenute ad applicare il regime di scissione dei pagamenti (split payment) in quanto non rivestirebbero più la qualifica di Pubblica Amministrazione.
A tal fine, però, è richiesta non solo la cancellazione dall’elenco IPA ma anche il suo aggiornamento al fine di dare certezza giuridica ai fornitori circa il regime da applicare.

 

3 NOVITÀ IN MATERIA DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO

3.1 Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo sentenza n. 263 del 23 maggio 2022

La CTP di Bergamo ha affermato che il socio di una società di capitali, al quale sia notificato un accertamento basato sulla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati, non può difendersi censurando il merito della pretesa, ma può solamente dimostrare la propria estraneità alla gestione sociale. Secondo il collegio provinciale, infatti, sussiste autonomia tra il giudizio nei confronti della società e quello nei confronti del socio, malgrado il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo. Pertanto, in base a questa giurisprudenza, risulta fondamentale che l’avviso di accertamento sia impugnato autonomamente dalla Società, la quale dovrà eventualmente contestare il merito dei rilievi mossi dall’Amministrazione finanziaria; contestazione che viceversa risulterebbe preclusa al socio, il quale potrebbe però eccepire di non aver percepito gli utili presuntivamente distribuiti in capo a lui (ad esempio perché
reinvestiti dalla Società), oppure che non sussistono i presupposti per l’applicazione della presunzione nei suoi confronti.

3.2 Tribunale di Roma, decreto n, 3478 del 5 maggio 2022

Il Tribunale di Roma, con decreto di rigetto n. 3478 del 5 maggio 2022, ha ritenuto che la cancellazione dell’ipoteca debba essere eseguita quando viene presentato al curatore titolo idoneo (i.e. sentenza passata in giudicato o altro provvedimento definitivo) in cui è espressamente contenuto l’ordine alla cancellazione della formalità, in quanto non è consentito “far discendere un effetto purgativo implicito con riferimento al rinnovo dell’iscrizione ipotecaria”.

 

4 NOVITÀ IN TEMA DI START-UP, INDUSTRIA 4.0, MARCHI E BREVETTI

4.1 Fondo impresa femminile: 8.095 domande presentate

Sono 8.095 le imprese attive da oltre un anno che hanno presentato domanda per gli incentivi del Ministero dello sviluppo economico che sostengono lo sviluppo e il consolidamento delle imprese guidate da donne.
Le Regioni che hanno inviato il maggior numero di progetti sono state la Lombardia e il Lazio con rispettivamente 1176 e 978 domande. A seguire la Campania e l’Emilia Romagna con 831 e 684 richieste. Le iniziative riguardano prevalentemente attività di commercio all’ingrosso o al dettaglio, attività manifatturiere o attività legate a servizi di alloggio e ristorazione.
È stato, dunque, ancora una volta confermato il grande interesse per le misure in favore dell’imprenditorialità femminile promosse dal ministro Giancarlo Giorgetti a valere sulle risorse stanziate dal PNRR.
Si procede ora con i colloqui di valutazione dei progetti presentati per gli incentivi in commento, il cui sportello è stato chiuso lo scorso 19 maggio.

4.2 Fondo imprese creative: avvio da giugno alla presentazione delle domande

È stato dato avvio al Fondo del Ministero dello sviluppo economico che incentiva le piccole e medie imprese creative a promuovere investimenti in attività culturali e artistiche, anche relative all’audiovisivo (tv, cinema e contenuti multimediali), al patrimonio culturale materiale e immateriale, al design, ai festival, alla musica, alla letteratura, alle arti dello spettacolo, al software e ai videogiochi, nonché
all’architettura, agli archivi, alle biblioteche, ai musei e all’artigianato artistico.

In particolare, la misura si inserisce tra gli interventi promossi dal MISE al fine di valorizzare sul territorio nuova imprenditorialità in settori in cui il Made in Italy eccelle per idee e creatività.
A partire da giugno sarà possibile avviare le procedure funzionali alla presentazione delle domande per richiedere contributi a fondo perduto,
l’agevolazione nell’accesso al credito e la promozione di strumenti innovativi di finanziamento, secondo il seguente calendario:

– l’accreditamento delle imprese non residenti nel territorio italiano sarà
possibile a partire dalle ore 10 del 13 giugno 2022. Per le imprese italiane non è
necessario l’accreditamento;
– per l’avvio, lo sviluppo e il consolidamento delle imprese creative la
compilazione delle domande sarà possibile a partire dalle ore 10 del 20 giugno 2022
mentre l’invio è previsto a partire dalle ore 10 del 5 luglio 2022;
– per la promozione della collaborazione tra imprese creative e soggetti operanti
in altri settori la compilazione delle domande sarà possibile a partire dalle ore 10 del
6 settembre 2022 mentre l’invio è previsto a partire dalle ore 10 del 22 settembre
2022.
Le risorse stanziate per la misura in commento sono pari a 40 milioni, suddivisi in 20 milioni di euro per ciascun anno 2021 e 2022.
Gli sportelli per la presentazione delle domande saranno gestiti da Invitalia per conto del Ministero dello sviluppo economico.

4.3 Online il portale dedicato alle agevolazioni del MISE

Si segnala che è online il portale incentivi.gov.it, un motore di ricerca che ha l’obiettivo di far conoscere e promuovere, in modo semplice e veloce, gli incentivi finanziati dal Ministero dello sviluppo economico, compresi quelli previsti dal PNRR, ad aspiranti imprenditori, alle imprese nuove e a quelle già attive, ai liberi professionisti, a enti e istituzioni.
Dall’home page del portale, grazie ad una dettagliata classificazione delle varie misure e a procedure guidate, si può trovare o scegliere l’incentivo seguendo uno dei quattro percorsi:

 per profilo, adatto ad aspiranti imprenditori, imprese e professionisti, enti o
cittadini;
 per parola chiave;
 per categorie di interesse, ad esempio startup, innovazione, digitalizzazione;
 esplorando l’intero catalogo anche con l’uso dei filtri.

Ad ogni incentivo selezionato si accompagna una scheda sintetica con le informazioni di dettaglio, che riporta in sintesi la misura, i beneficiari, cosa prevede, la data di chiusura e apertura del bando, la tipologia d’impresa che può richiedere il contributo, le specifiche tecniche e i costi ammessi, l’ambito territoriale, le indicazioni per consultare la modulistica necessaria e i riferimenti per agevolare la compilazione della domanda.

In una prima fase il portale consente di trovare tutte le misure del Ministero dello sviluppo economico in continua interrelazione con il sito del Mise mentre in una seconda fase sarà aperto anche alle misure e le sovvenzioni di altre amministrazioni centrali o degli enti territoriali. È infine prevista un’area riservata alle pubbliche amministrazioni per offrire report e dati aggiornati utili alla programmazione e alla
conoscenza dello stato delle misure in tempo reale.

 

5 NOVITÀ IN MATERIA DI WELFARE E LAVORO DIPENDENTE

5.1 Conversione del D.L. n. 21/2022 (cd. Decreto Energia): contratto di somministrazione – limite dei 24 mesi prorogato a giugno 2024

Con legge di conversione del Decreto Energia arriva una nuova proroga per i contratti di somministrazione. Viene, infatti, differita al 30 giugno 2024 la data entro la quale la durata complessiva del contratto di somministrazione con lo stesso lavoratore può superare i ventiquattro mesi. Nello specifico, l’art. 12-quinquies della legge di conversione del decreto Energia (l. n. 51 del 2022) modifica in tal senso l’art. 31, comma 1, ultimo periodo, D.Lgs. n. 81/2015, sostituendo le parole: “31 dicembre 2022” con “30 giugno 2024”.
Per effetto della disposizione transitoria, se il contratto tra agenzia di somministrazione e lavoratore è a tempo indeterminato, non trovano applicazione i limiti di durata complessiva della missione a tempo determinato presso un soggetto utilizzatore. Condizione per l’esclusione di tali limiti di durata è che l’agenzia abbia comunicato all’utilizzatore la sussistenza del rapporto a tempo indeterminato tra la
medesima agenzia e il lavoratore.
Senza l’intervento dell’art. 12-quinquies in esame, dal 1° gennaio 2023 si sarebbe applicato anche alla somministrazione a termine il limite di durata di ventiquattro mesi o l’eventuale maggior limite previsto dal contratto collettivo applicabile, come già previsto per il contratto di lavoro subordinato a termine. Grazie al differimento della data, tale effetto sarà operativo dal 1° luglio 2024 e fino al 30
giugno 2024, pertanto:

(i) possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato;
(ii) qualora il contratto di somministrazione tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore sia a tempo determinato l’utilizzatore può impiegare in missione, per periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato, per il quale l’agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini in capo
all’utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato.
Si ricorda, però, che per il computo del limite massimo di durata nei contratti di lavoro dipendente a termine, si tiene conto anche di periodi di missione a tempo determinato svolti in regime di somministrazione dal lavoratore presso il medesimo datore di lavoro/utilizzatore.
Non viene modificato l’art. 31, comma 1, ultimo periodo, D.Lgs. n. 81/2015.
Pertanto, salvo diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula del predetto contratto, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5.
Nemmeno cambia il comma 2 del medesimo articolo, che stabilisce come regola generale che, salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5.
È esente dai menzionati limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all’art. 8, comma 2, l. n. 223/1991, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’art. 2 del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

5.2 Decreto Direttoriale n. 123 del 2022: progetto di ricerca per la valutazione controfattuale del Reddito di Cittadinanza

La Direzione Generale per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con il Decreto Direttoriale n. 123 del 27 maggio 2022, ha adottato il Progetto di ricerca per la valutazione controfattuale del Reddito di Cittadinanza.
Il Progetto, approvato dal Comitato scientifico appositamente istituito con Decreto del Ministro del Lavoro n. 49/2021, si basa su un esperimento controllato dei percorsi di inclusione dei beneficiari del Reddito di cittadinanza, sia quelli avviati attraverso i Patti per il lavoro, sia quelli definiti nei Patti per l’Inclusione Sociale (PaIS), con lo stesso approccio metodologico e il medesimo piano di campionamento.
L’obiettivo è quantificare l’efficacia dei percorsi di attivazione previsti dalla norma, ove correttamente implementati. Non è quindi finalizzata a stimare l’impatto attuale della misura, che dipenderebbe dallo stato corrente di implementazione.
La metodologia controfattuale permette di isolare e identificare l’impatto causale dei percorsi sul benessere, l’inserimento lavorativo o dell’acquisizione di competenze, e altre sfere tramite l’assegnazione casuale dei beneficiari ai gruppi di controllo e trattamento. Il gruppo di controllo continuerà a ricevere il beneficio economico, ma non verrà sottoposto agli impegni e interventi previsti dai percorsi di inclusione per la durata della valutazione.
Questa impostazione permette sia di ridurre eventuali distorsioni create dal diverso stato di implementazione dei percorsi d’inclusione sociale e lavorativa nelle diverse aree del territorio, sia di utilizzare i risultati della valutazione per supportare i responsabili dell’implementazione del Reddito di Cittadinanza in questa fase di attuazione della misura, in cui la parte di attivazione non è ancora andata a regime per migliorare il disegno e l’implementazione dei percorsi di accompagnamento, aumentare la credibilità e la trasparenza del RdC e testare innovazioni nel disegno della misura o nella fornitura di servizi (service delivery).
I risultati della valutazione controfattuale serviranno, inoltre, per calcolare il costo-beneficio dei percorsi di inclusione, e verranno integrati da indicatori intermedi definiti tramite l’accesso a dati amministrativi, inclusi quelli raccolti dalle piattaforme GePI e MyANPAL e approfondimenti qualitativi (focus groups, interviste) per identificare e comprendere alcuni dei meccanismi dell’impatto causato dai percorsi
di inclusione stessi.

5.3 I nota trimestrale 2022 sulle Comunicazioni Obbligatorie

È stata pubblicata il 9 giugno 2022 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali la nota relativa al I trimestre 2022 concernente i movimenti dei rapporti di lavoro in Italia registrati dal Sistema delle Comunicazioni Obbligatorie.
Nel primo trimestre del 2022, le attivazioni dei contratti di lavoro, calcolate al netto delle trasformazioni a tempo indeterminato, sono risultate pari a 3 milioni e 11 mila, in aumento del 30,2% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (pari a +698 mila contratti), e hanno riguardato 2 milioni e 312 mila lavoratori, con un aumento tendenziale di +26,7% (pari a oltre 487 mila individui). Considerando anche le trasformazioni a Tempo Indeterminato, pari a oltre 188 mila, il numero complessivo di attivazioni di contratti di lavoro raggiunge 3 milioni 200 mila, in crescita del 31,3%, pari a 763 mila attivazioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2021.
L’aumento delle attivazioni ha coinvolto in misura maggiore il Nord (+43,9%) rispetto al Centro (+23,9%) e al Mezzogiorno (+32,1%). La crescita dei rapporti ha determinato un aumento della quota percentuale di attivazioni nei Servizi sul totale, pari al 66,6%, in aumento di 4,8 punti percentuali rispetto a quella osservata nello stesso trimestre dell’anno precedente. Le attivazioni nel settore delle Costruzioni, che
rappresentano il 7,7% del totale, registrano nel primo trimestre del 2022 una crescita tendenziale pari a +39,7%. Nel settore dell’Industria in senso stretto, che mostra un incremento del 30,2%, le attivazioni dei rapporti di lavoro delle donne presentano una variazione superiore (+35,0% a fronte di +28,3% per gli uomini). Il settore dell’Agricoltura, che con 497 mila attivazioni assorbe il 15,5% del totale, fa registrare
un calo (-1,7%), riconducibile esclusivamente alla diminuzione della componente maschile (-2,4% contro +0,3% per la componente femminile).
Le attivazioni dei contratti a Tempo Indeterminato, comprensive di 188 mila trasformazioni (di cui circa 148 mila da Tempo Determinato e circa 40 mila da Apprendistato), determinano un complessivo flusso in ingresso verso il Tempo Indeterminato pari a 712 mila, in aumento tendenziale di 195 mila attivazioni (+37,8%), che risulta superiore rispetto alle 580 mila cessazioni a Tempo Indeterminato. La dinamica delle trasformazioni contribuisce al positivo andamento del flusso in ingresso verso il Tempo Indeterminato, spiegato per il 33,2%
dall’incremento delle trasformazioni a Tempo Indeterminato (pari a +65 mila).
Le attivazioni dei rapporti a tempo Determinato, pari a 2 milioni e 11 mila, mostrano un incremento del 26,6% (+422 mila rapporti di lavoro) e con tassi nettamente superiori crescono anche quelle relative ai contratti di Apprendistato (+48,6%) e quelle appartenenti alla tipologia contrattuale “Altro”, costituita per lo più da contratti di lavoro intermittenti (+69,6%). I contratti di Collaborazione aumentano, invece, del 2,4% rispetto allo stesso trimestre del 2021. L’aumento dei lavoratori attivati viene determinato per effetto di un maggiore aumento nelle donne (+30,0%) rispetto a quello degli uomini (+24,4%).
Il numero di attivazioni pro-capite passa da 1,27 nel primo trimestre del 2021 a 1,30 nel primo trimestre del 2022. Nel primo trimestre del 2022 si registrano 2 milioni 248 mila cessazioni di contratti di lavoro, con un incremento pari al 40,6% (+649 mila unità) rispetto allo stesso trimestre del 2021. Al numero di cessazioni osservate nel trimestre si associa 1 milione 666 mila lavoratori, con un incremento di 461 mila
individui (pari a +38,3%). La crescita tendenziale delle cessazioni (+40,6%) risulta superiore rispetto a quella osservata per le attivazioni (+30,2%), così come l’aumento tendenziale dei lavoratori cessati (+38,3%) è maggiore di quello dei lavoratori attivati (+26,7%). I rapporti di lavoro cessati registrano un incremento che interessa in misura superiore la componente femminile (+43,3%) nei confronti di quella maschile (+38,2%) ed è esteso a tutte le ripartizioni geografiche, mostrando un tasso di variazione superiore nel Nord (+49,5%, pari a +334 mila), rispetto al Centro (+35,0%, pari a +151 mila) e al Mezzogiorno (+33,1%, pari a +163 mila).

Nel settore dei Servizi, in cui è concentrato il 77,5% delle cessazioni, i rapporti giunti al termine sono cresciuti in misura maggiore rispetto agli altri settori di attività, con un incremento tendenziale del 47,2% (pari a +559 mila unità). Nell’Industria, che rappresenta il 15,5% del totale dei rapporti cessati, le Costruzioni registrano la crescita più elevata in termini percentuali (+39,2%, pari a +42 mila), rispetto a quella
osservata nell’Industria in senso stretto (+29,4%, pari a +46 mila), mentre nel settore dell’Agricoltura si osserva una variazione più contenuta (+1,4%, pari a circa 2 mila).
Le dinamiche tendenziali delle cessazioni registrano nel primo trimestre 2022 un incremento in tutte le tipologie contrattuali, raggiungendo i valori percentuali più elevati nell’Apprendistato (+66,6%), che rappresenta una quota poco elevata (3,0%) rispetto al totale delle cessazioni, a fronte di una variazione pari a +39,3% per i rapporti di lavoro a Tempo Indeterminato e pari a +38,9% per i contratti a tempo Determinato, che rappresentano la quota maggiore (57,3%) rispetto al totale dei contratti. Una percentuale di crescita superiore si rileva nella tipologia contrattuale Altro (+63,1%), mentre i contratti di Collaborazione mostrano l’incremento minore (pari a + 4,9%).
Tra le cause di cessazione le variazioni tendenziali maggiormente significative in termini percentuali si registrano nei Licenziamenti (+95,4%, pari a +96 mila) e nella causa denominata Altro (+72,8% pari a +22 mila); un incremento elevato si osserva anche nelle Dimissioni (47,0%, pari a +166 mila rapporti cessati) mentre decrescono, invece, i rapporti giunti a termine per Cessazione di attività (-17,5%).
Nel primo trimestre del 2022, le attivazioni dei tirocini extracurriculari sono risultate pari a oltre 76 mila, in aumento rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (+7,9%, pari a +6 mila tirocini) soprattutto per la componente femminile (+13,1% contro +3,0% per la componente maschile).
Nelle regioni del Nord si osserva il più elevato numero di tirocini attivati, pari nel primo trimestre del 2022 a poco più di 42 mila, corrispondente al 54,5% del totale nazionale (a fronte del 20,0% del Centro e del 25,5% del Mezzogiorno). Il 75,1% del totale delle attivazioni di tirocini extracurriculari risulta concentrato nel settore dei Servizi, che mostra un aumento pari a +10,7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. L’Industria, con una crescita pari a +1,4%, rappresenta il 23,6% dei tirocini avviati nel complesso delle attività economiche. Il settore dell’Agricoltura, che assorbe appena l’1,3% del totale, fa registrare un calo di -16,6%.
Le cessazioni, nel primo trimestre 2022, hanno interessato circa 71 mila tirocini, la maggior parte dei quali (77,0%) ha avuto una durata compresa tra 91 e 365 giorni.

5.4 Circolare ministeriale n. 12 del 2022: il contratto di apprendistato di primo livello obiettivi

Con la Circolare n. 12 del 6 giugno 2022, accompagnata dal Manuale operativo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce indicazioni operative volte a favorire la conoscenza e la diffusione del contratto di apprendistato di I livello, per supportare le istituzioni formative e i datori di lavoro nelle varie fasi di attivazione dello stesso, dall’analisi della fattibilità sino all’organizzazione, gestione e valutazione della formazione in impresa.
Il contratto di apprendistato di primo livello – come disciplinato dall’art. 43 D.Lgs. n. 81/2015 e dal D.M. 12 ottobre 2015 – è rivolto a soggetti che hanno compiuto i 15 anni di età, sino al compimento dei 25 anni, iscritti e inseriti all’interno di un percorso scolastico e/o formativo. La finalità è il conseguimento di un titolo di studio della formazione secondaria di secondo grado, tramite un percorso formativo “duale” che si realizza in parte presso un’istituzione formativa che eroga la “formazione esterna” e in parte presso un’impresa che eroga la “formazione interna”.

Elemento essenziale del contratto è la formazione quale strumento prioritario per sviluppare l’acquisizione di competenze dei soggetti coinvolti, al fine di favorire il loro inserimento nel mercato del lavoro.
Documento propedeutico alla sottoscrizione del contratto di lavoro, è il protocollo formativo che contiene compiti e responsabilità dell’istituzione formativa e dell’impresa, relativamente all’esecuzione del piano formativo dell’apprendista.
Il percorso formativo che l’apprendista svolge nell’ambito del contratto di apprendistato di primo livello viene descritto all’interno del Piano Formativo Individuale (PFI), un documento che è parte integrante del contratto di lavoro e che può essere modificato nel corso del rapporto di lavoro, rispetto al raggiungimento degli obiettivi formativi.
Il protocollo formativo viene dunque individuato, a tutti gli effetti, quale documento propedeutico alla regolare sottoscrizione del contratto di lavoro.
Il Ministero del Lavoro specifica che, nel rispetto dei limiti di durata minimo e massimo fissati dalla legge, si assume, quale termine conclusivo del contratto, la data di pubblicazione degli esiti dell’esame finale, sostenuto dall’apprendista. A decorrere da tale data, sarà dunque possibile:
(i) proseguire con ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
(ii) prorogare il contratto di apprendistato di primo livello;
(iii) trasformare il contratto di apprendistato di primo livello in apprendistato
professionalizzante;
(iv) recedere dal contratto di apprendistato di primo livello.
Stante il fatto che il termine per esercitare la scelta di recesso o di prosecuzione dal contratto decorre unicamente dalla data di pubblicazione degli esiti dell’esame, l’istituzione formativa deve comunicare formalmente al datore di lavoro, tramite PEC, l’esito dell’esame nel più breve tempo possibile e comunque non oltre tre giorni dalla pubblicazione degli esiti dell’esame finale, in modo da consentire l’eventuale proroga
o trasformazione del contratto entro i cinque giorni previsti per la comunicazione obbligatoria.
Poiché alla stipula del contratto non è nota la data di pubblicazione degli esiti dell’esame finale, è possibile assumere quale “data di fine del periodo formativo”, il termine dell’anno scolastico/formativo, come disciplinato dai rispettivi ordinamenti regionali.
Il protocollo tra datore di lavoro e istituzione formativa dovrà necessariamente riportare l’obbligo da parte dell’istituzione formativa di comunicare al datore di lavoro nei termini precedentemente indicati la data di pubblicazione degli esiti dell’esame finale.
Il tutor formativo e il tutor aziendale provvedono ad indicare, nel piano formativo individuale, le attività e le competenze quali altrettanti risultati di apprendimento integrativi a quanto previsto dagli standard formativi di riferimento per le attività di formazione interna ordinamentale e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il tutor aziendale e il tutor formativo predispongono, in itinere e a
conclusione del percorso, un dossier individuale delle evidenze, funzionale ad un successivo accesso ai servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze, predisposti dagli Enti titolari di riferimento della qualificazione oggetto dell’apprendistato.
Il monte ore contrattuale deve prevedere, oltre alle ore di formazione esterna e interna, le ore di prestazione lavorativa.
Per lo svolgimento dell’attività lavorativa, è corrisposta all’apprendista la retribuzione e la relativa contribuzione e sono riconosciute tutte le tutele previste dalle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria, ossia (i) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, (ii) assicurazione contro le malattie, (iii) assicurazione contro l’invalidità e vecchiaia, (iv) maternità, (v) assegno
familiare e (vi) assicurazione sociale per l’impiego.
Viene ammessa la possibilità che l’apprendista sia assunto da un datore di lavoro con sede legale e/o operativa situata in una regione diversa da quella dell’istituzione formativa che eroga la formazione esterna, non si rileva un dettato normativo che vieti tale facoltà. La transregionalità non è ostativa ai fini dei controlli, in quanto non ci sono limiti territoriali per l’operato dell’Ispettorato Nazionale del
Lavoro.
Per gli aspetti riferiti alla formazione, la disciplina regionale di riferimento è quella della sede dell’istituzione formativa in cui viene erogato il percorso.
Con specifico riferimento al piano formativo individuale, il Ministero del Lavoro prevede che l’avvio del contratto di apprendistato e le eventuali proroghe sono subordinati alla sottoscrizione del piano formativo individuale, da parte dell’apprendista, del datore di lavoro e dell’istituzione formativa.
Il piano formativo individuale deve contenere i seguenti elementi:

(i) i dati relativi all’apprendista, al datore di lavoro, al tutor formativo e al tutor aziendale;
(ii) ove previsto, la qualificazione da acquisire al termine del percorso;
(iii) il livello di inquadramento contrattuale dell’apprendista;
(iv) la durata del contratto di apprendistato e l’orario di lavoro;
(v) i risultati di apprendimento, in termini di competenze della formazione interna ed esterna, i criteri e le modalità della valutazione iniziale, intermedia e finale degli apprendimenti e, ove previsto, dei comportamenti, nonché le eventuali misure di riallineamento, sostegno e recupero, anche nei casi di sospensione del giudizio;
(vi) idonee modalità di erogazione della formazione, anche a distanza, in caso di sospensione.

5.5 Accordo tra il Parlamento europeo e gli Stati membri UE sulla direttiva relativa a salari minimi adeguati
Lo scorso 7 giugno è stato raggiunto l’accordo provvisorio per l’approvazione finale della direttiva relativa a salari minimi adeguati, proposta dalla Commissione nell’ottobre 2020.
Il testo dovrà tornare ora alla Commissione Lavoro e Affari sociali e dovrà essere oggetto di una votazione formale sia in seno al Consiglio, che al Parlamento europeo.
Il via libero definitivo dovrebbe avvenire tra fine giugno e inizio luglio per essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrare in vigore, con un termine biennale per il recepimento da parte dei Paesi membri.
La direttiva istituisce un quadro per l’adeguatezza dei salari minimi legali, promuovendo la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e migliorando l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo nell’UE. L’obiettivo non è uniformare i sistemi nazionali con la definizione di un livello minimo unico per tutti gli Stati membri, ma piuttosto tendere a una convergenza verso l’alto delle retribuzioni minime, rispettando le specificità di ogni ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali.
Il provvedimento stabilisce prescrizioni minime a livello dell’Unione per garantire sia che i salari minimi siano fissati a un livello adeguato, sia che i lavoratori abbiano accesso alla tutela garantita dal salario minimo, sotto forma di salario minimo legale o di retribuzioni determinate nell’ambito di contratti collettivi.
Non si obbligano gli Stati membri a introdurre salari minimi legali, né si fissa un livello comune dei salari minimi, rispettando le specificità dei sistemi nazionali.
Si intende contribuire a tre condizioni salariali e di lavoro più favorevoli nell’UE, intervenendo in modo particolare su tre assi:
(i) migliore adeguatezza dei salari minimi legali (ove esistenti), anche mediante la definizione di criteri stabili e chiari per determinarli e aggiornarli (tra cui potere d’acquisto, tenendo conto anche delle imposte e delle prestazioni sociali, livello generale dei salari lordi e relativa distribuzione, tasso di crescita dei salari lordi e andamento della produttività del lavoro). Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno
convenuto che gli aggiornamenti dei salari minimi legali avverranno almeno ogni due anni indicizzazione automatica) e le parti sociali dovranno essere coinvolte nelle procedure di definizione e aggiornamento dei salari minimi legali;
(ii) promozione della contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, in particolare in quelli in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore all’80% dei lavoratori; i Paesi UE con tasso inferiore dovranno elaborare un piano di azione per promuoverla;
(iii) migliore applicazione e monitoraggio dell’adeguatezza per tutti gli Stati membri, anche mediante relazioni periodiche degli Stati membri alla Commissione sul tasso di copertura della contrattazione collettiva, sul livello del salario minimo legale e sulla percentuale di lavoratori a cui viene garantito degli Stati membri alla Commissione, unitamente a un dialogo strutturale.

Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno inoltre concordato una serie di misure per migliorare l’accesso effettivo dei lavoratori alla protezione del salario minimo. Queste misure includono i controlli da parte degli ispettorati del lavoro, informazioni facilmente accessibili sulla protezione del salario minimo e lo sviluppo della capacità delle autorità preposte all’applicazione di perseguire i datori di lavoro non conformi.

5.6 Delibera COVIP 9 marzo 2022: definizione del contributo 2022

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 30 maggio la delibera COVIP del 9 marzo 2022 in cui vengono disciplinati le modalità e i termini di versamento del contributo dovuto alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione da parte delle forme pensionistiche complementari, con riferimento all’anno 2022. A integrazione del finanziamento della Commissione, è dovuto, per l’anno 2022, il versamento di un contributo nella misura dello 0,5 per mille dell’ammontare complessivo dei contributi incassati a qualsiasi titolo dalle forme pensionistiche complementari nell’anno 2021.
Sono esclusi da tale versamento i flussi in entrata derivanti dal trasferimento di posizioni maturate presso altre forme pensionistiche complementari, nonchè i contributi non finalizzati alla costituzione delle posizioni pensionistiche, ma relativi a prestazioni accessorie quali premi di assicurazione per invalidità o premorienza.
Il versamento del contributo è effettuato (i) da ciascuna forma pensionistica complementare che al 31 dicembre 2020 risulti iscritta all’albo e (ii) da società o enti che hanno costituito al proprio interno forme pensionistiche complementari.
Sono esclusi, invece, dal versamento del contributo i soggetti che, per ciascuna forma pensionistica complementare, sarebbero tenuti ad effettuare versamenti inferiori a euro 10,00.
Il contributo deve essere versato entro il 30 giugno 2022 tramite la piattaforma PagoPA, compilando le pagine appositamente dedicate e messe a disposizione nella sezione riservata presente sul sito internet della COVIP.
Contestualmente al pagamento del contributo andranno trasmessi i dati relativi al contributo medesimo, anche qualora il contributo non sia dovuto.

5.7 Nota Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 1159 del 2022: sospensione dell’attività imprenditoriale non applicabile in caso di pericolo

Con la nota n. 1159 del 7 giugno 2022, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro interviene riguardo l’adozione del provvedimento di sospensione, con particolare riferimento ai casi di attività la cui interruzione potrebbe comportare gravi conseguenze ai beni ed alla produzione (ad es. nel settore agricolo o in quello zootecnico) nonché la compromissione del regolare funzionamento di un servizio pubblico.
L’Ispettorato del lavoro ha sempre ribadito la necessità di valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottare il provvedimento laddove sussistano esigenze di salute e sicurezza sul lavoro che possano determinare un maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi. La mancata adozione del provvedimento di sospensione è, pertanto, da considerare una extrema ratio determinata dal rischio che dall’adozione del provvedimento possano derivare situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.
Può integrare un grave rischio per la pubblica incolumità la sospensione di un servizio pubblico che, in assenza di valide alternative che possano garantire l’esercizio di diritti spesso di rango costituzionale, va dunque salvaguardato (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica ecc.).
In questo caso è necessario valutare il possibile posticipo degli effetti della sospensione in un momento successivo a quello dell’adozione del provvedimento, come previsto dall’art. 14, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, nel quale si fa riferimento al momento della “cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta”.
La continuazione dell’attività per mancata adozione del provvedimento o per posticipazione dei suoi effetti deve comunque avvenire nel rispetto di ogni condizione di legalità e di sicurezza. Ad esempio, è impedito ai lavoratori c.d. “in nero” di continuare a svolgere la propria attività sino ad una completa regolarizzazione e la possibilità di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza
o per la salute dei lavoratori durante il periodo di sospensione.

5.8 Circolare Agenzia delle entrate n. 19 del 2022: bonus edilizi e obbligo di indicazione del CCNL
Con circolare n. 19/E del 27 maggio 2022, l’Agenzia delle Entrata, sentito il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha fornito chiarimenti in merito all’obbligo, previsto dall’art. 1, comma 43-bis, l. n. 234 del 2021, così come modificato dall’art. 23-bis, D.L. n. 14/2022, di indicazione, nell’atto di affidamento dei lavori edili (di cui all’allegato X del D.Lgs. n. 81/08) e nelle fatture, del contratto collettivo applicato, ai fini della fruizione del Superbonus 110% e degli altri Bonus edilizi.
In particolare, il soggetto-datore di lavoro che esegue opere di importo superiore a 70.000 euro è tenuto a indicare nel contratto di prestazione d’opera o di appalto (che contiene l’atto di affidamento dei lavori) che i lavori edili, di cui all’allegato X al D.Lgs. n. 81 del 2008, sono eseguiti in applicazione dei contratti collettivi del settore edile, nazionale e territoriali, stipulati dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ai sensi dell’articolo 51 del d.lgs. n. 81 del 2015.
L’Agenzia indica quali i contratti collettivi di lavoro riferiti al settore edile siano in possesso dei richiamati requisiti e ne richiama i codici assegnati dal CNEL. È, comunque, onere del committente dei lavori richiedere l’inserimento dell’indicazione dei contratti collettivi ovvero verificarne l’inserimento, in quanto l’omessa indicazione nell’atto di affidamento determina il mancato riconoscimento dei benefici fiscali normativamente previsti.
Tale obbligo deve essere rispettato anche nel caso in cui il contratto di affidamento dei lavori sia stipulato per il tramite di un general contractor ovvero nel caso in cui i lavori edili siano oggetto di subappalto. In tali casi, nel contratto di affidamento stipulato con un general contractor, o con soggetti che si riservano di affidare i lavori in appalto, devono essere indicati i contratti collettivi che potranno essere applicati dalle imprese alle quali vengono affidati i lavori edili e, nei successivi contratti stipulati con tali soggetti e nelle relative fatture, dovrà, poi, essere indicato il contratto effettivamente applicato.
L’Agenzia osserva, inoltre, che i commissionari dei lavori edili interessati dalla disciplina sono unicamente quelli che, in relazione all’esecuzione degli interventi agevolati, si sono avvalsi di lavoratori dipendenti. L’art. 1, comma 43-bis, l. n. 234/2021, infatti, riferendosi a “datori di lavoro”, esclude dall’applicazione della disciplina gli interventi eseguiti, senza l’impiego di dipendenti, da imprenditori individuali, anche avvalendosi di collaboratori familiari, ovvero da soci di società di persone o di capitali che prestano la propria opera lavorativa nell’attività non in qualità di lavoratori dipendenti.
Il citato comma 43-bis stabilisce, altresì, che il contratto collettivo applicato, indicato nell’atto di affidamento dei lavori, deve essere riportato anche nelle fatture emesse in relazione all’esecuzione dei lavori stessi. La mancata indicazione del contratto collettivo nelle fatture emesse in relazione all’esecuzione dei lavori non comporta, tuttavia, il mancato riconoscimento dei benefici fiscali, purché tale indicazione sia presente nell’atto di affidamento.
Le disposizioni analizzate si applicano ai contribuenti che fruiscono direttamente in dichiarazione dei redditi o che optano per le alternative alla fruizione diretta delle seguenti agevolazioni, dal Superbonus 110%, all’efficienza energetica di cui all’art. 14, D.L. n. 63 del 2013, alla detrazione per le spese sostenute per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, di cui all’art. 119-ter, D.L. n. 34 del 2020, etc.
Al fine di rafforzare i controlli sul rispetto di tali adempimenti già in una fase antecedente alla fruizione del beneficio fiscale ad essi collegato, l’art. 1, comma 43- bis, l.n. 234/2021 prevede che, ai fini del rilascio – nei casi in cui tale adempimento sia prescritto dalla legge – il visto di conformità, ai sensi dell’art. 35 D.Lgs. n. 241 del 1997, deve essere verificato, tra l’altro, che il contratto collettivo applicato sia indicato
nell’atto di affidamento dei lavori e riportato nelle fatture emesse in relazione all’esecuzione dei lavori.
Qualora, per errore, in una fattura non sia stato indicato il contratto collettivo applicato, il contribuente, in sede di richiesta del visto di conformità, deve essere in possesso di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, rilasciata dall’impresa, con la quale quest’ultima attesti il contratto collettivo utilizzato nell’esecuzione dei lavori edili relativi alla fattura medesima. Tale dichiarazione deve essere esibita dal
contribuente ai soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità o, su richiesta, agli uffici dell’amministrazione finanziaria.
Sul piano dei controlli, l’Agenzia delle entrate, per la verifica dell’indicazione del contratto collettivo applicato negli atti di affidamento dei lavori e nelle fatture, può avvalersi dell’Ispettorato nazionale del lavoro, e si applica ai lavori edili ivi indicati avviati successivamente a tale data».
Viene, infine, precisato che, nell’ottica di semplificazione degli adempimenti per i contribuenti e della tutela dell’affidamento degli stessi, le prescrizioni di cui all’art. 1, comma 43-bis, l. n. 234/2021 operano con riferimento agli atti di affidamento stipulati dal 27 maggio 2022 e si applicano ai lavori edili avviati successivamente a tale data.

5.9 Sentenza Corte Costituzionale n. 125 del 2022
Con la sentenza n. 125 del 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), nella parte in cui richiede, ai fini della reintegra del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, che l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso sia “manifesta”.
In particolare, il Tribunale di Ravenna – nel corso di un procedimento inerente all’impugnativa giudiziale di un licenziamento per g.m.o. irrogato ad un lavoratore assunto nel 2001 – aveva sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 18, settimo comma, secondo periodo, L. n. 300/1970 (come novellato dalla c.d. riforma Fornero), per violazione degli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione. Secondo il Giudice rimettente, sarebbe esistita una illegittima differenziazione tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e quello
disciplinare, posto che solo nella prima fattispecie sarebbe stata richiesta – ai fini della reintegrazione del lavoratore – una insussistenza manifesta del fatto.
La Corte Costituzionale ha dichiarato fondata la questione sollevata, ritenendo ingiustificata la richiesta del legislatore in ordine alla circostanza che l’insussistenza del fatto, solo con riferimento ai recessi economici, debba essere manifesta per concedere la reintegra al lavoratore illegittimamente licenziato.
Secondo la Consulta, tale requisito risulta, infatti, del tutto indeterminato e, come tale, si presta a incertezze applicative che possono condurre a soluzioni difformi con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento. Ciò, in quanto, nella prassi, è indubbiamente problematico il discrimine tra l’evidenza conclamata del vizio e l’insussistenza pura e semplice del fatto.
Ulteriormente – continua la sentenza – nel far leva su un requisito indeterminato e per di più svincolato dal disvalore dell’illecito, la disposizione censurata si riflette sul processo e ne complica taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato. Invero, oltre all’accertamento (non di rado complesso) della sussistenza o della insussistenza di un fatto, si rende necessaria una ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza.
Per il Giudice delle leggi, infine, la norma in esame merita di essere censurata anche perché lascia che la scelta tra due forme di tutela profondamente diverse sia rimessa a una valutazione non ancorata a precisi punti di riferimento, tanto più necessari quando vi sono fondamentali esigenze di certezza.
Tanto premesso, la Corte Costituzionale «dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in
materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), limitatamente alla parola “manifesta”».

5.10 Risposta a interpello n. 329 del 2022: esente il servizio di ricarica delle auto elettriche private offerto dal datore di lavoro
Con la risposta a interpello n. 329 del 10 giugno 2022, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sul trattamento fiscale del servizio di ricarica dell’auto privata elettrica, offerto gratuitamente ai dipendenti dal datore di lavoro.
Nel caso esaminato dall’Amministrazione finanziaria, la società istante fa parte di un gruppo che da diversi anni si impegna nell’informazione e nella sensibilizzazione, sia interna che esterna all’azienda, della sostenibilità ambientale, effettuando altresì investimenti per aumentare l’efficienza energetica e rinnovando il parco auto aziendale con automezzi elettrici o ibridi. La stessa vorrebbe attuare una
nuova iniziativa incentivando il ricorso alla mobilità elettrica dei propri dipendenti anche nell’ambito privato.
Nello specifico, si vorrebbe riconoscere, per sei mesi, ai dipendenti il servizio di ricarica gratuita nel caso di acquisto auto elettriche entro un determinato periodo di tempo; tale servizio verrebbe fruito utilizzando, ove possibile, l’energia elettrica prodotta dai propri impianti fotovoltaici o idroelettrici, oppure, in alternativa, stipulando convenzioni con soggetti terzi fornitori delle ricariche. È stato chiesto all’Amministrazione finanziaria se un simile benefit possa essere ricondotto nell’ambito delle iniziative di welfare aziendale escluse da imposizione fiscale, ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. f), TUIR.
L’Agenzia ricorda, previamente, che l’art. 51, comma 2, lett. f), TUIR esclude dal reddito di lavoro dipendente l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità adisposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e
sanitaria o culto. L’esclusione dal reddito si realizza se le opere e i servizi sono messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti, se le opere e i servizi riguardano erogazioni in natura, infine se le stesse opere perseguono finalità educative o di assistenza. Inoltre, tali opere e servizi possono essere messi a disposizione direttamente dal datore di lavoro o da strutture esterne all’azienda, ma a condizione che il dipendente rimanga estraneo al rapporto economico tra l’azienda e il terzo soggetto.

Tanto premesso, l’Agenzia ritiene che la menzionata lett. f) sia applicabile al caso di specie. Nel contesto descritto dall’istante è, difatti, individuabile una finalità di educazione ambientale perseguita dall’istante medesimo. Il servizio di ricarica delle auto elettriche, offerto gratuitamente ai dipendenti per 6 mesi, si inserisce in un quadro di interventi portati avanti dal gruppo di cui fa parte la società istante e aventi lo scopo di informare e sensibilizzare soggetti interni ed esterni al gruppo su specifiche tematiche legate alla sostenibilità, tra cui: educazione ambientale, consumo responsabile, promozione della sicurezza e della salute.
Per questo motivo, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il servizio di ricarica gratuito offerto ai dipendenti possa beneficiare del regime di esclusione dal reddito di lavoro dipendente nell’ipotesi in cui tale servizio sia limitato in termini di importo e/o di KW totali di ricariche effettuabili (al fine di evitarne abusi) e soddisfi il requisito della finalità educativa previsto dall’art. 51, comma 2, lett. f), TUIR.

5.11 Risposta a interpello n. 321 del 2022: impatriati, opzione preclusa ai cittadini non iscritti all’AIRE

Con la risposta a interpello n. 321 di ieri, 3 giugno 2022, l’Agenzia delle Entrate torna sul requisito dell’iscrizione all’AIRE, richiesto ai fini del prolungamento del regime dei c.d. vecchi impatriati.
Nel caso esaminato dall’Agenzia, l’istante, con doppia cittadinanza, italiana e serba, in possesso di titolo di laurea in giurisprudenza conseguito presso l’Università di Belgrado, ha dichiarato di aver iniziato a lavorare presso una banca a Belgrado nel 1999. Dal 4 luglio 2016, è stata distaccata presso una banca in Italia, per svolgere la mansione di “HR Senior Specialist”. A seguito del distacco e con l’intenzione di
trasferirsi in Italia, ha presentato, in data 12 luglio 2016, richiesta di permesso di soggiorno e, in data 10 novembre 2016, di iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente. Scaduto il distacco, è stata assunta dalla banca italiana con un contratto a tempo indeterminato del tutto autonomo rispetto al precedente rapporto di lavoro avviando la nuova attività stabilmente nel nostro Paese dal 1° luglio 2018. Il 22
gennaio 2018 ha prestato giuramento presso l’Ambasciata italiana di Belgrado dove aveva anche presentato domanda di cittadinanza (2013), con successiva trascrizione del relativo decreto del ministro dell’Interno nei registri del Comune di Milano in data 26 giugno 2018. Dal 2017, e per i cinque anni successivi, ha usufruito del regime dei lavoratori impatriati.
Ciò posto, l’istante ha chiesto se possa esercitare l’opzione che le consentirebbe di prorogare per altri cinque anni, a partire dal 1° gennaio 2022, la tassazione agevolata, considerato che, prima del trasferimento non era iscritta all’AIRE.
L’Agenzia premette che l’art. 5, comma 1, D.L. n. 34 del 2019 (cd. decreto Crescita) ha modificato alcuni dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso al regime speciale per lavoratori impatriati, di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 147 del 2015, incrementato le percentuali di riduzione dell’imponibile fiscale dei redditi agevolabilie previsto, al verificarsi di determinate condizioni, l’estensione per un ulteriore quinquennio del periodo agevolabile.
Le modifiche normative menzionate, in vigore dal 1° maggio 2019, trovano applicazione, ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.L. n. 34 del 2019, «a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del Pagina 3 di 7 regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147».
Con riferimento a tali modifiche, applicabili ai soggetti che trasferiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato a decorrere dal 30 aprile 2019, l’Agenzia richiama i chiarimenti interpretativi forniti con circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020.
In particolare, tale circolare ha chiarito che con l’art. 16, comma 3-bis D.Lgs. n. 147 del 2015, inserito dall’art. 5, comma 1, lett. c) del decreto Crescita, il legislatore ha introdotto un’estensione temporale del beneficio fiscale ad ulteriori cinque periodi di imposta, con tassazione nella misura del 50 per cento del reddito imponibile, in presenza di specifici requisiti quali, alternativamente: (i) l’avere almeno un figlio
minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, oppure (ii) l’acquisto di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia direttamente da parte del lavoratore oppure da parte del coniuge, del convivente o dei figli, anche in comproprietà. Quest’ultima ipotesi deve realizzarsi «successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento».
La percentuale di tassazione dei redditi agevolabili prodotti nel territorio dello Stato negli ulteriori cinque periodi d’imposta si riduce al 10 per cento se il soggetto ha almeno tre figli minorenni o a carico.
Successivamente, l’art. 1, comma 50, l. n. 178 del 2020 (Legge di Bilancio 2021) ha inserito nell’art. 5 del decreto Crescita, il comma 2-bis, al fine di consentire l’estensione per un ulteriore quinquennio della fruizione del regime speciale per lavoratori impatriati anche a coloro «che siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147».
La richiamata norma della Legge di Bilancio 2021 ha stabilito che possono fruirne, mediante l’esercizio di un’apposita opzione, le persone fisiche che (i) durante la loro permanenza all’estero sono state iscritte AIRE ovvero sono cittadini di Stati membri dell’Unione Europea, (ii) hanno trasferito la residenza fiscale in Italia prima del 2020, (iii) già beneficiavano del regime speciale per i lavoratori impatriati alla data
del 31 dicembre 2019.
L’opzione si perfeziona con il pagamento di un importo pari al 10 per cento dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se, al momento di esercizio della stessa, il lavoratore soddisfa, alternativamente, specifici requisiti:
(i) ha almeno un figlio minorenne (anche in affido preadottivo), ovvero
(ii) è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia dopo il trasferimento.
Per effetto della lettura congiunta della disposizione che consente l’esercizio dell’opzione soltanto ai soggetti «che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020» e di quella che preclude tale possibilità a coloro che si sono trasferiti a decorrere dal 30 aprile 2019, l’estensione per un ulteriore quinquennio della fruizione del regime speciale per lavoratori impatriati di cui all’art. 5, comma 2-bis del
decreto Crescita risulta, di fatto, riservata a coloro che hanno acquisito la residenza fiscale italiana prima del 30 aprile 2019 (sempreché al 31 dicembre 2019 risultino beneficiari del regime agevolato).
L’Agenzia rileva, inoltre, che l’art. 1, comma 50, della legge di Bilancio 2021 restringe la platea dei potenziali fruitori dell’opzione. Infatti, benché beneficiari al 31 dicembre 2019 del regime speciale per lavoratori impatriati, sono in ogni caso esclusi dalla possibilità di esercizio dell’opzione coloro che non sono stati iscritti all’AIRE e i cittadini extra-comunitari anche se beneficiari del regime speciale per lavoratori
impatriati.

Con riferimento al caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ritiene, dunque, che l’Istante, cittadina extracomunitaria che, nel periodo antecedente al trasferimento della residenza in Italia, non era iscritta all’AIRE (avendo acquisito la cittadinanza italiana nel 2018, dopo essersi trasferita in Italia nel 2017), non sia in possesso dei requisiti per esercitare l’opzione di cui all’art. 1, comma 50, l. n. 178 del 2020.

 

6 NOVITÀ IN MATERIA IVA

6.1 Risposta ad interpello n. 320 del 2022: split payment

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 320 dell’1 giugno 2022, ha fornito alcune precisazioni in tema di Split Payment.
La disciplina della scissione dei pagamenti (“split payment”) si rinviene nell’art. 17-ter del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Tale disposizione, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 629, lettera b), della Legge di stabilità 2015, prevedeva al primo comma, che per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto, l’imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Le disposizioni di attuazione sono state definite con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 23 gennaio 2015.
A seguito della modifica normativa la disciplina IVA fa espresso riferimento alla Legge n. 196 del 2009, che all’art. 1 comma 2 dispone che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l’anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell’elenco oggetto del comunicato dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall’anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell’elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228, e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo, effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell’Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le Amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni.
Con il d.m. 27 giugno 2017, in vigore dal 30 giugno 2017, è stato modificato il d.m. 23 gennaio 2015, con l’inserimento dell’articolo 5-bis (rubricato “Individuazione delle pubbliche amministrazioni”) ai sensi del quale: in sede di prima applicazione, per le operazioni per le quali è emessa fattura a partire dal 1° luglio 2017 fino al 31 dicembre 2017, le disposizioni dell’art. 17-ter del decreto n. 633 del 1972 si applicano
alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato, individuate dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, come da elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 30 settembre 2016.
Per le operazioni per le quali è emessa fattura nell’anno 2018 e negli anni successivi, le disposizioni dell’art. 17-ter del decreto n. 633 del 1972 si applicano alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato, individuate dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, come da elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi della stessa norma, entro il 30 settembre dell’anno precedente.

Con il d.m. 13 luglio 2017 è stato nuovamente modificato l’articolo 5-bis del d.m. 23 gennaio 2015 nel senso che le disposizioni dell’art. 17-ter del decreto n. 633 del 1972 si applicano alle pubbliche amministrazioni destinatarie delle norme in materia di fatturazione elettronica obbligatoria di cui all’art. 1, commi da 209 a 214, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Il richiamato comma 209 della legge n. 244 del 2007 dispone che al fine di semplificare il procedimento di fatturazione e registrazione delle operazioni imponibili, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 213, l’emissione, la trasmissione, la conservazione e l’archiviazione delle fatture, emesse nei rapporti con le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 deve essere effettuata esclusivamente in forma elettronica.

Con il d.m. 3 aprile 2013, n. 55 è stato approvato il “Regolamento in materia di emissione, trasmissione e ricevimento della fattura elettronica da applicarsi alle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 1, commi da 209 a 213, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”.
Con la Circolare n. 27/E del 7 novembre 2017 è stato precisato (superando i chiarimenti forniti con precedenti circolari) che per l’individuazione delle Pubbliche Amministrazioni va fatto riferimento esclusivo alle previsioni di cui all’art. 5-bis (rubricato “Individuazione delle pubbliche amministrazioni”) del DM 23 gennaio 2015, come modificato dal DM 13 luglio 2017.
Nella Circolare n. 27/E del 2017 viene precisato, altresì, che ai fini dell’esatta individuazione delle PA tenute ad applicare la scissione dei pagamenti occorre fare riferimento all’elenco pubblicato sul sito dell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni, www.indicepa.gov.it (iPA).
Infatti, attraverso il richiamo del citato articolo 5-bis del DM 23 gennaio 2015, come modificato, al comma 209 della Legge n. 244 del 2007 nonché alla definizione di amministrazioni pubbliche contenuta nel citato art.1, comma 2, della Legge n. 196 del 2009, richiamato dall’art. 17-ter del d.P.R. n. 633 del 1972, sono stati ricompresi tra i destinatari dello split payment i soggetti iscritti nell’elenco IPA, con esclusione
dei soli soggetti classificati quali Gestori di pubblici servizi, esclusi dall’obbligo di fattura elettronica per la pubblica amministrazione.

Si tratta dei:
 soggetti di cui all’art.1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001;
 soggetti indicati a fini statistici dall’ISTAT e delle Autorità indipendenti;
 delle Amministrazioni autonome annoverate.

L’IPA costituisce l’archivio ufficiale contenente i riferimenti delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi; il citato d.m. n. 55 del 2013, allegato D, dispone che l’anagrafica di riferimento per la fatturazione elettronica è rappresentata dall’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA), dove devono essere riportate, e tenute aggiornate, dai soggetti interessati, le informazioni necessarie a garantire il corretto recapito delle fatture elettroniche.
Anche la successiva Circolare n. 9/E del 7 maggio 2018 ha ribadito che per l’individuazione delle Pubbliche Amministrazioni destinatarie della disciplina della scissione dei pagamenti non sono previsti degli elenchi, ma, come, peraltro, chiarito nel comunicato del 31 ottobre del 2017 dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, occorre far riferimento all’Indice delle Pubbliche
Amministrazioni (www.indicepa.gov.it).
Il documento di prassi ha evidenziato, inoltre, che “l’accreditamento all’IPA, ancorché obbligatorio per i soggetti destinatari della fatturazione elettronica, discende dall’iniziativa degli stessi soggetti. Pertanto, la P.A. acquirente, che sulla base delle norme sopra richiamate rientri nell’alveo di applicazione della scissione dei pagamenti, laddove non abbia richiesto l’anzidetto accreditamento e non abbia
comunicato al fornitore l’applicabilità alla stessa del meccanismo di cui trattasi, sarà comunque soggetta all’applicazione delle specifiche sanzioni.
La Federazione, pur essendo esclusa dall’elenco ISTAT, laddove risulta ancora iscritta nell’Indice dei domicili digitali della Pubblica Amministrazione e dei gestori di pubblici servizi (IPA), deve continuare ad applicare la disciplina dello split payment, anche al fine di assicurare certezza giuridica ai suoi fornitori, per le operazioni per le quali è emessa fattura anteriormente all’avvenuto aggiornamento dell’elenco stesso.

 

7 ALTRE NOVITA’

7.1 Ade: Risposta a interpello n. 234/E del 6 giugno 2022

L’Agenzia delle Entrate, con risposta ad interpello n. 234/E del 6 giugno 2022, precisa che l’impresa edile, a seguito dell’acquisto di un fabbricato attraverso il regime previsto dall’art. 7 del decreto “Crescita”, rivende l’immobile stesso senza aver effettuato gli interventi richiesti per usufruire della tassazione ridotta, perde l’agevolazione e dovrà versare le imposte di registro, ipotecaria e catastale ordinarie insieme a una sanzione pari al 30% dei tributi.