Newsletter Studio e-IUS – Tax&Legal – “Le novità fiscali del mese” – 1 Aprile 2022

Con la presente siamo lieti di sottoporre alla Vostra attenzione le principali novità in materia fiscale del mese disponibili anche sul sito dello Studio www.e-ius.it.

1 ATTIVITÀ LEGISLATIVA …………………………………………………………………………………….. 2
2 NOVITÀ IN MATERIA DI TERZO SETTORE …………………………………………………….3
3 NOVITÀ IN MATERIA DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO …………………………….. 4
4 NOVITÀ IN TEMA DI START-UP, INDUSTRIA 4.0, MARCHI E BREVETTI .. 13
5 NOVITÀ IN MATERIA DI WELFARE E LAVORO DIPENDENTE………………….. 14
6 NOVITÀ IN MATERIA IVA……………………………………………………………………………………25
7 ALTRE NOVITA’…………………………………………………………………………………………………….26

1 ATTIVITÀ LEGISLATIVA
1.1 Decreto Legge 27 gennaio 2022, n. 4: Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico.


Nella Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.21 del 27-01-2022) è stato
pubblicato il Decreto Legge n. 4 del 2022 (c.d. “decreto sostegni ter”).
Il provvedimento è entrato in vigore in data 27 gennaio 2022.

1.2 Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228: Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi.
Nella Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.309 del 30-12-2021), è stato pubblicato il Decreto Legge n. 228 del 2021 (c.d. “decreto Milleproroghe”). Il provvedimento è entrato in vigore in data 31 dicembre 2021. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2022, è pubblicata la Legge 25 febbraio 2022, n. 15: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, recante
disposizioni urgenti in materia di termini legislativi.

1.3 Legge 30 dicembre 2021, n. 234: Legge di Bilancio
Nella Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.310 del 31-12-2021 – Suppl. Ordinario n. 49), è stata pubblicata la legge di Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024. (21G00256). Il provvedimento è entrato in vigore in data 1 gennaio 2022.

1.4 Decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146: Decreto Fiscale
Nella Gazzetta Ufficiale 20 dicembre 2021, n. 301 è stato pubblicato il Decreto Legge 21 ottobre 2021, n. 146, noto come Decreto Fiscale, coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2021, n. 215, recante “Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”.

2 NOVITÀ IN MATERIA DI TERZO SETTORE
2.1 Aperta per le Onlus la possibilità di iscriversi al Registro unico del Terzo settore
L’agenzia delle entrate ha pubblicato il 28 marzo 2022 l’elenco delle ONLUS iscritte al 22 novembre 2021 nell’anagrafe tributaria. A decorrere dal 28 marzo, dunque, tali organizzazioni possono decidere di accedere al Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) presentando apposita istanza. Si ricorda tuttavia, che le ONLUS a differenza delle organizzazioni di volontariato (ODV) e associazioni di promozione sociale (APS) hanno la possibilità di accedere al RUNTS fino al 31 marzo del periodo d’imposta successivo a quello di autorizzazione della Commissione Ue sui nuovi regimi fiscali del Cts.
Nel caso in cui, invece, l’iscrizione nel Runts avvenga oltre il termine del 31 marzo come sopra indicato. In questo caso, resta fermo l’obbligo di devoluzione del patrimonio incrementale accumulato in vigenza del regime agevolato di cui al Dlgs 460/97.

2.2 Pubblicati dal Ministero del Lavoro chiarimenti in materia di accreditamento al 5xmille
In data 31 marzo 2022 il Ministero del lavoro, ha fornito chiarimenti in materia di 5xmille.
Nel dettaglio è stato chiarito che gli enti già iscritti al RUNTS che non siano già accreditati ai registri permanenti del 5xmille e non abbiano flaggato in fase di presentazione dell’istanza la voce “Accreditamento al 5 x 1000” potranno regolare la propria posizione presentando una pratica di modifica delle informazioni dal prossimo 4 aprile alle ore 15.00 fino al prossimo 11 aprile. Una possibilità, questa, estesa anche alle cooperative sociali ed alle imprese sociali non costituite in forma societaria che non risultino iscritte nell’elenco pubblicato lo scorso 8 marzo.

Dopo la data dell’11 aprile sarà possibile continuare ad accreditarsi al beneficio del 5×1000 con le medesime modalità fino al 30 settembre, fruendo dell’istituto della remissione in bonis previo versamento dell’importo di euro 250,00.
Quanto invece alle ODV ed APS coinvolte nel procedimento di trasmigrazione al RUNTS che non siano già incluse nell’elenco permanente, il ministero chiarisce che potranno accreditarsi al beneficio del 5×1000 a seguito dell’iscrizione nel RUNTS, presentando la pratica di modifica entro il 31 ottobre 2022 e senza necessità di effettuare alcun versamento alla luce di quanto previsto dall’art. 9, comma 6, del Decreto Mille proroghe 2022.

2.3 Convertito in legge il decreto sostegni-ter: le misure a favore dello sport
Pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 28.03.2022 la Legge n.25/2022 n. 25 di conversione, con modificazioni, del DL del n. 4/2022 (Decreto sostegni-ter).
Numerose le disposizioni a sostegno del mondo sportivo, sia dilettantistico che professionistico. Nel dettaglio, a sostegno degli operatori del settore sportivo è stato stabilito che le disposizioni sul credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari si applicano anche per gli investimenti pubblicitari effettuati dal 01.01.2022 al 31.03.2022, con autorizzazione di spesa per un importo complessivo pari a 20 milioni
di euro per il primo trimestre 2022.
È stata inoltre aumentata di 20 milioni di euro la dotazione del fondo istituito per garantire il contributo a fondo perduto a ristoro delle spese sanitarie di sanificazione e per l’effettuazione di test di diagnosi dell’infezione da COVID-19 in favore di SSD e ASD iscritte al registro CONI nonché a favore di società sportive professionistiche.
Viene infine previsto che le risorse del “Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano” possono essere parzialmente destinate all’erogazione di contributi a fondo perduto per le SSD e ASD maggiormente colpite dalle restrizioni, con specifico riferimento a quelle che gestiscono impianti sportivi.

3 NOVITÀ IN MATERIA DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO 3.1 I finanziamenti dei soci più svantaggiati legittimano l’induttivo alla società

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 1151 del 17 gennaio 2022, ha ritenuto valido l’accertamento induttivo dell’Agenzia a una società, che aveva incassato costantemente, da parte dei soci, finanziamenti non sostenuti dalla sussistenza di corrispondenti risorse economiche, ed erroneo lo spostamento, sull’ufficio, dell’onere della prova, effettuato dalla Ctr del Lazio. L’Agenzia delle entrate notificava a una società un avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2006, con il quale venivano contestate le operazioni di finanziamento da parte dei soci, effettuate in maniera sistemica e costante, in quanto
non supportate da una pregressa capacità patrimoniale degli stessi soggetti eroganti.
Di conseguenza, tali poste venivano equiparate a ricavi conseguiti in nero. Inoltre, l’ufficio confutava l’omessa fatturazione di attività commerciali nonché la sussistenza di fatture di vendita, in quanto non transitate correttamente in contabilità. La società impugnava l’atto con ricorso, che veniva accolto in prima istanza.
L’ufficio interponeva appello, il quale veniva rigettato dalla Ctr del Lazio perché, a parere di quei giudici:
i) nel caso in esame, non sussistevano i presupposti per l’applicabilità dell’accertamento induttivo, in quanto l’amministrazione non era stata in grado di dimostrare le omissioni e/o le inesattezze rilevate nella contabilità;
ii) tale metodologia accertativa non era stata suffragata da indizi connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza;
iii) in relazione al recupero dei finanziamenti dei soci, l’ufficio non aveva dimostrato che dette disponibilità finanziarie derivassero da ricavi occulti, difettando, sullo specifico punto, l’onere della prova.
L’amministrazione ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della pronuncia di secondo grado, affidandolo a un unico motivo – violazione e falsa applicazione degli articoli 39, comma 2, lett. d) del DPR 600/1973 e 2697, 2727 e 2729 c.c. – censurando le motivazioni con le quali la Ctr aveva erroneamente qualificato l’accertamento di natura induttiva, in quanto, al contrario, i rilievi ivi contenuti derivavano da una metodologia analitico-induttiva sulla base della quale, a prescindere dalla formale regolarità contabile, costituiva elemento presuntivo la circostanza della rilevata debolezza patrimoniale dei soci a fronte dei consistenti investimenti finanziari immessi nel bilancio societario.
La Ctr, secondo la ricorrente Agenzia, aveva ingiustamente posto a suo carico l’onere di dimostrare l’effettiva provenienza delle provviste economiche, da essa poste a base dell’effettuato recupero erariale (prestiti ricevuti ovvero paralle la gestione di ulteriori attività economiche).
I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 1151 del 17 gennaio 2022, hanno ritenuto pienamente fondato il ricorso erariale, cassando la pronuncia impugnata e rinviando ad altra sezione della Ctr del Lazio in differente composizione. In particolare, la Corte ha avvalorato la posizione assunta dall’Agenzia in tema
di accertamento di ricavi in nero mascherati da finanziamenti dei soci sulla base dei seguenti elementi presuntivi:
i) assenza di capacità finanziaria dei predetti soci a fronte di cospicui versamenti nell’ambito della contabilità aziendale
ii) mancanza di un’apposita delibera assembleare
iii) la circostanza che tali pagamenti fossero avvenuti in contanti
iv) richiamo, nell’avviso di accertamento impugnato, della norma di cui all’articolo 39, comma 1, per il quale “l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici purché queste siano gravi, precise e concordanti”, lettera d) del DPR n.
600/1973, in tema di accertamento analitico-induttivo fondato su molteplici elementi presuntivi da cui delineare il fatto noto che “i finanziamenti siano serviti per reintegrare le casse societarie di corrispettivi incassati non transitati dalla contabilità”.
Conseguentemente, l’ufficio aveva ampiamente dimostrato la realizzazione di ricavi in nero occultati secondo quanto previsto dalla citata disposizione normativa. Sul punto, la Cassazione ha precisato che la Ctr del Lazio avrebbe dovuto procedere a un esame congiunto dei singoli elementi indiziari forniti dall’ufficio valutando l’accertamento del fatto non noto (sussistenza di ricavi non dichiarati).
In questa sede è stata richiamata costante giurisprudenza di legittimità in base alla quale la correttezza dei finanziamenti dei soci deve essere sempre corroborata da tempestive delibere assembleari e da regolari scritture contabili, che siano entrambi compatibili con l’esercizio finanziario in essere (cfr. Cassazione, sentenza n.17322/2021).
In conclusione, la Corte, con la pronuncia in esame, ha censurato la decisione presa dalla Ctr del Lazio, la quale, nell’ambito di un’equivalenza probatoria posta al suo vaglio, ha deciso di ritenere fondate le argomentazioni di parte, tendenti a dimostrare la derivazione delle somme, oggetto di finanziamento, in rapporto a pregresse attività commerciali svolte dai medesimi soci.
In definitiva, i giudici di secondo grado hanno fatto malgoverno della disposizione di cui all’articolo 2729 cc, in tema di onere della prova e di sussistenza del fatto noto da cui far derivare l’esistenza del fatto non noto (provenienza di versamenti da somme concretamente disponibili da parte dei soci).

3.2 Appello chiaro e sintetico o si rischia l’inammissibilità
La sommarietà e intellegibilità dell’esposizione delle difese delle parti, elaborata in relazione al ricorso per cassazione, deve intendersi riferibile anche ai gradi di merito. Di conseguenza, ove non vengano rispettati i riferiti parametri, l’atto di impugnazione di secondo grado può essere dichiarato inammissibile in via
pregiudiziale, precludendo così l’esame da parte del giudice del merito della controversia.
Queste, in sintesi, le conclusioni rese dalla Commissione tributaria regionale del Veneto nella sentenza n. 367 dello scorso 9 marzo.
A seguito dell’attività di indagine della Guardia di finanza, conclusasi con la notifica di un processo verbale di constatazione, il competente ufficio dell’Agenzia emetteva quattro avvisi di accertamento per altrettanti periodi d’imposta a carico di una società in nome collettivo nonché dei suoi soci, cui il reddito veniva imputato “per trasparenza”.
I ricorsi proposti sia dall’ente che dalle persone fisiche venivano riuniti e rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia con sentenza n. 343/2020.
La società e i soci impugnavano la pronuncia di prime cure con atto di appello che (secondo quanto si legge nella sentenza in commento) si compone “di 172 pagine al quale sono stati allegati 36 documenti che, nel fascicolo telematico, sono rappresentati da 225 allegazioni; l’allegato principale (da un punto di vista del merito della controversia) è la consulenza tecnica … che risulta composta da 1279 pagine”.
Con sentenza n. 367 del 9 marzo scorso, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha ritenuto inammissibile l’appello riportandosi all’orientamento della Cassazione che, spiegano i giudici, “ha individuato nella sommarietà (intesa come concisione dei fatti essenziali) ed intellegibilità della esposizione nelle difese delle parti, una condizione prevista a pena di inammissibilità degli atti difensivi e dei procedimenti ad essi conseguenti”.
Secondo la pronuncia in rassegna, sulle parti graverebbe dunque l’onere di effettuare un lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda da sottoporre al vaglio dei giudici, senza pertanto dover costringere questi ultimi a procedere alla lettura integrale dell’atto di impugnazione, perché in caso contrario “si delegherebbe al Giudice stesso un’attività che, al contrario, risulta invece di esclusiva competenza della parte…”.
In proposito, si legge ancora nella pronuncia, la sentenza delle sezioni unite, n. 5698/2012, “ha pure sottolineato che l’importanza che il principio della sintesi va assumendo nell’ordinamento processuale è del resto attestata anche dall’art.3 n.2 del Codice del Processo Amministrativo di cui al D.Lgs. n. 104/2010 il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica, e dall’avvenuta
adozione, da parte del Primo Presidente della Corte di Cassazione, di una direttiva volta ad ·assicurare la sinteticità dell’esposizione negli atti difensivi”. Date queste premesse, nel ritenere la riferita regola applicabile anche ai giudizi di merito, il collegio veneziano ha quindi dichiarato inammissibile l’appello e,
valutando “la produzione di una memoria (e dei suoi allegati) così eccessiva…nell’ambito della condotta processuale tenuta dalla parte” ai fini della soccombenza per le spese del giudizio, ha condannato l’appellante al pagamento degli oneri processuali liquidati in 10mila euro oltre accessori.
La pronuncia, che a quanto consta costituisce uno dei pochi esempi del genere nella giurisprudenza di merito, ricalca sotto il profilo motivazionale il percorso argomentativo a suo tempo intrapreso dalla Commissione tributaria regionale della Toscana nella sentenza n. 918/2019 emessa in relazione a un appello in materia di pagamento di contributo unificato e nella quale, sul presupposto dell’“immanenza nel sistema processuale ormai acquisita dal detto principio di necessità di sintesi”, il collegio fiscale pervenne alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione di secondo grado che si componeva di 202 pagine.
Presso la Corte suprema, si rinvengono, invece, diverse pronunce nelle quali, con riguardo al confezionamento del ricorso di legittimità, è stata dichiarata inammissibile la “tecnica del ricorso “farcito”, o del ricorso-sandwich, con il quale…, è stata scaricata sulla Corte tutta la documentazione di merito (con la sola aggiunta di pagine-etichetta) quasi a dire ‘veda la Corte cosa le serve’” (Cassazione, n. 15180/2010
e n. 8425/2020). Questa modalità di stesura del gravame di legittimità è stata ritenuta sussistere laddove una pluralità di documenti vengano “integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti” (Cassazione, n. 9382/2020), in violazione della regola fissata dall’articolo 366 cpc il quale prevede che il ricorso dinanzi alla Corte debba contenere, tra l’altro, “l’esposizione sommaria dei fatti della causa”. In questa ipotesi, è stato rilevato, l’eccesso di documentazione “viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo) … e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso” (Cassazione, nn. 35608/2021, 18888/2021, 4971/2020 e 3394/2020). Questa modalità di stesura del gravame di legittimità è stata ritenuta sussistere laddove una pluralità di documenti vengano “integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti” (Cassazione, n. 9382/2020), in violazione della regola fissata dall’articolo 366 cpc il quale prevede che il ricorso dinanzi alla Corte debba contenere, tra l’altro,
“l’esposizione sommaria dei fatti della causa”.
In questa ipotesi, è stato rilevato, l’eccesso di documentazione “viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo) … e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso” (Cassazione, nn. 35608/2021, 18888/2021, 4971/2020 e 3394/2020).

La sentenza in commento, pur richiamando diversi precedenti di nomofilachìa e consapevole che il riferito orientamento è stato elaborato in relazione al solo ricorso per cassazione, ha comunque ritenuto di poter riferire la regola della sinteticità come elaborata a suo tempo dalle sezioni unite nella sentenza n.
5698/2012 anche nell’ambito dei giudizi di merito osservando che detta pronuncia “fissa dei principi che, per il loro carattere di generalità, appaiono applicabili non solo al Processo Civile ma (ex art. 1 D.Lgs. 546/1992) anche a quello Tributario”.

3.3 L’istanza di autotutela non blocca il termine per presentare il ricorso

Il tempo fissato per la proposizione del ricorso avverso l’accertamento tributario continua a decorrere a prescindere dalla circostanza che l’interessato, successivamente alla notifica dell’atto, abbia presentato un’istanza di annullamento in autotutela dell’avviso, rigettata dall’ufficio quando il termine per impugnare era già scaduto.
La presentazione di detta istanza non determina, infatti, la sospensione del termine per la presentazione del gravame, che trascorre anche durante il tempo impiegato dall’ufficio per fornire un riscontro, peraltro neppure obbligatorio ai sensi di legge.
Queste, in sintesi, le conclusioni rese dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, nella sentenza n. 123 dello scorso 13 gennaio.
Nella vicenda processuale, un notaio impugnava vittoriosamente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma l’avviso di liquidazione con il quale erano state quantificate le imposte dovute in relazione a un atto oggetto di registrazione.
Ricorrendo in appello, la competente direzione provinciale dell’Agenzia, per quanto d’interesse, eccepiva che i giudici di prime cure avevano omesso di rilevare la tardività del ricorso introduttivo del giudizio.
Nello specifico, l’ufficio documentava che l’atto impositivo era stato ritualmente notificato il 5 dicembre 2017, sicché il termine per la proposizione del ricorso scadeva il 3 febbraio 2018, mentre il ricorso di prime cure era stato notificato soltanto il 5 giugno 2018. L’ufficio precisava, inoltre, a dimostrazione che la notifica era andata a buon fine, che il 29 dicembre 2017 il notaio aveva presentato istanza di riesame in
autotutela con richiesta di annullamento dell’avviso, rigettata con provvedimento del 21 febbraio 2018.
Con sentenza n. 123 del 13 gennaio, in accoglimento delle ragioni dell’ufficio appellante, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha riconosciuto la tardività del primo gravame, secondo quanto dimostrato dalla documentazione acquisita in atti.
Rispetto alla decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, si legge nella pronuncia in commento, non può avere rilievo “il fatto che il ricorrente avesse dapprima presentato un’istanza di annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione, rigettata dall’Ufficio …, quando il termine per impugnare era già scaduto”, infatti, “la presentazione di siffatta istanza non determinava la sospensione
del termine per impugnare l’atto, che continuava a decorrere anche durante il tempo impiegato dall’Ufficio per rispondere”.
Conseguentemente, conclude la sentenza, l’interessato, “pur in assenza di un riscontro da parte dell’Ufficio (il quale, va detto, non era obbligato ex lege al riscontro entro un certo termine) avrebbe dovuto, comunque, attivarsi per la tempestiva impugnazione dell’atto…”.
Lo svolgimento del processo tributario, come peraltro l’iter di ogni procedimento giurisdizionale, si snoda attraverso il compimento di una serie di attività da espletarsi nel rispetto di termini, per lo più perentori, fissati dalla legge.
Il termine svolge una funzione fondamentale e imprescindibile perché garantisce la certezza dei rapporti giuridici e perché, dalla mancata osservanza di un termine fissato come perentorio per il compimento di un determinato atto giuridico deriva la decadenza, di regola irreversibile, dal potere di compiere quell’atto.
Con particolare riguardo al termine entro il quale deve essere presentata l’impugnazione avverso gli atti che soggiacciono alla cognizione delle Commissioni tributarie, l’articolo 21 del Dlgs n. 546/1996 stabilisce che il ricorso “deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato”.
Tale essendo il termine di legge per presentare l’impugnazione, il calcolo del relativo lasso temporale soggiace alla disciplina di carattere generale di cui all’articolo 155 cpc ai sensi del quale, tra l’altro, nel computo dei termini a giorni o a ore, “si escludono il giorno e l’ora inziali”, i giorni festivi “si computano nel termine” ma, se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza “è prorogata di diritto al primo giorno
seguente non festivo”.
Ferme restando dette regole, la legge prevede alcune ipotesi in cui la decorrenza del termine in questione può subire una sospensione, la quale opera come una sorta di “parentesi”, nel senso che il termine in corso anteriormente all’inizio del periodo di interruzione viene “congelato” e la frazione residua viene
computata a partire dalla fine dello stop.
Le ipotesi di sospensione sono peraltro espressamente previste dalla legge. In particolare, e a titolo esemplificativo, in base al primo periodo dell’articolo 1, primo comma, della legge n. 742/1969, (sospensione dei termini processuali nel periodo feriale), il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative “è sospeso di diritto dal 1º al 31 agosto (fino all’anno 2014, dal 1° agosto al 15 settembre, nda) di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione…”. Inoltre, ai fini del computo dei termini per la proposizione del ricorso dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali, occorre tener conto dell’eventuale sospensione di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione di cui agli articoli 6 e 12 del Dlgs n. 218/1997.
La pronuncia in commento, in definitiva, nell’escludere la possibilità che la presentazione di una istanza di autotutela determini la sospensione del termine per l’impugnazione, nel mentre conferma la regola della tipicità delle fattispecie “sospensive”, impone di prestare la massima attenzione al fine di evitare la
decadenza dal potere di proporre ricorso avverso l’atto tributario.

3.4 Risoluzione di contratto con riserva: l’imposta di registro è proporzionale
La risoluzione della compravendita prevista da un contratto con clausola di riserva di proprietà, determinando la regressione del bene originariamente ceduto, costituisce un nuovo contratto e deve essere assoggettata all’imposta proporzionale di registro con applicazione dell’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari in quanto la vendita con riserva causa l’immediato trasferimento del bene (Cassazione, n. 1868/2022).
La vicenda amministrativa portata all’attenzione della Corte suprema ha quale presupposto il regime di tassazione, ai fini dell’imposta di registro, del contratto di vendita con riserva di proprietà nella particolare ipotesi di retrocessione del bene, originariamente ceduto (nel caso di specie, un’azienda), a seguito di mancato versamento del prezzo pattuito.
L’impostazione adottata dall’Agenzia, nell’ipotesi posta al suo controllo, era di assoggettare tale transazione (e le sue vicende modificative) a imposta di registro in misura proporzionale in luogo di quella ritenuta applicabile da controparte, ovverosia in misura fissa. L’avviso di liquidazione impugnato con ricorso dinanzi la Ctp di Genova vedeva soccombente l’ufficio il quale, impugnata la decisione dei primi giudici, si vedeva respinto il proprio gravame da parte della Ctr Liguria. Il ricorso per Cassazione veniva proposto dall’Agenzia delle entrate sulla scorta di un unico motivo di doglianza in ragione della ritenuta commessa violazione dell’articolo 27 del DPR n.131/1986 (Testo unico imposta di registro).
Al riguardo, i giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 1868 del 21 gennaio 2022 in commento, hanno ritenuto meritevoli di accoglimento le ragioni erariali e, quindi, manifestamente fondato il motivo di ricorso, accogliendone nel merito le motivazioni e condannando le parti convenute al ristoro delle spese di giudizio.
La Cassazione ha, in via preliminare, richiamato il disposto di cui al citato articolo 27 in correlazione a una precedente pronuncia della stessa Corte (cfr. sentenza n. 5075/1998) con la quale veniva stabilito che in virtù della norma in argomento “le vendite con riserva di proprietà non sono considerate sottoposte a
condizione sospensiva, il che significa che ai fini della legge di registro, diversamente dalla disciplina civilistica, il contratto in questione produce l’immediato trasferimento della proprietà all’acquirente”.
In applicazione di detto principio di natura generale, il contratto, con il quale le parti sciolgono la vendita con riserva di proprietà in conseguenza del mancato pagamento del prezzo, non rappresenta, ai fini dell’imposta di registro, un atto ricognitivo dell’effetto risolutivo, ma costituisce esso stesso un nuovo contratto, con la diretta conseguenza di annullare quello originario e gli effetti da questo prodotti
determinando la retrocessione del cespite interessato a favore del primo proprietario.
In conclusione, la Cassazione, con l’ordinanza in commento non ha inteso discostarsi dall’insegnamento rinveniente dalla richiamata pronuncia n. 5075/1998 ritenendo, pertanto, che nell’ipotesi di risoluzione di un contratto di vendita con la clausola di riserva di proprietà, l’atto successivo con il quale viene stabilita la risoluzione di detto passaggio, determinando la regressione del bene oggetto del contratto risolto, deve essere necessariamente assoggettato all’imposta proporzionale di registro con applicazione dell’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari, in quanto, ai fini della legge sull’imposta di registro, la vendita con riserva di proprietà causa l’immediata produzione dell’effetto traslativo della proprietà in
capo al soggetto beneficiario.

4 NOVITÀ IN TEMA DI START-UP, INDUSTRIA 4.0, MARCHI E BREVETTI
4.1 Decreto MISE 30 marzo 2022: incentivi per imprenditoria femminile.
Prende il via il Fondo del Ministero dello sviluppo economico, mediante il decreto pubblicato in data 30 marzo 2022, che incentiva le donne a dare avvio e rafforzare nuove attività imprenditoriali per realizzare progetti innovativi.
Si tratta di un intervento cardine dell’azione di governo, inserito tra le priorità del PNRR, a cui sono stati destinati complessivamente 200 milioni di euro con l’obiettivo di supportare la nascita e lo sviluppo delle imprese femminili. A partire da maggio potranno essere presentate le domande per richiedere
contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati. Il Fondo dispone di 160 milioni di euro di fondi PNRR che hanno integrato i 40 milioni di euro già stanziati in legge di bilancio 2021 ed è articolato su incentivi dedicati a imprese femminili con sede legale e/o operativa situata sul territorio nazionale. L’avvio di nuove attività imprenditoriali sarà inoltre supportato con azioni dirette ad affiancare le donne nel percorso di formazione ma anche attraverso servizi di assistenza tecnico-gestionale della misura.
Le agevolazioni saranno concesse a fronte di investimenti nei settori dell’industria, artigianato, trasformazione dei prodotti agricoli, commercio e turismo, nonché nella fornitura dei servizi.
Con prossimi provvedimenti ministeriali verranno infine rifinanziate le altre misure già avviate a supporto della creazione di piccole e medie imprese e auto imprenditoria e a supporto di startup e PMI innovative.

4.2 Decreto MISE 24 marzo 2022: incentivi per investimenti su elettronica innovativa
Si segnala il decreto MISE del 24 marzo 2022, con il quale si sostengono e si incentivano gli investimenti in ricerca e sviluppo favorendo il trasferimento tecnologico di progetti innovativi verso il mondo dell’impresa, al fine di rafforzare l’autonomia strategica dell’Italia e dell’Unione europea nel settore dei componenti e dei sistemi elettronici.
Il decreto assegna i primi finanziamenti: 10 milioni di euro su 200 milioni stanziati dal PNRR per il programma europeo Horizon, al partenariato di imprese e centri di ricerca promosso nell’ambito dell’iniziativa Key Digital Technologies Joint Undertaking (KDT JU), di cui sono membri fondatori la Commissione Ue, gli Stati membri o associati, tra cui l’Italia, e le associazioni industriali europee.

La KDT JU supporta la ricerca e innovazione nella progettazione di componenti elettronici all’avanguardia tecnologica, nonché la loro produzione e integrazione in sistemi intelligenti con l’obiettivo di raddoppiare il valore di tali attività entro il 2030 e favorire la competitività, la sostenibilità e la crescita economica dei paesi Ue.
Per contribuire allo sviluppo di una industria forte e competitiva nel settore dei componenti e dei sistemi elettronici, il Mise ha quindi destinato 10 milioni di euro al cofinanziamento dei progetti delle imprese italiane selezionati nei bandi pubblicati nel corso del 2021 da KDT JU, Innovation Actions (IA) e Research Innovation Actions (RIA), e per i quali dovranno essere presentate le proposte definitive entro il 27 aprile
2022. Si attende un successivo provvedimento ministeriale con il quale verranno indicati alle imprese i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione.

4.3 ZFU Sisma Centro Italia: nuove agevolazioni per imprese e lavoratori autonomi
Dal 6 aprile al 4 maggio 2022 le imprese e i lavoratori autonomi con sede nella Zona Franca Urbana, istituita nei comuni delle regioni Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo colpiti dagli eventi sismici susseguiti dal 24 agosto 2016, potranno presentare domanda per richiedere esenzioni fiscali e contributive. Le risorse disponibili per le agevolazioni sono pari a circa 60 milioni di euro.
Questo è quanto stabilito dalla circolare pubblicata dal Ministero dello sviluppo economico che disciplina l’apertura del nuovo bando per il 2022.
Sul sito del MISE è possibile consultare un nuovo elenco delle imprese e dei lavoratori autonomi ammessi alle agevolazioni fiscali previste dal bando dello scorso anno.

5 NOVITÀ IN MATERIA DI WELFARE E LAVORO DIPENDENTE
5.1 Nota congiunta Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Banca d’Italia e ANPAL: il mercato del lavoro – dati e analisi
Sul sito del Ministero del Lavoro è stata pubblicata una nota recante i principali dati relativi al mercato del lavoro, redatta congiuntamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS), dalla Banca d’Italia e dall’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) utilizzando due fonti informative complete e tempestive: le Comunicazioni obbligatorie e le Dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro. La prima base dati è aggiornata al 28 febbraio 2022, la seconda al 31 gennaio 2022. I dati sono provvisori e soggetti a revisione.
In particolare, si osserva che l’occupazione dipendente continua a crescere, ma frenano i servizi. Nei primi due mesi del 2022 il saldo tra assunzioni e cessazioni è risultato positivo (circa 22.000 posti di lavoro), in linea con i valori del 2019. Il numero di contratti attivati è pertanto quasi tornato sul sentiero di crescita precedente la crisi sanitaria. Al netto degli effetti stagionali – particolarmente significativi tra la fine di
dicembre, quando numerosi contratti giungono al termine, e l’inizio di gennaio, quando ne vengono attivati di nuovi – si evidenzia una lieve flessione del numero di posti di lavoro creati rispetto agli ultimi mesi del 2021. Il rallentamento è stato più marcato in alcuni comparti dei servizi e in particolare nel commercio e nel turismo, penalizzati dai nuovi timori di contagio e dalle restrizioni connesse con la diffusione della variante Omicron. Il numero di attivazioni nette nell’industria è rimasto su livelli
sostanzialmente simili a quelli dei mesi precedenti.
Inoltre, il lavoro a termine ha rallentato, ma la crescita di quello a tempo indeterminato è rimasta stabile. All’inizio del 2022 si è indebolita la dinamica degli impieghi a termine che aveva trainato la ripresa nel 2021; i rapporti di lavoro a tempo determinato continuano tuttavia a rappresentare circa la metà delle attivazioni nette.
Prosegue l’andamento negativo dell’apprendistato mentre si mantengono sui valori raggiunti alla fine del 2021 le attivazioni di contratti a tempo indeterminato, incluse le trasformazioni di impieghi già esistenti (esclusi i fattori stagionali). Con la progressiva rimozione dei vincoli introdotti durante le fasi più acute della pandemia, sono cresciute anche le cessazioni di contratti a tempo indeterminato, pur evidenziando dinamiche eterogenee tra settori. Al netto dei fattori stagionali, tra gennaio e febbraio i licenziamenti sono stati in media 40.000 al mese (erano quasi 50.000 prima della pandemia); sono tornati sui livelli pre-pandemici nei servizi, mentre sono rimasti contenuti nell’industria, dove la fase ciclica ancora positiva ha
sospinto le dimissioni e le transizioni da un impiego all’altro.
È proseguita la crescita dell’occupazione maschile e quella delle regioni del Centro Nord. All’inizio dell’anno la crescita dell’occupazione femminile si è quasi azzerata, risentendo della flessione della domanda di lavoro in alcuni dei settori in cui è maggiore la presenza delle donne, come il turismo e il commercio. L’andamento positivo della manifattura e delle costruzioni continua a offrire opportunità di
impiego rivolte soprattutto agli uomini. Il rallentamento dei primi mesi del 2022 ha interessato sia il Centro Nord sia il Mezzogiorno con andamenti eterogenei tra le diverse zone del Paese. Nelle aree centrali e settentrionali la crescita dell’industria ha sostenuto la domanda di lavoro, ma la recrudescenza dei contagi ha penalizzato il turismo invernale, concentrato nelle aree montane.
In alcune regioni meridionali, caratterizzate da una minore vocazione industriale, l’espansione della manifattura non ha compensato la debolezza dei flussi turistici dei primi due mesi dell’anno. In Basilicata, Campania e Puglia i saldi occupazionali sono stati inferiori a quelli, già modesti, dello stesso periodo del 2021.
In Calabria e Sicilia la crescita delle attivazioni nette è stata trainata dalla forte accelerazione delle costruzioni, che incidono per circa il 40 per cento sul totale dei posti di lavoro creati, quasi il doppio rispetto alla media nazionale.
Dal punto di vista amministrativo viene considerato disoccupato chi si rende immediatamente disponibile al lavoro attraverso l’apposita dichiarazione (Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, DID) presentata all’ANPAL o ai Centri per l’impiego (CPI). Il numero di disoccupati, cresciuto nella prima fase della pandemia soprattutto tra le donne, si è ridotto nel corso del 2021. Nel complesso dell’anno scorso il numero di uscite dallo stato di disoccupazione ha superato quello delle entrate, determinando un calo del numero di persone disponibili al lavoro di circa 338.000 unità. Grazie alla ripresa delle assunzioni, soprattutto nella seconda metà dell’anno, nella media del 2021 il numero di persone che trova un impiego uscendo dalla disoccupazione è aumentato di quasi il 50 per cento sull’anno
precedente ed è tornato ai valori del 2019.
La dinamica della disoccupazione amministrativa risente anche del numero di nuovi ingressi che, ridottosi di quasi il 40 per cento nel 2020, ha ripreso gradualmente a crescere nel 2021, sospinto anche dal miglioramento delle prospettive occupazionali. La risalita ha interessato anche le fasce più istruite della popolazione, suggerendo l’esistenza di ampi margini ancora inutilizzati di forza lavoro. Nel mese di
gennaio 2022 circa 100.000 persone hanno compilato una nuova DID dichiarando di essere immediatamente disponibili a lavorare; di queste oltre 15.000 erano laureate (circa 10.000 nel Centro Nord e 5.000 nel Mezzogiorno).

5.2 Circolare INPS n. 43 del 2022: esonero contributivo in favore dei lavoratori subordinati (Legge di Bilancio 2022)
Con la circolare n. 43 del 22 marzo 2022, l’INPS ha fornito le indicazioni utili all’applicazione dell’esonero contributivo riconosciuto, ai sensi della legge n. 234/2022 (Legge di Bilancio 2022), in favore dei lavoratori subordinati.
Lo sgravio riguarda la quota dei contributi IVS trattenuti a carico dei lavoratori e spetta a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 2.692 euro maggiorato, per la competenza del mese di dicembre, del rateo di tredicesima. La fruizione dell’esonero non costituisce aiuto di Stato e dunque non è subordinata all’autorizzazione della
Commissione europea.
Possono accedere al beneficio tutti i lavoratori dipendenti di datori di lavoro, pubblici e privati, a prescindere dalla circostanza che assumano o meno la natura di imprenditore. Restano però esclusi i rapporti di lavoro domestico.
Requisito di base è il rispetto del limite della retribuzione mensile, da intendersi come retribuzione imponibile ai fini previdenziali, di 2.692 euro: il lavoratore che in un singolo mese percepisce una retribuzione di importo superiore a tale limite, per quel mese non avrà diritto al beneficio.
L’esonero spetta per i periodi di paga dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022 e consiste in una riduzione dello 0,8% dell’aliquota di calcolo dei contributi previdenziali IVS a carico dei lavoratori. L’importo mensile posto come tetto massimo di fruizione è pari 2.692 euro e deve essere maggiorato del rateo di tredicesima. In caso di mensilità aggiuntiva erogata nel mese di competenza di dicembre 2022, lo sgravio si applica sia sulla retribuzione corrisposta nel mese, che deve essere inferiore o uguale al limite di 2.692 euro, che sull’importo della tredicesima mensilità corrisposta nel mese, nel rispetto del medesimo limite.
Qualora i ratei di mensilità aggiuntiva vengano erogati nei singoli mesi, fermo restando che la retribuzione lorda sia inferiore o uguale al limite stabilito dalla legge, è possibile accedere alla riduzione in trattazione anche sui ratei di tredicesima, a patto che l’importo di questi ultimi non superi nel mese di erogazione l’importo di 224 euro (pari all’importo di 2.692 euro/12).
Si precisa che, nel caso in cui un rapporto di lavoro, per il quale si stia fruendo della riduzione della quota a carico del lavoratore nella misura pari a 0,8 punti percentuali, cessi prima di dicembre 2022, la riduzione contributiva può essere applicata anche sulle quote di tredicesima corrisposte nel mese di cessazione, a
condizione che l’importo di tali ratei sia inferiore o uguale a 2.692 euro.
Con riferimento invece alla quattordicesima mensilità, la riduzione contributiva non può essere applicata, in quanto la disposizione normativa fa riferimento alla sola mensilità aggiuntiva della tredicesima per la maggiorazione della soglia mensile di reddito dei 2.692 euro.

5.3 D.L. 24 marzo 2022, n. 24: Procedura semplificata di comunicazione dello smart working. Proroga al 30 giugno 2022
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 recante “Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”.
Oltre a diverse disposizioni introdotte per il superamento dello stato di emergenza connesso alla pandemia, il provvedimento prevede la proroga al 30 giugno 2022:

  • dell’utilizzo della procedura semplificata di comunicazione dello smart working
    nel settore privato, di cui all’art. 90, commi 3 e 4, D.L. n. 34 del 2020;
  • delle misure in tema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori maggiormente
    esposti al rischio di contagio, di cui all’art. 83, commi 1, 2 e 3, D.L. n. 34 del 2020.
    In particolare, nonostante l’uscita dallo stato di emergenza prevista per il 31
    marzo 2022, il D.L. n. 24 del 2022 stabilisce la proroga dei termini delle disposizioni
    relative alla sorveglianza sanitaria eccezionale fino al 30 giugno 2022.
    I lavoratori maggiormente a rischio – cosiddetti “lavoratori fragili” – in caso di
    contagio da covid-19, potranno sottoporsi a visite mediche per valutare la necessità
    di misure cautelative per la tutela della salute fino alla nuova scadenza.
    L’INAIL chiarisce che le richieste continueranno ad essere trattate secondo le
    indicazioni operative della circolare n. 44 dell’11 dicembre 2020.

5.4 Risposta ad interpello n. 154 del 2022: regime fiscale applicabile nel passaggio dal regime di indennità equipollente (IPS) al regime di trattamento di fine rapporto (TFR)
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta a interpello n. 154 del 24 marzo 2022, è intervenuta è intervenuta sul corretto trattamento fiscale in caso di passaggio dal regime di indennità equipollente (IPS) a quello di trattamento di fine rapporto (TFR) in seguito al trasferimento di ramo d’azienda e, più in particolare, al passaggio del lavoratore da un ente pubblico ad una società privata.
Nel caso sottoposto all’esame dell’Amministrazione, l’istante, affidataria del servizio di igiene urbana in determinati comuni, dichiara di aver assunto, il 1° marzo 2019 e previa stipula di uno specifico accordo, un lavoratore trasferito, ai sensi dell’art. 2112 c.c., dal Comune per cui aveva prestato attività lavorativa dal 6 agosto 1981 al 28 febbraio 2019. Il rapporto di lavoro con la società istantesi è concluso il 30 aprile 2021. Il lavoratore, nel corso del periodo lavorativo alle dipendenze dell’ente comunale, ha maturato somme a titolo di indennità equipollente al trattamento di fine rapporto, denominata, per i dipendenti degli enti locali, “Indennità Premio di Servizio” (IPS). In assenza di specifici accordi sulla liquidazione di tali somme, l’INPS ha trasferito le stesse all’Istante, senza applicare alcuna tassazione;
tanto rappresentato, l’Istante, in qualità di sostituto d’imposta, ha chiesto chiarimenti circa le modalità di tassazione e di esposizione nel modello Certificazione Unica ordinario delle somme da erogare al dipendente cessato, maturate a titolo di IPS e trasferite dall’INPS alla Società Istante al lordo delle ritenute fiscali.
L’Amministrazione finanziaria, nel rispondere al quesito, premette che, nella specie, il comune ha posto in essere un’operazione di trasferimento del ramo d’azienda, riconducibile all’art. 31 D.Lgs. n. 165 del 2001 e all’art. 2112 c.c..
L’articolo 31 D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che, nelle ipotesi di trasferimento o conferimento di attività da parte di pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, nei confronti di altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all’art. 47, commi da 1 a 4, l. n.
428 del 1990.
L’art. 2112 c.c. stabilisce che, in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il datore di lavoro cessionario e il lavoratore dipendente conserva tutti i diritti che ne derivano, ivi compresi quelli derivanti dall’anzianità raggiunta anteriormente al trasferimento, fra cui il diritto relativo al computo dell’IPS, caratterizzata da una disciplina, anche fiscale, diversa da quella prevista per il TFR.
Nel caso di specie, dall’accordo sottoscritto fra la Società Istante e il Comune, non risultano disposizioni specifiche in merito alla liquidazione, direttamente in capo ai lavoratori dipendenti, delle somme maturate a titolo di IPS.
L’Amministrazione finanziaria afferma che il trasferimento del ramo di azienda ha comportato il passaggio del dipendente da un datore di lavoro pubblico a un datore di lavoro privato (senza soluzione di continuità, in applicazione dell’art. 2112 c.c.) e, conseguentemente, si è verificato il passaggio del dipendente dal regime di IPS al regime di TFR.
L’istante, con più di cinquanta dipendenti, ha versato al fondo di Tesoreria gestito dall’INPS le quote di TFR maturate a partire dall’1° marzo 2019, mentre l’INPS, non avendo riscontrato la presenza di disposizioni, anche derivanti da un accordo fra le associazioni sindacali dei dipendenti e il datore di lavoro, che contemplassero espressamente il pagamento diretto ai lavoratori dipendenti dell’indennità maturata presso l’ente pubblico, e ritenendo cessato il rapporto previdenziale dei lavoratori con la medesima Gestione Dipendenti Pubblici, ha trasferito alla Società istante l’importo lordo dell’IPS maturato dal dipendente fino alla data del passaggio, in applicazione dell’art. 6 l. n. 554 del 1988 e del D.P.R. n. 104 del 1993.
La Società deve procedere alla erogazione di un’unica prestazione a titolo di trattamento di fine rapporto, riferita al periodo di lavoro complessivamente prestato, che comprenda sia la quota maturata presso il datore di lavoro pubblico, rivalutata, sia la quota maturata presso la Società, datore di lavoro privato.
Relativamente alle modalità di tassazione del complessivo trattamento di fine rapporto e, in particolare, ai fini della determinazione della base imponibile, la quota maturata presso il datore di lavoro pubblico (IPS) deve essere computata previa detrazione dall’importo lordo di una percentuale di esenzione pari al 40,98 per cento, corrispondente al rapporto fra l’aliquota di contribuzione a carico del lavoratore e l’aliquota di contribuzione complessiva (2,5/6,1 = 40,98), calcolata sulla retribuzione utile. L’importo è ulteriormente ridotto di una somma pari a euro 309,87 per ogni anno di servizio, con esclusione dei periodi di anzianità convenzionale.
Diversamente, la quota maturata presso la Società (datore di lavoro privato) sarà costituita dal relativo ammontare, ridotto delle rivalutazioni annualmente assoggettate a imposta sostitutiva, ai sensi dell’art. 19 TUIR.
Ciò in applicazione dei principi espressi dall’Agenzia nella Ris. n. 8/E/2002, secondo cui, laddove un’operazione di trasferimento determini il passaggio dal regime IPS al regime TFR, quest’ultimo è composto da una quota pari all’importo maturato fino alla data del passaggio, determinato secondo la disciplina delle indennità equipollenti (nel caso di specie, IPS), rivalutato, e da una quota formata
dagli ordinari accantonamenti annuali al TFR effettuati dal momento del passaggio.
Relativamente alle modalità di esposizione nel modello di Certificazione Unica, l’Amministrazione finanziaria afferma che l’Istante dovrà rilasciare al dipendente una sola Certificazione Unica, all’interno della quale indicare sia i dati relativi al TFR sia i dati relativi all’IPS; questi ultimi, in particolare, dovranno essere inseriti nella sezione “TFR ed altre indennità maturate al 31/12/2000 – passaggi da indennità equipollenti a TFR”.

5.5 Risposta ad interpello n. 157 del 2022: regime lavoratori impatriati esteso all’ipotesi di datore di lavoro estero
Con la risposta a interpello n. 157 del 2022, l’Amministrazione finanziaria si è nuovamente pronunciata sulla possibilità di accesso al regime di favore degli impatriati da parte di un lavoratore che si trasferisce in Italia alle dipendenze del medesimo datore di lavoro estero per cui prestava attività lavorativa prima del trasferimento.
Nel caso esaminato dall’Amministrazione, un lavoratore olandese, residente dal 2012 al 2019 nel Regno Unito, ove ha prestato attività lavorativa presso una società estera, nel marzo 2020, a causa della pandemia, si è trasferita in Italia, risultando ivi fiscalmente residente, allo scopo di ricongiungersi con la famiglia, mantenendo, tuttavia, in essere il rapporto di lavoro con la medesima società estera e prestando
la propria prestazione in modalità remote working dall’Italia, specificamente dalla Sicilia, dove ha dichiarato di risiedere stabilmente in Sicilia e di aver trasferito la propria residenza, ai sensi dell’art. 43 c.c.
L’istante ha chiesto di conoscere la possibilità di fruire del regime speciale per lavoratori impatriati di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015, dal periodo d’imposta 2022 e per i quattro successivi.
Per fruire del regime menzionato, è necessario che il lavoratore (i) trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 TUIR, (ii) non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni e (iii) svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
In base al successivo comma 2, sono destinatari del beneficio fiscale i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che (i) sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa
fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero (ii) abbiano svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
Ai sensi dell’art. 16, comma 3, D.Lgs n. 147 del 2015, a tale regime i contribuenti possono accedere per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.
Le modifiche normative intervenute nel 2019 hanno ridisegnato, a partire dal periodo di imposta 2019, il perimetro di applicazione del regime agevolativo di cui all’art. 16 D.Lgs. n. 147 del 2015.
Viene ricordato che con l’art. 16, comma 3-bis, D.Lgs. n. 147 del 2015, introdotto dall’art. 5, comma 1, lettera c), D.L. n. 34 del 2019, il Legislatore ha introdotto un’estensione temporale del beneficio fiscale ad ulteriori cinque periodi di imposta, con tassazione nella misura del 50 per cento del reddito imponibile, in presenza di specifici requisiti quali, alternativamente (i) l’avere almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, (ii) l’acquisto di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia direttamente da parte del lavoratore oppure da parte del coniuge, del convivente o dei figli, anche in comproprietà. Tale ultima ipotesi deve realizzarsi successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento.
La percentuale di tassazione dei redditi agevolabili prodotti nel territorio dello Stato negli ulteriori cinque periodi d’imposta si riduce al 10 per cento se il soggetto ha almeno tre figli minorenni o a carico.
Inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 5-bis, D.Lgs. n. 147 del 2015, in caso di trasferimento della residenza in alcune Regioni del centro e sud Italia

  • quali Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia – la
    percentuale del 30 per cento del reddito di lavoro dipendente e assimilati, di lavoro
    autonomo o di impresa prodotti nel territorio dello Stato, che concorrono alla
    formazione del reddito complessivo, si riduce al 10 per cento. Come chiarito nella menzionata circolare 33/E del 2020, la nozione di
    “residenza” a cui fa riferimento il comma 5-bis è quella civilistica, ossia il luogo in cui
    la persona ha la dimora abituale, che coincide con quello dove il soggetto
    normalmente abita. La medesima circolare specifica che la condizione contemplata
    dall’art. 16, comma 5-bis, D.Lgs. n. 147 del 2015 deve verificarsi a partire dal periodo
    di imposta in cui il contribuente trasferisce la residenza dall’estero in una delle
    suddette Regioni e permanere per tutto il periodo di fruizione dell’agevolazione.
    Per quanto relativo, infine, al caso di datore di lavoro non residente come quello
    in esame, l’art. 16 D.Lgs. n. 147 del 2015, come modificato dall’art. 5, comma 1, D.L.
    n. 34 del 2019, non richiede che l’attività del lavoratore sia svolta per un datore di
    lavoro operante sul territorio dello Stato e che, pertanto, possono accedere
    all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle
    dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di
    lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti).
    Con specifico riferimento, da ultimo, ai fruitori cittadini stranieri,
    l’Amministrazione finanziaria conferma che, ai sensi del comma 2 del menzionato art.
    16, possono accedere al regime degli impatriati i cittadini dell’Unione europea o di
    uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie
    imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, mentre il
    comma 1 non pone alcun tipo di limitazioni al riguardo, con la conseguenza che tutti
    i lavoratori che rispondono alle caratteristiche delineate dalla norma,
    indipendentemente dalla loro cittadinanza, possono accedere al regime in esame.

Tanto premesso, l’Amministrazione finanziaria ritiene che l’Istante rientri tra i beneficiari dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 16, comma 1, D.Lgs. n. 147 del 2015, con riferimento ai redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia a decorrere dall’annualità 2020, in cui egli ha trasferito la propria residenza fiscale in Italia, e per i successivi quattro periodi di imposta, con tassazione nella misura ridotta del 10 per cento, secondo quanto previsto dal comma 5-bis per i soggetti trasferitisi in una Regione tra Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia.
Inoltre, stante la presenza di figli minorenni, l’istante potrà fruire, altresì, della proroga per ulteriori cinque periodi d’imposta dell’agevolazione in argomento, con tassazione del reddito agevolato nella misura ridotta del 50 per cento, secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 3-bis, D.Lgs. n. 147 del 2015.
Con riferimento alle modalità di fruizione dell’agevolazione, l’Amministrazione finanziaria continua a richiamare la Circ. n. 33/E/2020, in base alla quale nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi.
Tale situazione si verifica nei casi, come quello di specie, in cui il datore di lavoro è estero. Infatti, come precisato nella Circ n. 327/E/1997, fatta salva l’ipotesi di una stabile organizzazione in Italia, gli enti e le società non residenti non assumono la qualifica di sostituto d’imposta e, pertanto, non sono tenuti ad applicare le ritenute sui corrispettivi erogati ai propri dipendenti in Italia.
Pertanto, in presenza di datore di lavoro estero, è possibile fruire dell’agevolazione direttamente nella dichiarazione dei redditi, compilando la casella “Casi particolari” del quadro C del modello 730 o RC del modello REDDITI PF e indicando il reddito di lavoro dipendente nella misura ridotta, senza che vi sia
l’obbligo di comunicazione preventiva al datore.

5.6 Risposta ad interpello n. 158 del 2022: Regime fiscale dello sconto applicato ai propri dipendenti dal datore di lavoro, mediante l’utilizzo del badge
Nella Risposta a interpello n. 158 del 25 marzo 2022, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sul regime fiscale dello sconto applicato ai propri dipendenti dal datore di lavoro, mediante l’utilizzo del badge.
Nel caso in esame, una società di commercio all’ingrosso (di generi alimentari e non) ha dichiarato di riconoscere ai propri dipendenti la possibilità di acquistare, utilizzando il badge aziendale come mezzo di riconoscimento, i prodotti commercializzati con uno sconto pari al 5 per cento del prezzo di vendita, fruibile tutti i giorni dell’anno entro il limite della retribuzione netta, per acquisti esclusivamente personali.
La Società istante ha chiarito che (i) il badge è utilizzabile esclusivamente dai dipendenti, (ii) lo sconto che i dipendenti possono ottenere con il badge medesimo non è cumulabile con altri sconti applicati alla clientela e (iii) il prezzo pagato dai dipendenti per i prodotti commercializzati, tenendo conto dello sconto, è comunque sempre superiore al costo sostenuto dalla società per l’acquisto dei prodotti.
Tanto premesso, è stato chiesto all’Amministrazione finanziaria se la concessione dello sconto ai dipendenti, mediante l’utilizzo di badge, rappresenti, per gli stessi, un compenso in natura imponibile, soggetto alla ritenuta in acconto IRPEF prevista dall’art. 23 D.P.R. n. 600 del 1973.
L’Agenzia, dopo aver richiamato l’art. 51, comma 1, TUIR, che sancisce il principio di onnicomprensività nella determinazione del reddito di lavoro dipendente, e l’art. 51, comma 3, TUIR, che prevede, ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1, l’applicazione delle disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi, si sofferma sull’art. 9 TUIR.
In particolare, l’art. 9, comma 3, TUIR prevede che Per valore normale (…) si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del
soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.
Con specifico riferimento agli “sconti d’uso”, l’Amministrazione finanziaria richiama la Ris. n. 26/E/2010, nella quale è stato precisato che per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione
stipulata con il datore di lavoro.
Nel caso in cui il datore di lavoro commercializzi e venda ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata in base alle regole ordinarie che governano il reddito di lavoro dipendente (art. 51, comma 1, TUIR).
Come chiarito dalla Circ. n. n. 326/E/1997, il reddito da assoggettare a tassazione (i) è pari al valore normale, se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente (ciò vale anche nel caso dei beni prodotti dall’azienda e ceduti gratuitamente al dipendente); (ii) se, invece, per la cessione del bene (anche in caso di bene prodotto dall’azienda e ceduto al dipendente) o la prestazione del servizio, il dipendente corrisponde delle somme, con il sistema del versamento o della trattenuta, è necessario determinare il valore da assoggettare a tassazione sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio.
Pertanto, se per la cessione del bene il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale – nel significato esplicato dai documenti di prassi richiamati – del bene ricevuto e le somme pagate.

6 NOVITÀ IN MATERIA IVA

6.1 Risposta ad interpello n. 148 del 2022: Iva sui servizi educativi all’infanzia effettuati tramite la fornitura di materiale didattico-ricreativo
Con la risposta a interpello n. 148 del 22 marzo 2022, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di Iva sui servizi educativi all’infanzia effettuati tramite la fornitura di materiale didattico-ricreativo.
Sul punto, è stato richiamato l’articolo 10, n. 20) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale prevede l’esenzione dall’IVA per le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici.
La norma richiamata, nel dettaglio, recepisce nell’ordinamento interno l’articolo 132, lettera i) della direttiva n. 112 del 28 novembre 2006, in ragione del quale viene stabilita l’esenzione da IVA per i servizi di educazione dell’infanzia o della gioventù, l’insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili.
La Tabella A, parte II-bis, allegata al DPR n. 633 del 1972 prevede che sono soggette all’aliquota del 5% le prestazioni di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’articolo 10, primo comma, rese in favore dei soggetti indicati nello stesso numero 27-ter) da cooperative sociali e loro consorzi.
Pertanto, sotto il profilo soggettivo, l’aliquota ridotta del 5% trova applicazione alle prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche in generale rese da cooperative sociali e loro consorzi nei confronti degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori, anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza.
Con riferimento all’ambito oggettivo, le prestazioni devono essere di natura educativa o didattica di ogni genere, intendendosi con tale nozione anche quelle attività in cui l’istruzione è fornita per sviluppare conoscenze e attitudini, e purché non abbiano carattere puramente ricreativo.
Il regime di favore in argomento si estende anche alle cessioni accessorie di materiale didattico utilizzabili strettamente per tale scopo e non è suscettibile di impieghi di natura diversa.
Nell’ipotesi di scatola che contiene materiali di cancelleria, libri, adesivi, prodotti di cartotecnica, schede illustrative e un video tutorial scaricabile online, tali tutorial constano di videoregistrazioni che gli utenti possono scaricare massivamente da internet, per poi essere guidati nell’utilizzo del materiale acquistato nella scatola, e non già di corsi on line destinati ai bambini, i quali possono interagire, con la stessa modalità, con gli educatori. Pertanto, le schede illustrative e i video tutorial non sembrano configurano un “servizio educativo”, in quanto l’elemento prevalente dell’operazione è la cessione di beni.
Di conseguenza, l’operazione configurando una cessione di beni, deve essere assoggettata all’aliquota IVA ordinaria, non potendo trovare applicazione il trattamento agevolativo previsto dalla Tabella A, parte II-bis, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento alle prestazioni di cui al numero 20) dell’articolo 10, primo comma, rese in favore dei soggetti indicati nello stesso numero 27-ter) da parte di
Cooperative sociali e loro consorzi.
Da ciò ne consegue che le spese di trasporto e di spedizione devono essere assoggettate ad aliquota IVA ordinaria.

7 ALTRE NOVITA’
7.1 Con l’autorizzazione del giudice il conto del de cuius si sblocca

Qualora sia un’Autorità giudiziaria ad autorizzare l’amministratore di sostegno ad addebitare sul conto del de cuius determinate spese, come quelle per il funerale o per l’ultima mensilità della badante, anche se non è stata ancora presentata la dichiarazione di successione o del relativo esonero, la banca che gestisce il conto può eseguire le operazioni autorizzate, senza violare le regole del Testo unico delle
successioni. Tra queste, infatti c’è quella che esplicitamente prevede il blocco immediato, al momento del decesso, dei rapporti intestati al de cuius, impedendo a qualunque interessato qualsiasi operazione su tali rapporti, finché non viene fornita prova della presentazione della dichiarazione di successione o che non vi è obbligo di presentarla (articolo 48, comma 4, Dlgs n. 346/1990, il Tus).
Il perché, osserva l’Agenzia nella risposta n. 147 del 22 marzo 2022, sta nel fatto che il provvedimento appositamente emanato dal giudice tutelare nell’ambito del procedimento dell’amministrazione di sostegno, con cui autorizza l’amministratore di sostegno a provvedere al pagamento delle spese funerarie o gli altri debiti del beneficiario deceduto, è compatibile con la ratio sottesa all’articolo 48 del Tus. Cioè,
evitare che gli aventi causa del de cuius possano attuare comportamenti evasivi ai fini del tributo successorio, obbligandoli indirettamente a dichiarare la successione.
La risposta, in sostanza, è quella auspicata dalla banca istante, preoccupata di essere in contrasto con la previsione normativa del richiamato articolo 48 del Tus, per aver ottemperato alle decisioni dei giudici tutelari, e di essere quindi passibile della sanzione prevista dal combinato disposto dei commi 2 e 4 dell’articolo 53 del Tus, che fissa le pene per chi viola l’articolo 48.
In conclusione, l’esecuzione delle operazioni di versamento dal conto del cliente deceduto, esplicitamente autorizzate dall’autorità giudiziaria all’amministratore di sostegno, nelle more della presentazione della dichiarazione di successione o prima che sia dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi è obbligo di presentarla, non costituisce una violazione punibile e non troverà applicazione la sanzione prevista
dall’articolo 53 del Testo unico delle successioni.